La ricetta Trump fa piangere le Borse. Casa Bianca ai ferri corti con la Fed
Le ricette di Donald Trump per cambiare i parametri dell’economia mondiale fanno sanguinare i mercati. Abbandonare le regole della globalizzazione che funzionano da oltre un quarto di secolo e tornare al rapporto più stretto fra ricchezza e territorio non piace alla finanza internazionale che salta da un listino all’altro senza avere frontiere né patria.
Certo i metodi della Casa Bianca sono estremamente bruschi e quindi suscitano reazioni altrettanto rudi. La Cina risponde alle restrizioni del «Liberation day» annunciando il ricorso al Wto e dazi al 34% sulle importazioni dagli Stati Uniti. I riflessi sulla finanza internazionale sono devastanti. Ad amplificarli le dichiarazioni di Jerome Powell che gettano benzina sul falò delle Borse. Il capo della Fed delude le aspettative della Casa Bianca annunciando che i dazi faranno salire l’inflazione e dunque è presto per tagliare i tassi. Una dichiarazione che ha mandato su tutte le furie Trump. Poco prima dalla Casa Bianca era partito un perentorio messaggio intimando al banchiere di smettere di fare politica e di «tagliare i tassi».
Il braccio di ferro ha provocato il tracollo delle quotazioni che tuttavia Trump tende a minimizzare «È un momento straordinario per diventare ricchi, più ricchi che mai!!!», scrive sui sociali. I mercati, però, non la pensano così. L’Europa brucia altri 819 miliardi che sommandosi ai 422 miliardi di giovedì portano il saldo negativo a oltre 1.241 miliardi in due giorni. Milano azzera i guadagni del 2025 con un ribasso del 6,53%. Purtroppo un record negativo che ha precedenti particolarmente amari.
Un punto percentuale circa in meno, rispetto al ribasso scatenato dall’attacco alle Torri Gemelle, l’11 settembre del 2001.
Parigi ha perso il 4,26%, Francoforte il 5,09%, Londra il 4,94%, Madrid il 6,12%. Cadono del 5% gli indici di Wall Street dopo aver archiviato giovedì la peggior seduta dal 2020. Il listino di New York ha perso circa 10.000 miliardi di dollari dal 17 gennaio, giorno dell’insediamento del presidente Donald Trump, la metà solo nelle ultime due sedute. A poco serve il buon rapporto sull’occupazione di marzo, considerato dagli analisti come «la calma prima della tempesta», come «prima del Covid». Jerome Powell ha frenato sulla possibilità di un taglio a maggio, affermando che i dazi faranno aumentare l’inflazione e che sarà necessario aspettare. Nel contesto di questa tempesta perfetta, le previsioni non sono rosee. Banca d’Italia fa sapere che il Pil scenderà di mezzo punto per via dei dazi nei prossimi due anni. In media d'anno il Pil aumenterebbe dello «0,6 per cento nel 2025, dello 0,8 nel 2026 e dello 0,7 nel 2027». Rispetto allo scenario di dicembre, «le stime di crescita sono state riviste al ribasso, soprattutto per effetto di ipotesi più sfavorevoli sul contesto internazionale, che riflettono l’inasprimento delle politiche commerciali».
Gli analisti di Borsa avvertono che, se la situazione non cambierà rapidamente, potrebbero arrivare guai maggiori.
La frattura tra le economie occidentali rischia di allargarsi, mettendo sotto pressione anche i giganti manifatturieri come la Germania, che dipendono in modo significativo dalla domanda americana.
Le ripercussioni non si fermano qui. Con il rendimento dei titoli di Stato Usa a dieci anni sotto il 4%, anche il mercato obbligazionario è in crisi, e l’aumento degli spread tra Btp e Bund a 120 punti è la prova tangibile di una crescente incertezza sul futuro del debito pubblico italiano. L’aumento dei tassi di interesse, combinato con la discesa dei rendimenti obbligazionari, lascia prevedere una spirale negativa che non fa che accentuare la crisi.
Intanto, a livello globale, il prezzo delle materie prime come il petrolio e il gas sta vivendo un calo drastico, con il Wti che crolla dell'8,13% arrivando a 61,49 dollari al barile, ai minimi dal 2021. Ma, come sempre, la vera battaglia si gioca sul piano delle aspettative: se la recessione dovesse materializzarsi, gli effetti sarebbero devastanti non solo per l’industria americana, ma anche per l’intera economia globale.
In sintesi, la guerra commerciale voluta da Trump ha acceso una miccia che rischia di mandare in crisi l’intero sistema economico mondiale. Le perdite sui mercati finanziari sono solo l’inizio di un percorso che si preannuncia lungo e complicato. Cambiare i parametri si annuncia doloroso. Un po’ come fare della riabilitazione dopo un lungo silenzio. Lo scontro con la Fed è ormai insanabile e Powell ha fatto sapere che non ha intenzione di dimettersi.
E la vera domanda è: chi pagherà il prezzo di queste politiche? La caduta di Wall Street non colpisce solo i patrimoni ma anche il futuro di milioni di persone. Negli Usa le pensioni non vengono pagate dallo Stato ma con i proventi che i fondi pensione ricavano dai loro investimenti sui mercati. La salute di Wall Street diventa essenziale. I dazi la stanno rendendo malferma e così arriviamo al paradosso: da una parte i dazi di Trump vogliono riportare fabbriche e operai negli Usa. La manovra, però, sta facendo crollare i mercati minacciando la stabilità delle pensioni di quegli stessi operai. Una frattura pericolosa per il futuro dell’economia mondiale.





