2020-10-16
De Luca chiude le scuole e sfida Roma. La Azzolina prepara il contrattacco
(Andrea Savorani Neri/NurPhoto via Getty Images)
Il governatore campano sospende le attività fino al 30 ottobre. Il ministro reagisce: «Decisione gravissima». Intanto i morti raddoppiano (83). E Walter Ricciardi lancia profezie sinistre: «A dicembre 16.000 casi al giorno».Indagine choc a Parigi: perquisite case e uffici dell'ex premier Edouard Philippe, del ministro della Salute e di altre figure di rilievo. L'accusa è di non aver contrastato l'epidemia.Lo speciale contiene due articoli.Anche ieri Walter Ricciardi, consulente di Roberto Speranza, ha timbrato il cartellino di un metaforico ministero della Paura: «Ci aspettano mesi difficilissimi», ha detto all'Adnkronos, ribadendo che «se non ci muoviamo, c'è il rischio a dicembre di arrivare a 16.000 casi al giorno». Resta tuttavia un punto di fondo: il governo sembra alimentare una colpevolizzazione strisciante degli italiani proprio per nascondere i suoi ritardi, a partire dall'indifendibile tempistica del nuovo bando sulle terapie intensive. Ciò vuol dire che, in caso di fiammata degli accessi alle rianimazioni nelle prossime tre o quattro settimane, ci troveremo nei guai a causa del tempo perduto dall'esecutivo. Quanto ai dati, i numeri di ieri sono risultati oggettivamente in forte crescita, e tuttavia sono stati comunicati con il lessico terrorizzante con cui nel 2011 i media accompagnavano la salita dello spread («s'incendia, s'impenna, s'infiamma, nuovo record», e così via). La realtà è che a salire è stato in primo luogo il numero dei tamponi effettuati (circa 163.000: nelle 24 ore precedenti erano stati 152.000). A cascata, sono cresciuti anche i positivi (8.804 contro i 7.332 del giorno prima, con una percentuale intorno al 5% sul totale dei «tamponati», sempre sulla linea del giorno precedente). Si sono registrati 83 morti (ma non è nota la condizione clinica generale delle persone decedute). In terapia intensiva sono finite 47 persone in più, portando il totale a 586 in tutta Italia. Sul piano nazionale non c'è dubbio sul fatto che la tendenza sia di una crescita forte dei casi, un trend obiettivamente preoccupante. Ma ormai tutti ammettono ciò che fino a qualche settimana fa i virologi più apocalittici provavano a negare, e cioè che il 92-95% dei positivi attuali risultano asintomatici o paucisintomatici, e questo è certamente un dato che dovrebbe rassicurare almeno un po'. Dopo di che, per stare al dato che va monitorato con più attenzione, e cioè quello delle terapie intensive, va ricordato che siamo ancora sotto le 600 persone, mentre nei momenti peggiori della primavera scorsa si arrivò a 3.900-4.000. Scomponendo i dati su base regionale, la Lombardia ne ha 2.067, la Campania 1.127, il Piemonte 1.033, il Veneto 600, il Lazio 594. Ieri, infine, i guariti sono stati 1.899. Per ciò che riguarda la Campania, si è superato il saldo di 800 unità tra nuovi contagi e guariti che Vincenzo De Luca aveva fissato come asticella oltre la quale avrebbe «chiuso tutto». E, com'era prevedibile, il governatore ha disposto la chiusura di scuole e università, lanciando una sfida al governo: lezioni a distanza fino al 30 ottobre.«È una decisione gravissima e profondamente sbagliata e anche inopportuna» ha reagito il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina. «Sembra ci sia un accanimento del governatore contro la scuola. In Campania lo 0,75% degli studenti è risultato positivo a scuola e di certo non se lo è preso a scuola». Insomma, la situazione di oggi appare incomparabile con quella di marzo. Eppure, da 48 ore, la drammatizzazione politica e mediatica è martellante. A microfoni spenti, gli uomini della maggioranza ammettono che, da qui a fine settimana, nulla è escluso, e che proprio nel weekend si potrebbe tornare al rito delle conferenze a sorpresa del governo. Per annunciare cosa? Nell'ipotesi più ragionevole, uno scaglionamento degli orari d'ingresso nelle scuole (anche in questo caso Lucia Azzolina è contraria a spalmare l'entrata fino alle 11). Nell'ipotesi più pesante, potrebbero esserci dei lockdown locali o delle misure di coprifuoco a partire da una certa ora. Nelle neolingua orwelliana che piace agli esperti, da qualche giorno va di moda parlare di un presunto «circuit breaker». Insomma, pur di non dire subito «lockdown», si sono inventati una circonlocuzione, una perifrasi per far intendere che occorre qualcosa che interrompa il circuito. E allora che si fa: si chiude una provincia o una regione ogni volta che ci sono numeri in crescita? Si tratterebbe del colpo di grazia a un'economia già al collasso. C'è da sperare che qualcuno - magari chi ha fermato, anche dalle sedi istituzionali più alte, il blitz che avrebbe potuto portare la polizia dentro le case degli italiani - voglia sconsigliare una lettura unidimensionale (solo sanitaria e anti economica) delle settimane che si preparano. Certo, in senso contrario giocano due elementi. Per un verso, il timore del governo sulla scarsa capacità di tenuta della sanità al Sud, e per altro verso il tentativo di Conte di drammatizzare la situazione per poi prendersi i meriti se non ci saranno stati disastri.Eppure basterebbe un po' di memoria per mettere le cose nel contesto più appropriato. Le cronache di inizio gennaio 2018, quasi tre anni fa, in tutt'altra epoca, parlavano di «terapie intensive al collasso» a Milano per l'influenza ordinaria, con un riverbero pesante sul resto degli interventi chirurgici. Naturalmente allora nessuno si sognò di chiudere una città, una regione, un Paese.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/de-luca-chiude-le-scuole-e-sfida-roma-la-azzolina-prepara-il-contrattacco-2648220576.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-francia-mette-alla-sbarra-i-politici" data-post-id="2648220576" data-published-at="1602788637" data-use-pagination="False"> La Francia mette alla sbarra i politici La giustizia francese ha iniziato a indagare sulla strategia adottata dal governo di Parigi nella gestione della pandemia di Covid-19. Ieri gli inquirenti hanno effettuato delle perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni di alcune personalità politiche transalpine di primissimo piano. Si tratta dell'ex primo ministro Edouard Philippe, di Sibeth Ndiaye, portavoce del precedente governo, di Agnès Buzyn e di Olivier Véran, ovvero l'ex titolare della sanità e il suo successore, attualmente in carica. Le perquisizioni hanno interessato anche Jérôme Salomon e Geneviève Chêne, rispettivamente direttore generale della sanità e direttrice generale dell'ente Santé publique France. L'accusa rivolta ai rappresentanti politici e ai funzionari in questione è «di essersi astenuti dal combattere un sinistro». Per questo, l'obiettivo delle perquisizioni è di trovare delle prove, come sms o email, capaci di chiarire se le persone citate in giudizio, si siano rese più o meno conto dell'utilità delle misure da adottare per combattere la diffusione del virus cinese. Gli inquirenti cercheranno anche di capire se i membri del governo, attuali e precedenti, abbiano volontariamente scelto di non adottare certe soluzioni per limitare la propagazione del Covid. L'azione degli inquirenti in realtà non è iniziata ieri. In effetti, il 7 luglio scorso, è stato aperto un fascicolo sulla gestione del morbo nato a Wuhan dalla Cour de Justice de la République, ovvero il tribunale francese competente per giudicare l'operato dei ministri. Il procedimento era stato attivato dalle numerose denunce presentate, già durante il lockdown, a varie giurisdizioni transalpine. Nove delle 99 denunce presentate, sono state accolte dalla Cjr. All'origine di questi procedimenti giudiziari c'è il collettivo C-19 - rappresentato dall'avvocato francoitaliano Fabrice Di Vizio - che riunisce circa 600 professionisti del settore sanitario. Ma un'altra «scintilla» che ha scatenato questo incendio è stata l'intervista rilasciata a Le Monde lo scorso 17 marzo dall'ex ministro della Sanità, Agnès Buzyn. Parlando con i giornalisti del quotidiano, l'ex membro dell'esecutivo guidato da Edouard Philippe aveva fatto delle dichiarazioni esplosive. «Quando ho lasciato il ministero», ricordava Buzyn, «piangevo perché sapevo dello tsunami che ci attendeva». L'ex ministro aveva anche detto che «sin dall'inizio pensavo a una sola cosa: il coronavirus. Avremmo dovuto fermare tutto», riferendosi anche alla campagna elettorale. Nella stessa intervista, l'ex titolare della sanità diceva di aver avvertito Edouard Philippe il 30 gennaio dicendogli «che non sarebbero state possibili le comunali», il cui primo turno si è svolto due giorni prima del lockdown francese. E invece, pur con un secondo turno posticipato alla fine di giugno, la tornata elettorale c'è stata e l'ex ministro della sanità ha subito una pesante sconfitta nella Ville Lumière. In effetti, Buzyn aveva rimpiazzato a Parigi Benjamin Griveaux, il candidato sindaco macronista, costretto a gettare la spugna dopo la diffusione di un video a luci rosse. L'ex portavoce del vecchio governo, Sibeth Ndiaye, aveva invece suscitato polemiche nel nostro Paese con una dichiarazione fuori luogo: «L'Italia ha preso delle misure che non hanno permesso di frenare l'epidemia». Le indagini a carico degli esponenti governativi francesi sono solo all'inizio, ma è probabile che anche alcuni membri dell'esecutivo attuale possano essere chiamati a rispondere in sede giudiziaria. Nel mese di settembre, in effetti, anche il primo ministro Jean Castex è stato oggetto di una denuncia.