2024-06-28
Sindacato e Tronchetti scoprono che il green fa fallire le aziende
Tronchetti Provera demolisce la transizione verde a tappe forzate: «Degli ignoranti ideologizzati stanno creando un danno enorme. Non abbiamo né materie prime né batterie». Già in maggio aveva sottolineato: «L’Ue causa problemi all’Europa e aiuta la Cina».Uno studio Fim Cisl mostra il crollo delle commesse e l’esplosione dell’uso della Cig. Va peggio per Nord e piccole imprese. Colpa di tutte le scelte sbagliate di Bruxelles.Lo speciale contiene due articoli.L’altra sera il vicepresidente esecutivo di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, era sul palco del teatro Parenti di Milano per presentare il volume L’officina dello sport, pubblicato da Marsilio arte e curato dalla Fondazione Pirelli. Si tratta di un progetto editoriale che documenta i cantieri, i laboratori, le fabbriche dei prodotti sportivi, il backstage delle competizioni; le voci, gli inni dello sport. A un certo punto gli è stata fatta una domanda sul tema della sostenibilità. Che per Pirelli «è una priorità assoluta, la priorità delle priorità è la nostra gente» ha spiegato Tronchetti riferendosi agli incidenti sul lavoro: «Quando si parla di sostenibilità le persone sono la primissima cosa». Perché «la sostenibilità non è un tema populistico, non deve esserci un percorso ideologico», ha sottolineato Tronchetti. Che poi ha alzato il tiro, accalorandosi: «Questa è la follia che stiamo affrontando: degli ignoranti ideologizzati stanno creando un danno enorme, perché dobbiamo fare tutto elettrico quando sappiamo benissimo che le materie prime non le abbiamo, le batterie non le abbiamo, l’energia solare non la possiamo raccogliere, se non con i pannelli che vengono non certo dall’Europa, che le turbine delle pale eoliche in Europa non siamo in grado di farle? Di che cosa stiamo parlando? Di idiozie, fesserie». Una critica netta, dura. Che arriva da un imprenditore da oltre 30 anni sulla scena dell’industria italiana. E proprio mentre a Bruxelles si sta decidendo la nuova maggioranza europea che tra i principali nodi da sciogliere avrà sul tavolo l’approccio alla transizione verde dopo i risultati del voto nella Ue. Non è la prima volta che Tronchetti va all’attacco su questo tema. Lo scorso 17 maggio, intervenendo al summit delle Confindustrie del B7, aveva già avvertito: «Sulla transizione green l’Europa ha obiettivi irrealistici, insostenibili, dobbiamo cambiare direzione, cambiare la nostra rotta. Non ci stiamo muovendo sempre nella direzione giusta. La neutralità tecnologica nell’energia dovrebbe essere il nostro faro», servono «risultati migliori rispetto a quello che è stato fatto fino ad ora». È «una situazione molto difficile: alcune iniziative a livello europeo stanno creando problemi all’Europa e favorendo la Cina» mentre «burocrati e politici non sempre ascoltano il parere dell’industria, e sarebbe importante farlo». Non basta, infatti, preservare la sostenibilità ambientale, vanno preservate la sostenibilità economica e la sostenibilità sociale. Soprattutto in un settore come quello dell’automotive. Nel primo trimestre del 2024 le immatricolazioni di automobili nell’area dell’euro sono state inferiori di circa il 20% rispetto all’inizio del 2018. I target fissati al 2035 da Bruxelles in termini di utilizzo di auto elettriche non sono raggiungibili. Cosa farà l’Europa? Li aggiornerà allungando i tempi con concretezza? Vedremo, anche alla luce di come e se cambieranno le mosse dell’«azionariato» politico della Commissione quando si sarà conclusa la partita sulle nomine. Di certo, alle parole di Tronchetti fanno da sfondo i numeri. Come quelli contenuti nel report di Goldman Sachs pubblicato a fine maggio: mostrava che il consumo di petrolio raggiungerà il picco entro il 2034 a causa di un potenziale rallentamento nell’adozione di veicoli elettrici (Ev), mantenendo le raffinerie in funzione a tassi superiori alla media fino alla fine di questo decennio. Insomma, il futuro dei veicoli elettrici sta diventando un rompicapo per la Ue. Lo dimostra anche l’allarme lanciato lo scorso 22 aprile quando un audit della Corte dei conti Ue ha sottolineato che ridurre le emissioni delle auto è più facile a dirsi che a farsi perché l’industria europea delle batterie è in ritardo rispetto ai concorrenti mondiali, soprattutto cinesi, e questo rischia dunque di non far raggiungere i target. La raccomandazione dei giudici del Lussemburgo partiva dal fatto che per azzerare le emissioni nette entro il 2050 è necessario diminuire le emissioni di carbonio prodotte dalle auto a motore endotermico, esplorare le opzioni di combustibili alternativi e favorire la diffusione dei veicoli elettrici sul mercato di massa. Il Green deal va però conciliato con la sovranità industriale e con l’accessibilità economica per i consumatori. Ebbene, il primo punto non si è finora concretizzato, il secondo risulta non sostenibile su vasta scala e il terzo rischia di essere costoso sia per l’industria sia per i consumatori della Ue.Il regolamento europeo prevede una scappatoia nel 2026 con le cosiddette clausole di revisione che, in base agli sviluppi tecnologici e alla necessità di garantire una transizione fattibile e socialmente equa verso le emissioni zero, potrebbero rimettere in discussione lo stop del 2035. Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi, intanto però c’è chi come Tronchetti ha il coraggio di definire «idiozie, fesserie» le politiche verdi avviate sin qui da degli «ignoranti ideologizzati».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/danni-transizione-ecologica-2668626280.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="guerra-tassi-e-manie-verdi-mettono-a-rischio-il-lavoro-di-103-000-metalmeccanici" data-post-id="2668626280" data-published-at="1719517744" data-use-pagination="False"> Guerra, tassi e manie verdi mettono a rischio il lavoro di 103.000 metalmeccanici All’interno del settore metalmeccanico aumentano i lavoratori coinvolti in crisi aziendali, che passano dagli 83.817 del 31 dicembre 2023 ai 103.541 di questa fine giugno. Il dato viene da un report della Fim Cisl sullo Stato delle crisi nel settore metalmeccanico relativo al primo semestre dell’anno in corso. Tra le cause individuate nel documento, spiccano la rapida salita dei tassi di interesse, la transizione ecologica (e digitale) e le guerre, tutti fattori su cui l’Unione europea gioca un ruolo determinante. Una dinamica da osservare con preoccupazione - visto il celere peggioramento nel giro di pochi mesi, che colpisce naturalmente anche l’indotto - e da tenere presente quando si discute di appoggiare una maggioranza europea che sarebbe la fotocopia di quella che ha prodotto questi disastri (o non ha saputo evitarli). Il dato sui lavoratori coinvolti in crisi di aziende del settore metalmeccanico, si legge nel documento, «conferma in maniera preoccupante i segnali già emersi alla fine dello scorso anno, quando si è registrato un calo, seppur lieve, della produzione industriale. Oggi questo dato, confermato anche dall’Istat per il primo trimestre dell’anno in corso, ha assunto una maggiore importanza in termini quantitativi e qualitativi». Stiamo parlando, in effetti, di un incremento di circa il 23% in un lasso di tempo piuttosto ristretto. Gli autori del rapporto hanno analizzato un campione che comprende 712 aziende metalmeccaniche, di cui 312 sopra i 50 dipendenti e 400 con meno di 50 dipendenti. Quanto emerge è un forte calo delle commesse e la conseguente apertura della cassa integrazione in molte delle aziende censite. «Molte di queste», viene specificato, «sono coinvolte a vario titolo nei processi di transizione green o digitale», cioè il cappio imposto al Vecchio continente dal Green deal europeo. Il documento registra segnali di rallentamento nei settori dell’automotive e del termomeccanico, ma anche in quelli dell’elettrodomestico, dei mezzi agricoli e nella siderurgia. «Le difficoltà finanziarie innescate dalla rapida salita dei tassi d’interesse», continua il documento, «si sono acuite rispetto al semestre precedente, anche se l’inversione di rotta avviata dalla Bce con il primo taglio comunicato il 6 giugno dovrebbe preludere, qualora la tendenza all’allentamento della politica monetaria fosse confermato, a un miglioramento nella seconda parte dell’anno e ancor più nel 2025». «L’inasprimento delle condizioni di finanziamento continua tuttavia a pesare», aggiunge, «soprattutto per le aziende al di sotto dei 50 dipendenti». Qui, però, andrebbe sottolineato il problema di avere un’unica Banca centrale, la Bce, che fissa politiche monetarie per un insieme di Paesi con fondamentali macroeconomici assai diversi. L’Italia, infatti, registra un tasso di inflazione inferiore all’obiettivo del 2% - al di là del dibattito sul senso di questo parametro - da ottobre 2023. Ciononostante, abbiamo continuato a subire una stretta monetaria per noi assolutamente inutile (anzi, dannosa), mentre il ritorno delle regole del Patto di stabilità impedisce alla politica fiscale di controbilanciare l’effetto depressivo dell’innalzamento dei tassi. A distanza di anni, dopo una pandemia che ha ribaltato il paradigma dell’austerità, l’Ue è ancora guidata da persone che predicano, nel 2024, un’ormai anacronistica disciplina dei conti pubblici (mentre, parallelamente, impongono una transizione energetica che richiede centinaia di miliardi di investimenti). Lo stesso rapporto della Cisl, d’altra parte, invoca un «sostegno di carattere pubblico che superi la logica dei bonus e investa seriamente e con convinzione su una strategia che punti a finanziare investimenti in nuove tecnologie e rafforzi le competenze professionali dei lavoratori». Bisognerebbe allora indicare con forza che cosa impedisce gli investimenti pubblici: l’appartenenza dell’Italia all’euro e all’Ue, visto anche che la riforma del Patto di stabilità non pare aver determinato alcun cambio di paradigma. «In alcune regioni», scrive ancora la Fim Cisl, «in particolare Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, su molte aziende continuano a pesare gli effetti derivanti dal conflitto tra Russia e Ucraina, concentrati in particolare nei settori legati ai serramenti, macchinari e impiantistica industriale». Poco sotto, viene evidenziato un aumento delle aziende in crisi rispetto al semestre precedente in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, cioè - rispettivamente - la prima, la terza e la quarta regione italiana per Pil. «Transizioni, riposizionamento delle catene del valore a livello globale, guerre, tensioni e crisi geopolitiche e calo delle commesse», si legge alla fine del rapporto, «continuano a impattare notevolmente sull’intero settore metalmeccanico, che proprio in questa fase necessiterebbe di importanti investimenti economici e infrastrutturali oltre che di una riduzione dei costi energetici». Una sintesi perfetta del perché guardare con preoccupazione a un’eventuale Ursula bis, specialmente se con la stessa maggioranza del quinquennio appena passato.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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