Il Documento di economia e finanza sarà presentato il 6 aprile. Tagliate le stime di crescita dal 4,7 al 3% e debito aumentato dal 5,6% al 5,9. Rinviato al 2024 il traguardo del 2% del Pil per le spese militari, con investimenti in addestramento e innovazione.Il Def, documento di economia e finanza, era previsto per oggi. Slitterà al 6 aprile. Tardano alcuni dati attesi dall’Istat, ci sono attriti sulle previsioni di crescita e, soprattutto, pende il tema dell’aumento delle spese militari. Per quanto riguarda la crescita economica, già la settimana scorsa il ministro dell’Economia, Daniele Franco, aveva spiegato come nel Def si sarebbero considerati i fattori di rischio della guerra in corso, si sarebbero aggiornate le previsioni di finanza pubblica e si sarebbero inserite ulteriori misure di sostegno alle imprese a causa del caro bollette. Nella Nadef (ottobre 2021) si era stimato per il 2022 un +4,7%. «Se il governo nel nuovo Def taglierà le stime di crescita per quest’anno dal 4,7 al 3% il Pil dovrebbe arrivare a un totale di 1.851 miliardi invece di 1.892 miliardi previsti con la Nota di aggiornamento», prevede il centro studi di Unimpresa. Al tempo stesso il governo sarebbe pronto ad aumentare il deficit dal 5,6 al 5,9%, e a lavorare anche su altri possibili sostegni da dare alle imprese contro il caro energia. Saranno aiuti mirati ai settori particolarmente esposti. La settimana scorsa, infatti, la Commissione Ue ha dato il suo ok per fornire aiuti di Stato alle aziende nazionali più colpite dal caro bollette. La premessa è d’obbligo: spiega quanto la coperta si sia rimpicciolita rispetto alle previsioni dello scorso anno e quando sarà più complicato approcciare il tema delle spese militari e il traguardo del 2% del Pil. La scorsa settimana il Parlamento ha approvato un Odg vincolante mirato a raggiungere la quota di investimenti militari decisa in ambito Nato nell’ormai lontano 2004. All’epoca i Paesi aderenti all’alleanza decisero che ciascuno avrebbe dovuto mettere sul piatto una quota non inferiore al 2% del proprio Pil. Da allora gli Stati Uniti hanno sempre veleggiato intorno al 3,5%, mentre - degli altri 29 Paesi aderenti - sopra soglia ci sono solo Grecia, Croazia, Gran Bretagna. Al pelo i Paesi Baltici e la Francia. In ogni caso, tolta l’America la media della spesa per il comparto militare supera di poco l’1,7%. Il nostro Paese è sotto. Rispetto all’ultimo decennio si è registrata una inversione del trend di tagli solo a partire dal primo governo Conte. Mario Draghi con la legge di bilancio scorsa ha riportato il budget sopra i 26 miliardi. In termini percentuali restra un misero 1,44%. È bene chiarire che l’impegno Nato non implica un budget separato rispetto alle spese per la Difesa nazionale. L’Alleanza chiede a ciascun Paese di aderire con standard minimi di efficienza, immaginando che la soglia del 2% garantisca personale addestrato, mezzi e armi adeguate e un certo turnover tecnologico. Nel nostro caso spesa insufficiente e soprattutto mal distribuita. Secondo le prassi Nato metà budget dovrebbe andare al personale, il 25% alle spese di esercizio, manutenzione e addestramento, il rimanente 25% per l’innovazione tecnologica. Nel nostro caso, oltre il 70% se ne va per il personale (che include caserme e pensioni), il rimanente è suddiviso sulla parte operativa. A questo punto chi parla di riarmo gioca con le parole o è ideologico. Si dovrebbe dire che la maggiore spesa di circa 12 miliardi (la quota che ci consentirebbe di arrivare al 2%) serve per tornare agli standard Nato. Si capisce quindi quanto sia strumentale la battaglia di Giuseppe Conte. Anche se un tema bollente sul tavolo del Mef c’è, ed è il seguente: se non si farà altro deficit, dove si andranno a fare i tagli?L’ipotesi di queste ore è che il Def contenga un obiettivo dell’1,7% per il 2023 e del 2% per il 2024, in modo da arrivare in regola alla scadenza ventennale (rispetto agli impegni del 2004). Se la maggiore spesa per il 2023 venisse confermata in circa 5,5 miliardi, il Def dovrà anche indicare i capitoli. Certamente non il personale, ma l’addestramento e la parte di innovazione che di solito passa anche dal Mise. Voce fortemente compressa da Draghi nel passaggio tra il 2021 e il 2022. È chiaro che se i circa 32 miliardi per il prossimo anno vedranno una fetta più ampia destinata ai progetti dell’industria della Difesa la spesa si trasformerà in parte in investimento. Ogni euro speso nell’industria militare ha un ritorno sul Pil di almeno 1,2 euro. Basti pensare che sul tavolo ci sono mega progetti come il Tempest, velivolo di sesta generazione che potrebbe portare lavoro al Sud. Ma anche il progetto del carro europeo potrebbe servire a sbloccare l’impasse su Oto Melara e Wass, le controllate di Leonardo contese con Fincantieri. Dentro il calderone andranno anche i progetti finanziati dal Pnrr. Perché il grande capitolo Difesa vede sullo stesso tavolo progetti esclusivamente italiani, altri condivisi con l’Europa e altri ancora con tutti i Paesi Nato. In comune c’è il portafoglio, tutto nostrano. C’è da scommettere che la visita di Draghi ieri sera a Sergio Mattarella sia servita a chiarire alcuni pilastri. Se la coperta è corta i 5 miliardi in più saranno compensati da tagli. Al reddito di cittadinanza? Alla spesa corrente? Vedremo la prossima settimana. Intanto ciò che è certo è che Draghi ha posto il vincolo: o si aumenta la spesa militare o balla la maggioranza. Conte avvertito.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.