2023-09-02
Se la destra rimane fedele ai suoi ideali di sempre i maestrini impazziscono
Michele Serra e Antonio Polito riversano livore su Roberto Vannacci e il suo volume perché pretendono di insegnare ai conservatori cosa pensare.Si potrebbe dire, con un’abusata citazione, che non l’hanno visto arrivare. E non c’entra il fatto che Roberto Vannacci sia un incursore abituato a muoversi nell’ombra e a cogliere il nemico di sorpresa. Non l’hanno visto perché vivono altrove, in un mondo artificiale ch’essi reputano essere l’unico possibile, l’unico buono e giusto, l’unico civile. Non l’hanno visto e adesso sono furibondi, e spaventati. Si evince dai commenti che da qualche giorno, in ordine sparso, sbocciano sui grandi giornali alternando disprezzo e irritazione. Sembra che abbiano imbandito una cena delle ceneri in cui ciascuno consuma rabbiosamente il proprio fegato.L’unico a sottrarsi allo stridore di denti e al consumarsi di mandibole è stato Beppe Cottafavi, blasonato editor mondadoriano, che su Domani ha avuto il coraggio e l’apertura mentali necessari a scrivere il vero: «Sono stordito», ha ammesso. Il libro di Vannacci, sostiene da professionista dell’editoria, ha venduto circa 95.000 copie (l’autore smentisce, ma il successo resta), e questo semplice fatto dovrebbe suggerire qualche riflessione al ceto intellettuale.Sacrosanto, ma guardate come stanno reagendo i custodi del pensiero e capirete tutto, anche le ragioni dell’exploit editoriale. C’è chi, come Michele Serra, si rifugia stizzito nella ridotta della superiorità morale. Rispondendo a un lettore sul Venerdì di Repubblica, vomita lapilli. Vannacci - sostiene - «si presenta al suo folto pubblico come un eroe frondista, essendo il tipico conformista di destra in un Paese nel quale la destra governa. […] Invocare la censura per il libro di Vannacci serve solo a far credere ai Vannacci italiani (che sono un esercito a partire dal Salvini, il più fascista di tutti) di essere spiriti liberi che si ribellano alle sopraffazioni del politicamente corretto».Il ragionamento è dei più elementari. Serra fa coincidere governo ed egemonia culturale, vittoria alle elezioni e pensiero prevalente. Finge di non sapere quale sia l’ideologia dominante, ma per scoprirlo gli sarebbe bastato osservare con attenzione la prima pagina di Repubblica di ieri. In bella mostra vi si trovava un’intervista di Stefano Cappelli con Nancy Pelosi, illustre esponente dell’establishment liberal statunitense. La Pelosi, con la simpatia che la contraddistingue, spiegava che Giorgia Meloni si sta dimostrando una brava alleata (concetto espresso col tono di chi dice alleato e pensa suddito), ma «ha problemi sui diritti Lgbtq+». Eccola lì, l’egemonia culturale: quella vera, che supera destra e sinistra e che fa sentire ai governi il fiato sul collo. È quella ideologia liberal a cui il pensiero cosiddetto «di destra» dovrebbe riuscire a opporsi, perché non si tratta di stare o meno al governo della nazione ma di contrastare il pensiero unilaterale oppure di piegarvisi.Michele Serra, per dire, sta culturalmente all’opposizione rispetto all’attuale governo. Ma è totalmente in linea con il pensiero dominante, dunque è schierato dal lato del più forte. E infatti non manca di ribadirlo, liquidando con sommario disgusto il bestseller dell’anno. «Gran parte dei concetti espressi in quel libro», scrive, «sono fregnacce (mi scuso per il linguaggio da caserma, è per calarmi nell’ambiente) talmente risapute che la migliore risposta sarebbe dire: tutto qui? Sempre la stessa tiritera contro omosessuali e migranti? Quand’è che crescete? Quand’è che riuscite a dirci qualcosa di interessante e nuovo?». Posto che nel volume del generale non c’è alcuna tiritera contro questo o quello, viene da domandarsi: ma l’adulto Serra e i suoi cresciuti compagni di schieramento, con esattezza, che cosa avrebbero prodotto di nuovo e interessante? Gli asterischi? La «cultura della cancellazione»? La religione ecologista?Decenni ad atteggiarsi a difensori del popolo ed è così che finiscono: maldestri architetti di un mondo artificiale in cui quello stesso popolo è vessato, stritolato, controllato a vista. Non c’è niente di nuovo e interessante, in tutto ciò: c’è solo il vecchio totalitarismo unito all’ancor più vetusto e altezzoso fastidio per il volgo.Cioè quello che esibisce, giusto per portare un altro esempio, Antonio Polito sul Corriere della Sera. Appare preoccupatissimo, l’editorialista, poiché «certamente esiste il rischio che nasca nel Paese una opposizione da destra al governo della destra, decisa a fare i conti con l’era dei diritti e del politicamente corretto, insofferente dei compromessi necessari per guidare il Paese, e rabbiosamente convinta che troppi ex leoni si stiano trasformando in volpi». Tale opposizione, teme Polito, «può rallentare se non addirittura inceppare il processo di trasformazione della destra italiana da forza antagonista e antisistema in moderna destra conservatrice e di governo, che Giorgia Meloni ha intrapreso dopo la vittoria elettorale per onorarne la responsabilità».Già, il fatto che qualcuno si permetta di ricordare alla destra alcuni punti salienti del suo programma - per altro decisamente moderato e fin troppo borghese - rischia di impedirne la mutazione genetica. C’è il pericolo che qualcuno si ricordi i motivi per cui è stato votato e non si rassegni a diventare un criceto ammaestrato nel tinello dei liberal.Se a qualcosa è servito il caso Vannacci è a dimostrare quanto siano viscidi e interessati i consigli dei fini commentatori di cui sopra. E, soprattutto, quanto siano perdenti.Vero: il generale non dice nulla di nuovo. Anzi, lo ripetiamo: a tratti è persino grossolano e scontato. Ma ha detto qualcosa di interessante per migliaia e migliaia di persone, di elettori. Cioè coloro che, in teoria, i politici dovrebbe servire, a meno che non siano impegnati a far da camerieri in altre più illustri mense.
Crollano le forniture di rame, mercato in deficit. Trump annuncia: l’India non comprerà più petrolio russo. Bruxelles mette i dazi sull’acciaio, Bruegel frena. Cina e India litigano per l’acqua del Tibet.
Elly Schlein (Imagoeconomica)