2025-03-14
Degli 800 miliardi promessi da Ursula per ora ci sono soltanto i costi in più
Ursula von Der Leyen (Ansa)
L’ultima della Commissione: acquisti comuni per le armi come per i vaccini. Intanto salgono i rendimenti dei titoli di Stato.A dieci giorni dalla conferenza stampa in cui Ursula von der Leyen ha presentato un piano di riarmo da 800 miliardi per l’Unione europea sotto la minaccia russa, tanto urgente da invocare in maniera discutibile l’articolo 122 del Trattato Ue, cosa rimane? A parole, moltissimo, a cominciare dalle tonitruanti risoluzioni approvate al Parlamento europeo spaccando maggioranza e opposizione italiane. Nei fatti, praticamente nulla, dal momento che la Commissione propone, il Parlamento dà un parere e dà l’idea di partecipare, ma alla fine è nei fatti il Consiglio che legifera. Cioè, i governi.Cominciamo dai soldi, dai quali del resto è partita la presidente della Commissione. Come evidenziato qui da Giuseppe Liturri, gli 800 miliardi sono meno che sulla carta. Il sito dell’Ecofin dà un resoconto anodino dell’unico incontro importante (risalente a martedì) in attesa del prossimo Consiglio europeo: «La sessione del Consiglio è stata preceduta da una discussione ministeriale informale sulla spesa per la difesa e sul relativo trattamento nel quadro della governance economica». Il ministro delle Finanze polacco, Andrzej Domanski, ha detto che lui e i suoi colleghi sono «determinati a garantire finanziamenti che rispondano alle esigenze di difesa dell'Europa. Stiamo discutendo soluzioni che aumenteranno in modo significativo la potenza di fuoco finanziaria dell’Ue». Un lessico estremamente cauto e vacuo che, unito alle uscite significative di Giancarlo Giorgetti (che ha parlato di garanzie Ue per favorire investimenti privati, quindi tutt’altro), fa intuire che siamo al carissimo amico. Un po’ poco, se la premessa è che Vladimir Putin sia alle porte.Più nel dettaglio, poi, la cifra totale promessa dalla Von der Leyen sarebbe la somma di 650 miliardi di spesa militare a carico degli Stati derivanti dall’allentamento del Patto di stabilità e di altri 150 miliardi frutto di un prestito dell’Ue sul modello del meccanismo Sure: la Commissione mette una garanzia comune ed emette debito che restituisce ai Paesi secondo condizioni economiche e politiche da definire. Sul primo, la percorribilità di nuovo debito a carico di Paesi è altissimamente problematico per due motivi: il primo è di natura finanziaria, visti i costi attuali di nuovo deficit. Il secondo è politico: non è semplicissimo spiegare alle opinioni pubbliche che quel che non si è potuto spendere in welfare, infrastrutture e pensioni, si può erogare in elicotteri e missili. Anche perché lo sforamento del Patto sarebbe consentito solo per questi ultimi, e il problema politico raddoppia. Quanto ai prestiti comuni, la tempistica di avvio ed erogazione del Sure non è un buon precedente se c’è da «fare presto», senza contare che il costo del servizio di questi prestiti, sommato alle condizioni politiche, non è sinonimo di garanzia di risparmio.Altro elemento: Germania e Olanda hanno detto no a nuovo debito comune per la Difesa: Berlino - ammesso che riesca a portare a casa le modifiche costituzionali per rimuovere il freno al debito con il vecchio Parlamento tenuto in vita apposta - vuole spendere ma per sé, non per finanziare manodopera estera, sia essa americana o di altri Paesi Ue. E da questo punto di vista i tedeschi rischiano di dare un grosso dispiacere al loro ex ministro della Difesa e ai suoi progetti. Se dai soldi passiamo agli uomini del fantomatico esercito comune, non va meglio: tanto che l’idea di avere truppe agli ordini delle istituzioni comunitarie senza passare dalla Nato è scivolata dai titoloni di Emmanuel Macron al dimenticatoio, anche qui a causa di prese di posizioni molto nette da parte dei principali capi di governo dell’Ue, tra cui l’Italia. Non va meglio il fronte della logistica, dove senza l’Alleanza atlantica - cioè, piaccia o meno, la volontà politica dell’amministrazione americana - non si fa praticamente nulla: dislocamenti, esercitazioni, movimenti delle truppe. Figuriamoci una guerra. Se si eccettua la retorica bellica, portata ai massimi livelli dalle due risoluzioni approvate dal Parlamento europeo mercoledì (soprattutto quella sul Libro bianco), l’effetto pratico - in attesa dei pronunciamenti del Consiglio, come detto - è uno solo: il brusco rialzo dei rendimenti sui Bond dell’eurozona, determinato da una risposta tutto sommato prevedibile dei mercati a tali proclami d’indebitamento multimiliardari. Ieri, per esempio, le aste dei nostri Btp hanno fatto registrare un rialzo sui triennali (oltre 20 punti base rispetto alle precedenti), sui quindicennali (15 punti) e sui trentennali (oltre 70 punti). Certo, lo spread con i Bund è rimasto stabile, ma i tassi sono in salita. Se si ragionasse con lo stesso metodo di qualche anno fa, si dovrebbe parlare - forse non a torto - di «tassa von der Leyen». A fronte di questa drammatica divaricazione tra le parole e la realtà, c’è un rischio: quello del continuo rilancio. Ieri il Financial Times dava conto di un progetto, pronto per essere presentato dalla Commissione, che faccia con le armi esattamente ciò che è stato fatto per i vaccini: una piattaforma d’acquisti comune. «La Commissione sta attingendo massicciamente dal suo programma sui vaccini». Non un viatico particolarmente benaugurante.