2024-11-30
Il vescovo di Milano fa il gioco dei dem: porgere la guancia a bulli e teppisti
L'arcivescovo di Milano Mario Delpini (Ansa)
Delpini invoca l’integrazione, ma ammette che al Corvetto Stato e Chiesa son già attivi. Manca chi sappia imporre regole e ordine.Figurarsi se non tiravano in mezzo la Chiesa. E figurarsi se la Chiesa non si faceva tirare in mezzo. Accade ogni volta che si accende il dibattito sull’immigrazione e qualcuno da destra invoca politiche più restrittive: subito si presenta un prelato a dichiarare che bisogna invece accogliere, aprire le porte, abbracciare - più che il prossimo - chi giunge da lontano. Stavolta è toccato a Mario Delpini, arcivescovo di Milano, chiamato da Repubblica a intervenire sul caso delle sommosse nel quartiere Corvetto seguite alla morte del giovane egiziano Ramy. Titolo dell’intervista in prima pagina: «A Milano serve più integrazione. Basta con i catastrofismi». Già questo basta a farsi sorgere qualche legittimo interrogativo: va bene non essere catastrofici, per carità, ma più di mettere a ferro e fuoco il quartiere che possono fare i baldanzosi maranza della zona? E quando si dovrebbe iniziare a preoccuparsi? Quando saranno passati alle autobombe? In verità l’analisi dell’arcivescovo è molto più articolata di come la presenta il giornale progressista, che nei fatti mette Delpini in frontale contrapposizione a Salvini e al ministro Piantedosi che ha promesso l’arrivo di seicento agenti in zona. Diciamo che il prelato si è fatto strattonare un po’ per la tonaca, ma è difficile credere che non immaginasse di essere strumentalizzato, e dunque riteniamo che abbia agito in piena coscienza. Delpini spiega che il Corvetto è in fondo un quartiere «dove abita gente normale che fatica, lavora e manda a scuola i figli. [...] Il Corvetto», prosegue il monsignore, «è simile a tanti altri quartieri, con le sue case, magari un po’ degradate. E poi, i mercati pieni di gente che fa la spesa e dialoga, le scuole, le chiese. Non lo definirei una banlieue. È un posto abitato da gente che ha problemi diversi da quelli di chi vive nel centro di Milano, dove ci sono solo le banche e le vetrine del lusso». Verissimo: la struttura urbanistica non è quella delle periferie parigine, ed è anche sacrosanto che in quella zona esistano servizi, luoghi di cura. «La città scintillante è in centro, mentre fuori, negli altri quartieri che non mi piace chiamare periferia - l’urbanistica ha una sua articolazione - ci sono problemi economici, di solitudine, ma non sono un deserto», dice Delpini. «In quei quartieri ci sono servizi capillari, in tanti lavorano per creare integrazione. Ci sono scuole con classi multietniche, che fanno un lavoro egregio. Poi ci sono le parrocchie con gli oratori dove si accolgono e integrano persone da ogni parte del mondo e che passano il tempo assieme. [...] La scuola c’è, il Comune c’è». E ancora: «Certo, il disagio economico, abitativo, relazionale predispone a reazioni scomposte. Ma quando incontro le famiglie straniere vicine alla comunità cristiana, le sento grate per il pronto soccorso che la chiesa garantisce con l’oratorio, con gli spazi aperti a tutti. Mentre i figli fanno il doposcuola, le madri stanno fuori tranquille a chiacchierare e a fare merenda. Quindi, io vedo un’immagine molto meno drammatica di quella che emerge in questi giorni, dalla narrazione dei titoli dei giornali, che riferiscono in fondo episodi molto circoscritti». Queste parole dell’arcivescovo vanno prese molto sul serio. Vengono sfruttate da Repubblica per sminuire quanto accaduto nei giorni scorsi, per ribadire che non servano più controlli e più severità ma solo più integrazione. E lo stesso Delpini, ripetiamo, si presta a questa ricostruzione quando spiega che «la migrazione nella comunicazione pubblica viene ridotta al tema degli sbarchi e dei rifugiati, mentre la massa degli immigrati è composta da persone che vivono qua, lavorano e tengono in piedi il Paese, come fanno gli italiani. Certo», conclude il monsignore, «ci saranno delle situazioni di disagio che facciamo fatica a raggiungere, che non si lasciano troppo avvicinare perché sono chiuse. Magari si avvalgono dei servizi che la città e la Chiesa offrono, ma stentano a trovare ragioni per familiarizzare. È un tema di rapporti, di amicizie, di vicinato, di collaborazione. È un lungo, complesso lavoro che ci aspetta».Il fatto, però, è che nonostante le parole generiche sulla bellezza delle migrazioni, Delpini nei fatti ha smontato la retorica buonista sulle periferie degradate e abbandonate dallo Stato i cui abitanti oppressi giustamente si rivoltano. Ha spiegato anzi che al Corvetto le istituzioni ci sono, gli aiuti pure, la Chiesa anche, e così le buone pratiche di integrazione. Ed è proprio questo il vero problema: qui non si può spiegare la sommossa con il semplice disagio sociale. Le scene che abbiamo visto e la presenza criminale in alcune aree sono in effetti da banlieue, ma il contesto è molto differente (posto che anche nelle banlieue europee gli Stati hanno buttato mucchi di soldi). E allora dove sta il dramma? L’arcivescovo ammette di non sapere «interpretare le reazioni arrabbiate dei giorni scorsi», e suggerisce di andare a parlare con i giovani immigrati. Ma questo già avviene, già si parla con costoro. E nonostante si parli e nonostante vi siano servizi e attenzioni, la violenza sgorga lo stesso, la presenza criminale e l’antistato ci sono ugualmente. Giusto l’altra notte - come ha denunciato ieri Riccardo De Corato di Fratelli d’Italia - «è stato preso di mira un filobus - linea 93 proprio in viale Omero, il luogo in cui si sono verificati i disordini dei giorni scorsi, con dei colpi di arma da fuoco che ne hanno compromesso il mezzo pubblico. Naturalmente», dice De Corato, «questo atto intimidatorio è arrivato senza alcun motivo e il povero conducente del mezzo, oltre agli utenti di quel bus, hanno rischiato la vita per l’ennesimo gesto commesso da alcuni malviventi della zona. Questo è un chiaro segnale di sfida allo Stato, nonostante la zona sia da giorni sotto controllo delle forze dell’ordine. Naturalmente, dal Comune, non arrivano segnali incoraggianti sulla sicurezza (come è solito fare da questa maggioranza) ma, viceversa, alcuni esponenti del Pd tra cui Rozza e Majorino si sono fatti vedere per portare solidarietà agli stranieri che vivono nel quartiere». Viene da pensare che, forse, il problema stia soprattutto in questi atteggiamenti coccolosi. In certe zone lo Stato non è un padre assente o vessatorio, semmai è un padre troppo morbido o una madre timorosa incapace di gestire la situazione. Tradotto, significa che non si possono giustificare i barbari organizzatori delle rivolte presentandoli come vittime del disagio sociale o della mancata integrazione dovuta alla difficoltà nell’ottenere la cittadinanza. Con tutta probabilità il problema è culturale: una società debole consente ai bulli di prosperare, li fa sentire in diritto di spadroneggiare e dettare legge. In una società dove è diffuso il paternalismo ma manca il Padre, i bambocci sono re e agiscono indisturbati. Forse è ora di capire che il problema sta qui: nella mancanza di regole serie e di un ordine coriaceo, non nella carenza di carezzine ai teppisti. Perché intanto che noi parliamo e ci struggiamo, quelli sparano. Con o senza cittadinanza.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
Continua a leggereRiduci