2023-01-10
Degrado e miseria: è il modello Sala. Ma i sindaci «rossi» ora tremano
L’area della stazione di Milano è un immondezzaio dove i clochard sopravvivono in condizioni disperate. Sotto pressione per gli sbarchi, i primi cittadini di sinistra si sono accorti che i porti aperti sono un suicidio.Vogliamo raccontarvi alcune piccole storie che ci riguardano da vicino, e vorrete scusarci se oggi vi parliamo (anche) di noi. Si tratta di vicende forse minute, ma che assomigliano molto a parabole sull’immigrazione e la sua gestione italiana. La redazione della Verità si trova a pochi passi dalla stazione Centrale di Milano, proprio sulla soglia di quella che qualcuno ieri ha definito la porta di ingresso della città. Tutt’attorno sorgono alberghi, bar e ristoranti, e poi uffici a perdita d’occhio con i loghi di importanti aziende, banche e assicurazioni. Per vedere il cielo milanese bisogna alzare molto lo sguardo, onde riuscire a superare i palazzoni sfavillanti che sequestrano il campo visivo. È più facile rivolgere gli occhi verso il basso, a poca distanza dal selciato. E ogni mattina, osservando i marciapiedi nei dintorni, vediamo quelle che sembrano le conseguenze di un uragano. Ci sono rifiuti sparsi ovunque: resti di cibo, cartoni di vino economico, indumenti stracciati, cartacce, liquidi (e talvolta solidi) di discutibile odore e natura. In mezzo a tale edificante panorama, nelle prime ore del mattino, troviamo persone avvolte nei sacchi a pelo che dormono o smaltiscono le sostanze con cui quotidianamente si avvelenano.A ogni alba, il caos è tale che i pazienti addetti dell’Amsa (l’azienda comunale che si occupa della nettezza urbana) devono passare sotto i portici di via Vittor Pisani con un mezzo solitamente utilizzato per il lavaggio stradale. Durante le operazioni di pulizia, le persone che usano la strada come giaciglio si spostano di qualche metro e si mettono a condurre i propri traffici nei dintorni della Stazione, senza darsi la pena di nascondersi troppo, tanto che al passante attento non riesce difficile studiare nei minimi dettagli consumo e vendita di droga.Per quanto ci riguarda, l’osservazione di queste attività è facilitata dal fatto che - nei giorni particolarmente piovosi, il sabato e in occasione delle festività - i consumatori di sostanze si trasferiscono sull’ingresso del palazzo che ospitano i nostri e altri uffici. Costoro si accomodano sul gradino d’entrata e lo utilizzano come piano di lavoro per la preparazione di pipette di crack o simili, per la gioia di chi entra o esce dell’edificio.Ecco, questa è la prima storia di immigrazione ambientata nella «metropoli europea» milanese. Decine e decine di persone abbandonate a sé stesse, che galleggiano nel degrado, fanno i propri bisogni in pubblico e trascorrono i giorni in una condizione che a nessun essere umano dovrebbe essere augurata. Nel piazzale e nelle viuzze che circondano la stazione il quadro è persino peggiore. Le violenze, le risse e gli assalti ai danni di turisti o cittadini indifesi sono pressoché quotidiani, e le forze dell’ordine - che pure sono presenti - possono ben poco. È come combattere contro il mare: quello si ritrae, ma poco dopo l’onda si ripresenta. La situazione è talmente grave che persino i media progressisti si sentono di denunciarla. Ieri, ad esempio, La Stampa titolava in prima pagina: «Armi, droga e risse dalle sette di sera. La stazione di Milano è terra di nessuno». Condivisibile, a parte la specifica sull’orario: è terra di nessuno anche alle sette di mattina.La seconda storia di immigrazione riguarda il nostro giornale ancora più da vicino. Fino a qualche mese fa, la sera, a porre un limite al degrado pensava il robusto portiere del nostro stabile, Zoran. Serbo di origine, grande lavoratore, tanto buono quanto imponente, questo gigante dai modi gentili non lavora più nel palazzo, con nostro grande dispiacere. Il motivo lo ha già raccontato Maurizio Belpietro tempo fa: da quando il Comune guidato dal geniale Beppe Sala ha istituito la famigerata Area B con la scusa di giovare all’ambiente, il caro Zoran non può permettersi di sostenere i costi d’ingresso nel territorio cittadino, dunque ha dovuto cercarsi un impiego che non lo obbligasse al pagamento del quotidiano balzello.La morale di queste due storie piccine è piuttosto semplice e forse anche evidente. In entrambi i casi, i milanesi possono assaporare i risultati delle meravigliose politiche sinistrorse, cioè le ricadute nella realtà della retorica allo zucchero filato su accoglienza, antirazzismo, multiculturalismo e impegno ecologista.I migranti irregolari, che non hanno diritto di restare in Italia, sono esclusi dal sistema di accoglienza o ne usufruiscono ma non hanno un impiego sono ridotti a vivere in condizioni disumane o a delinquere. Un altro straniero, grande lavoratore, perfettamente integrato benché non certo ricco, paga sulla propria pelle - come molti altri italiani - i provvedimenti «green». Gli stessi che, a livello più ampio, causano l’aumento delle bollette.Come sempre accade, politici e commentatori si baloccano con l’ideologia. Ma poi, puntualmente, la realtà mostra con spietatezza le ricadute dei ragionamenti infiocchettati. A farne le spese è la popolazione, in particolare quella economicamente e socialmente più fragile. Nel caso del sindaco di Milano Sala, l’alienazione dal reale è una costante, e viene da pensare che egli non si renda conto di come viva davvero una bella fetta dei suoi concittadini. Altri sindaci, anche se li tacciono per interesse, sanno benissimo quali siano i problemi causati dall’immigrazione di massa. Ed è il motivo per cui stanno montando una campagna furibonda contro gli sbarchi nei loro Comuni. Come noto, da un paio di giorni Repubblica si sta stracciando le vesti perché il ministero dell’Interno ha deciso di far approdare alcune navi delle Ong ad Ancona e in altri porti diversi da quelli solitamente indicati (cioè Lampedusa e alcune località siciliane). Giusto ieri il sindaco di Livorno, Luca Salvetti, ringhiava a mezzo stampa: «Basta giochini politici sui migranti. Vadano anche in città di destra». Comprendiamo la sua arrabbiatura all’idea che i taxi del mare vengano indirizzati nel suo tinello. La comprendiamo proprio perché - come raccontavamo all’inizio - ogni giorno dobbiamo fare i conti con le conseguenze degli sbarchi massivi, con una situazione creata negli anni dai governi di sinistra, e alimentata proprio dai tanti sindaci di sinistra prontissimi a celebrare l’accoglienza a parole, ma molto meno pronti a sobbarcarsi le conseguenze della presenza di migranti sul proprio territorio.A tale proposito, facciamo notare, città e regioni governate dal centrodestra, finora, non sono affatto state risparmiate dagli arrivi di stranieri, anzi. Al 31 dicembre 2022, la Lombardia si confermava la prima regione in Italia per presenza di stranieri nel sistema di accoglienza (12.279 in totale). Al secondo posto l’Emilia Romagna (10.503) e poi la Sicilia (10.335). Belle cifre anche in Piemonte (9.322) e in Veneto (6.518). E qui parliamo di stranieri effettivamente presenti sul territorio, non approdati e poi trasferiti altrove.Se davvero volessero dar vita a una protesta seria, i primi cittadini progressisti dovrebbero iniziare a chiedere una sensibile riduzione degli arrivi, e smetterla di propagandare un sistema mortifero che distrugge la vita degli stranieri e degli autoctoni. Dovrebbero, insomma, calarsi nella realtà, abbandonare le comode pose ideologiche e affrontare seriamente il dramma migratorio. Casomai avessero bisogno di qualche consiglio in proposito, noi siamo qui, ben disponibili ad accompagnarli la mattina a osservare di persona il dolce risveglio di Milano nell’era dei porti aperti.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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