2020-04-26
De Benedetti progetta di riaprire «L’Unità»
Carlo De Benedetti e Eugenio Scalfari negli anni Novanta (Archivio Apg/Mondadori Portfolio via Getty Images)
John Elkann ha spento la linea di Repubblica e l'Ingegnere cerca rivincite, anche nei confronti dei suoi figli. Vorrebbe ridare vita al quotidiano di Antonio Gramsci, radunando le grandi firme della sinistra: Eugenio Scalfari, Gad Lerner, Michele Serra e ovviamente il barricadero Carlo Verdelli. La Resistenza continua a Milano. Abbandonata una Roma due volte ingrata (prima per l'avventura mai decollata in Rai, poi per l'uscita di scena shock da La Repubblica), Carlo Verdelli torna nella sua città dove conta di non interrompere il feeling con i lettori-partigiani. Quelli che più volentieri ha salutato andandosene dalla redazione; quelli che con maggiore passione lo hanno seguito nei 14 mesi con il passamontagna e la clava; quelli di una sinistra non renziana, non del tutto piddina, con un orizzonte che va dalle sardine ai lampi impressionisti di un postmarxismo 2.0 mai tramontato.Lo showdown voluto a Repubblica da John Elkann apre a scenari tutt'altro che fantasiosi. Da mesi nei salotti della capitale d'Italia dell'economia e dell'editoria si parlava di un ritorno clamoroso, quello di Carlo De Benedetti, che a 85 anni sembra pronto per l'ultima cavalcata in sella a un giornale. L'idea è semplice e affascinante: comprare la testata L'Unità, rispolverarne il mito e farla ripartire come un'auto vintage con Verdelli al volante e un certo numero di pezzi da novanta di Repubblica al seguito tipo Eugenio Scalfari, Michele Serra, Gad Lerner, Ezio Mauro, Francesco Merlo. Una squadra di grande impatto per andare a posizionarsi proprio fra Rep e Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Sarebbe una fuoriuscita in stile montanelliano, doppio precedente che solletica gli eventuali scissionisti. Nel 1974 infatti Indro Montanelli, disgustato dalla decisa svolta a sinistra del Corriere della Sera di Piero Ottone, operò lo strappo, portò via «l'argenteria di famiglia» da via Solferino (Enzo Bettiza, Egisto Corradi, Giancarlo Masini, Gianfranco Piazzesi, Antonio Spinosa, Livio Capito, Giorgio Torelli) e fondò Il Giornale. E poi nel 1994 sempre Montanelli, in dissidio con Silvio Berlusconi per la discesa in campo, lasciò la sua creatura per intraprendere la sfortunata avventura de La Voce. Qui, con un frontman come Scalfari a fungere da supremo testimonial, vivremmo un simmetrico ritorno al passato, uno strappo epocale, causato da una prevedibile svolta verso un centrosinistra riformista e renziano (John Elkann e Maurizio Molinari questo fanno intendere) del quotidiano-partito più famoso d'Italia, che nell'ultimo anno era tornato orgogliosamente il totem di una sinistra-sinistra ruggente e barricadera. Il cambio di proprietà è propedeutico a una nuova svolta, determinata anche dalla debolezza dei numeri sui quali possono contare i difensori, in redazione, del quotidiano gridato. Nel febbraio 2015 Repubblica vendeva 238.000 copie, esattamente cinque anni dopo 132.000, senza riuscire nel sorpasso di un Corriere della Sera egualmente in difficoltà. Anche sul digitale, da sempre fiore all'occhiello del gruppo, la crescita dei numeri segna il passo e l'emergenza coronavirus ha cristallizzato le posizioni. Il momento più muscolare della gestione Verdelli si può riassumere in un titolo: «Cancellare Salvini». Il messaggio aveva uno scopo, far capire che a largo Fochetti non si fanno prigionieri. Ma ne ha raggiunto uno opposto: indurre il compassato John Elkann (proprietario de La Stampa e azionista dell'Economist, quindi incline a un linguaggio da establishment) a prendere sempre più le distanze da quello che non era mai stato il suo direttore. Dal canto suo De Benedetti, tessera numero uno del Pd e storico editore del gruppo Repubblica-Espresso poi diventato gruppo Gedi, non ha mai metabolizzato l'uscita di scena dal mondo editoriale dei figli Rodolfo, Marco ed Edoardo ai quali aveva imputato apertamente una totale «incapacità gestionale» in una puntata edipica di Ottoemezzo su La7 davanti a Lilli Gruber. Avrebbe voluto ricomprarsi le quote, ma offriva troppo poco. Ora ha l'occasione di rientrare in gioco proprio con Verdelli, che battezzò direttore di Repubblica 14 mesi fa per sostituire Mario Calabresi e che definì «un ottimo giornalista perché ha restituito un'anima al giornale, ora lo leggo con entusiasmo».L'Unità sarebbe la casa perfetta. Il quotidiano comunista fondato nel 1924 da Antonio Gramsci ha vissuto un declino irreversibile dopo il crollo del muro di Berlino ed è stato chiuso e riaperto più volte, sempre con orizzonti molto limitati e con la lunga ombra del Pd a limitarne la freschezza e la libertà d'azione. La palla al piede del partito ha impedito al quotidiano anche di trasformarsi in un prodotto di nicchia. Tra concordati preventivi, rinascite e liquidazioni, la testata langue nel dimenticatoio. Il proprietario è il costruttore Massimo Pessina. Un anno fa Michele Santoro disse al Corriere della Sera di avere presentato un'offerta d'acquisto. Curiosamente, il 7 aprile è tornato online il sito Unità.tv, di proprietà della fondazione Eyu (think tank del Pd) con una schermata «il servizio riprenderà a breve».Lo scenario è interessante perché, anche se il contesto è difficile da una decina di anni e le corazzate sono in panne, il mercato tende a premiare iniziative coraggiose, ben identificate dal punto di vista editoriale, senza infingimenti né melliflui bordeggi. A destra come a sinistra, i piccoli vascelli piacciono e un lupo di mare come De Benedetti non ha certo paura di affrontare una sfida corsara in più.