2018-06-09
Deutsche bank mostra due facce. A Berlino soffre, in Italia dà credito
Nonostante la flessione, la filiale dell'istituto tedesco fa utili ed evita il credit crunch.A distanza di ormai dieci anni dall'esplosione fragorosa della più grave crisi finanziaria del dopoguerra, c'è ancora un grande malato cronico nel sistema finanziario mondiale, o quanto meno tra le grandi investment bank. Il convalescente che non accenna a migliorare è Deutsche bank, la prima banca tedesca ed ex prima banca europea, prima che la crisi ne intaccasse le fondamenta. Conti a picco, ricavi in calo e perdite copiose.Non solo: c'è stata la girandola degli amministratori delegati. L'ultimo a essere cacciato è stato John Cyran dopo un triennio in perdita. E per tentare di arginare i conti in rosso ecco le solite, ennesime, misure draconiane sui costi. Di questi giorni l'annuncio che Deutsche licenzierà 9.000 dipendenti a livello mondiale, il 10% della sua forza lavoro. L'ultima tegola però viene dagli Usa. Per le autorità americane, la Deutsche è ancora un pericolo sistemico che va affrontato e dulcis in fondo l'agenzia di rating S&P pochi giorni fa ha declassato il rating a lungo termine della banca tedesca a BBB+. Piove sul bagnato. Certo è un fatto che tra le grandi banche europee il colosso germanico è quello che ancora traballa. Basti vedere la dinamica dei conti che disegna una china pericolosa all'ingiù. Nel 2009 l'istituto produceva 5 miliardi di profitti netti. Mai più visti: ogni anno gli utili si riducevano fino a quasi azzerarsi nel 2013. Poi i grandi buchi. La maxi perdita del 2015, l'annus horribilis, per ben 7 miliardi, seguita dal rosso di 1,4 miliardi nel 2016 e un altro passivo da 700 milioni l'anno scorso. Vien da chiedersi da dove arrivino le perdite. In fondo l'economia tedesca va bene, non ci sono di fatto sofferenze da svalutare e sul credito Deutsche a livello globale non è poi così esposta. Per Deutsche i guai grossi arrivano dalla finanza. E sono il lungo strascico della crisi dei mutui subprime e delle altre diavolerie della turbo-finanza. Solo tra multe e sanzioni, le cosiddette litigations per la finanza truccata, Deutsche ha pagato dal 2011 al 2017 la bellezza di 15 miliardi. Vanno aggiunti a questi maxi esborsi le perdite sugli avviamenti e le svalutazioni di asset.Totale: la turbo finanza è costata la cifra record di quasi 24 miliardi di euro. Un salasso che ha finito per azzerare la profittabilità. Oggi l'istituto capitalizza solo 20 miliardi, un terzo del suo patrimonio, e mantiene in pancia titoli illiquidi e tossici per 22 miliardi, l'intero valore di Borsa del titolo. Se Deutsche avesse fatto la banca normale tutto questo non sarebbe accaduto. La prova? Eccola. Le attività di Deutsche bank in Italia, dove di fatto fa la banca commerciale, dicono che il salasso si poteva evitare. La branca italiana in tutti questi anni di crisi non ha mai chiuso in perdita. Nel 2015 aveva ricavi per 1 miliardo e ha generato un utile netto di 80 milioni, il più alto della sua storia recente. Ora negli ultimi anni c'è stata una flessione con i ricavi scesi nel 2017 a 812 milioni e i profitti netti collocati a 10 milioni di euro. Pausa di assestamento quindi. Ma al di là della redditività c'è un dato che dice che la filiale italiana ha ben gestito la crisi bancaria che ha imperversato nel nostro Paese. Non c'è stata, contrariamente a molte banche italiane, nessuna stretta creditizia verso la clientela. Nessun credit crunch. Nel 2007 Db Italia aveva prestiti alla clientela per 17 miliardi di euro. Ebbene il credito è stato aumentato. Nel 2015 i crediti all'economia reale sono cresciuti a 19 miliardi. Oggi sono attestati a 17 miliardi. Scesi si, ma mai diminuiti nel corso della crisi.Quel credito non è stato dato in modo allegro come è accaduto per molte banche italiane che poi si sono ritrovate con un cumulo di sofferenze e incagli nel loro bilancio. Quel credito è stato evidentemente erogato cum grano salis. Lo dicono oggi i livelli di prestiti deteriorati sugli impieghi che sono ai minimi assoluti dentro al sistema bancario italiano. Oggi Db Italia ha un rapporto tra prestiti deteriorati netti e totale impieghi al 4,5%, un livello invidiabile. Così come la filiale nostrana del colosso tedesco ha un texas ratio (il rapporto tra crediti malati netti e patrimonio) al 40%, uno dei più bassi e tranquillizzanti dell'intero sistema bancario italiano. Segno evidente che si può fare credito anche durante la grave recessione italiana senza mettere a rischio i propri bilanci. Basta saper selezionare bene la clientela come ogni vero banchiere dovrebbe fare. Un precetto che in molti che hanno governato le banche nostrane (leggasi Mps, Veneto Banca, Vicenza, Carige) non hanno preso seriamente in considerazione. Se Deutsche bank non facesse la banca d'affari in giro per il mondo certi guai non se li sarebbe andati a cercare. Quando si dice che il rischio di credito è il vero tallone d'Achille delle banche ci si dimentica (anche tra i regolatori) che esiste anche il rischio di mercato. Più subdolo ma forse più insidioso e grave.
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)