2019-04-30
Delrio ci prova, Di Maio lo rimbalza. Ma tra dem e M5s chi disprezza compra
Prove di dialogo (saltato) su conflitto di interessi e salario minimo. Schermaglie elettorali: l'intesa è il «piano B» per dopo le europee.Scena uno: l'altro giorno, Luigi Di Maio lancia cinque proposte di legge (su sanità, acqua pubblica, conflitto d'interessi, salario minimo, stipendi dei parlamentari). E, con l'eccezione dell'ultimo tema, si tratta chiaramente di un'agenda orientata a sinistra. Scena due: ieri, con tanto di titolo in prima pagina su La Stampa, non un passante, ma il capogruppo alla Camera del Pd Graziano Delrio (già renziano caldo, poi tiepido, poi freddo) mette a verbale un'intervistona per aprire - anzi, per spalancare - ai grillini: «Siamo pronti a discutere su salario minimo e conflitto d'interessi». Scena tre: a stretto giro di posta, Di Maio spedisce una risposta che sembra un rituale di umiliazione ai danni del Pd: «È chiaro ed evidente che gli interlocutori sono le forze di governo. Poi se il Pd vuole votare quelle proposte, avrà l'occasione per redimersi da quanto non ha fatto in questi anni». Avete letto bene: redimersi. Scena quattro: la residua ala renzista del Pd, con ancora sulla faccia i segni dello schiaffone preso dal capo grillino, si lancia su Twitter e Facebook per gridare la propria rabbia. Il più reattivo è Luca Lotti: «Se devo redimermi, vado in chiesa, non faccio accordi con Di Maio. Non si prendono lezioni da lui». A ruota, arriva Maria Elena Boschi in versione Erinni: «Di Maio vuole dialogare con il Pd se il Pd “si redime". Ma su cosa vuole dialogare il capo di un partito assistenzialista, giustizialista, incompetente, che ha portato l'Italia in recessione?». E, non si sa se come promessa o come minaccia, la Boschi aggiunge l'hashtag #senzadime. Non fa mancare la sua indignazione neanche Matteo Orfini: «Di Maio ci propone di votare le loro proposte per “redimerci". Di Maio. Quello che ha prodotto un paese in recessione, il crollo dell'occupazione e la demonizzazione dei più fragili per seguire Salvini. Con queste nuove destre il Pd non può e non deve avere nulla a che fare».Scena cinque: vista la mala parata, pure Nicola Zingaretti prende le distanze. «Salvini e Di Maio», fa sapere, «hanno la stragrande maggioranza dei parlamentari, ma la loro incapacità di attuare provvedimenti concreti per lo sviluppo è impressionante. Ora è tempo di voltare pagina. Per amore dell'Italia».Scena sei: torna sul palcoscenico l'attore con il ruolo meno glorioso della giornata, e cioè il povero Delrio, che era stato mandato avanti a prendere ceffoni. Il capogruppo si ripresenta con la faccia feroce: «Se c'è qualcuno che deve chiedere scusa dei propri errori e dei danni causati al paese, questo è Di Maio con il suo alleato Salvini di cui si vergogna. Il governo ha messo in ginocchio l'Italia e non ha una strategia per rimediare. Noi tifiamo per l'Italia e vogliamo che i problemi si risolvano. Per questo abbiamo sempre dialogato in Parlamento. Ma con un governo che continua sulla strada dell'incompetenza e dell'arroganza la strada è chiusa».Dirà qualcuno: con tale nettezza di smentite, e con una radicale e reciproca volontà di offendersi e umiliarsi, la questione è definitivamente chiusa. Ma la sensazione non è questa: il film non è finito, e prevede molte altre scene, e infiniti altri ciak. Certo, i pesci in faccia di ieri saranno reciprocamente e polemicamente ricordati da grillini e Pd da qui al 26 maggio, giorno delle europee. I due partiti sono in lotta (a volte, con il passo del gambero: si tratta di capire chi arretrerà di più) per il secondo posto, staccatissimi dalla Lega, realisticamente poco sopra l'asticella del 20%. Il che - inutile girarci intorno - significherebbe un naufragio totale per il M5s (13 punti sotto rispetto alle politiche di un anno fa) e la certificazione, per il Pd, di un «effetto Zingaretti» inesistente. Altro che la «tonicità» del Pd che Il Corriere della Sera aveva messo un paio di mesi fa in prima pagina, a firma di Paolo Mieli. Morale: l'unico premio di consolazione, la sera del 26 maggio, sarà - o per Zingaretti o per Di Maio - poter dire di aver evitato il gradino più basso del podio. Attenzione, però. Dal giorno dopo, le cose potrebbero cambiare, e Di Maio sta evidentemente lavorando a un «piano b», nel caso in cui la prosecuzione del rapporto con la Lega gli apparisse - per l'una o per l'altra ragione - insostenibile per il M5s. Gli schiaffi di ieri con il Pd potrebbero magicamente attenuarsi in buffetti o perfino in carezze. E a quel punto, lo stesso Pd che ieri - ferito nell'orgoglio - ha smentito categoricamente ogni possibilità di intesa, potrebbe riestrarre dall'archivio l'intervista di Delrio come prova della propria buona volontà. Del resto, il lavorio dei commentatori e dei mainstream media per staccare Di Maio da Salvini e portarlo verso il Pd è in atto da tempo (ci avevano abbondantemente provato, come si ricorderà, anche dopo il 4 marzo). La novità è che da qualche settimana si è aggiunto anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, con la surreale definizione «Di Maio uno di noi», che ieri Boccia ha in qualche modo ribadito e perfino circostanziato nientemeno che al Financial Times («Oggi Luigi Di Maio è completamente diverso, più consapevole, più maturo, come un uomo di governo»). Tenete tutti questi ritagli in una cartellina. Potranno tornare utili dal 27 maggio.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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