2024-12-09
Damasco in mano ai jihadisti, il regime di Assad è finito. Asilo in Russia per il dittatore
Termina il giallo sulla sorte del rais: si è dimesso ed è riparato a Mosca. I ribelli ora hanno tutto il potere. Israele blinda i suoi confini, la Turchia canta vittoria.Le forze ribelli in Siria hanno annunciato ieri mattina che «il popolo siriano libero ha rovesciato il regime di Bashar Al Assad». In precedenza i ribelli erano arrivati «oltre le linee nemiche», nella capitale siriana Damasco, e avevano iniziato a dare la caccia al presidente siriano. Due fonti delle forze ribelli hanno detto alla Reuters che non sembrava esserci alcun dispiegamento dell’esercito siriano in città e in effetti gli ufficiali e i funzionari della sicurezza si erano già ritirati dal quartier generale del ministero della Difesa a Damasco. Quanto a lui, l’ormai ex leader siriano è riparato in Russia. Secondo la Tass, che ha parlato con una fonte, «Assad e i membri della sua famiglia sono arrivati a Mosca e, sulla base di considerazioni umanitarie, la Russia ha concesso loro asilo». Secondo quanto riportato in Siria, l’aereo di Assad è decollato dal Paese poco dopo che i ribelli avevano preso il controllo della capitale, ma l’aereo è poi scomparso dai radar (avrebbe spento il trasponder). Le indiscrezioni sul fatto che l’aereo sarebbe caduto parrebbero quindi smentite dai fatti. C’è chi sostiene che moglie Asma e i loro tre figli siano a Mosca da una settimana. La Russia, attraverso il suo ministero degli Esteri, ha inoltre confermato che Assad ha lasciato definitivamente la guida del Paese: «A seguito dei negoziati tra Assad e alcuni partecipanti al conflitto armato sul territorio della Siria, Assad ha deciso di lasciare la carica presidenziale e ha lasciato il Paese, dando istruzioni per effettuare pacificamente il trasferimento del potere. La Russia non ha partecipato a questi negoziati», viene sottolineato nella nota. Mentre scriviamo, sui social circola il video del leader dei jihadisti, Al Jolani, che entra nella Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco e qui ha fatto allusione alla famosa «droga della jihad» con cui si finanziava il regime: «Il dittatore ha lasciato che la Siria diventasse la base del Captagon e da oggi non saremo più una base per il traffico di Captagon». Poco prima alla tv siriana il leader di Hayat Tahrir Al Sham ha affermato: «Non si torna indietro, il futuro è nostro». Abu Mohammad Al Jolani, nome di guerra di Ahmed Al Sharaa, quando è arrivato Damasco si è fatto riprendere mentre si inginocchiava e baciava il terreno. Secondo Bloomberg, prima di lasciare la Siria il presidente siriano attraverso gli Emirati Arabi Uniti ha inviato un messaggio indiretto al presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, proponendo di poter restare al potere con l’avallo americano in cambio della rottura dei legami con l’Iran e la Russia. Una mossa disperata che non ha avuto successo dato che il presidente eletto presente sabato alla cerimonia di riapertura di Notre-Dame a Parigi è stato chiaro: «La Siria è un disastro, ma non è nostra amica, e gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra lotta. Lasciamo che la situazione si sviluppi. Non lasciamoci coinvolgere». E ora che succede? Il primo ministro siriano Mohammad Razi Al Jalali ha rilasciato una dichiarazione speciale dopo il rovesciamento del regime di Assad, in cui ha affermato che il suo governo è pronto a collaborare con qualsiasi leadership scelta dal popolo siriano. «Spero che tutti agiscano razionalmente. Sono pronto a sostenere la gestione continua degli affari del Paese. Siamo pronti a collaborare con qualsiasi leadership il popolo scelga. Tendiamo una mano a ogni cittadino siriano che desidera preservare le capacità del Paese e crede che la Siria appartenga a tutti i siriani», ha detto Al Jalali. Che tuttavia è stato poco dopo arrestato. Hadi Al Bahra, capo della principale opposizione siriana in esilio, a margine del forum di Doha ha affermato che «la Siria dovrebbe avere un periodo di transizione di 18 mesi per stabilire un ambiente sicuro, neutrale e tranquillo per libere elezioni». Il commento più atteso era senza dubbio quello dell’Iran, anche esso storico sostenitore di Assad, che attraverso una nota rilasciata dal ministero degli Esteri iraniano ha dichiarato: «Il futuro della Siria dovrebbe essere determinato dal popolo siriano, senza interventi stranieri distruttivi e coercitivi». La dichiarazione è la prima reazione ufficiale di Teheran al rovesciamento del governo di Assad da parte delle forze ribelli che è un durissimo colpo per Teheran e Mosca. Una fonte della sicurezza ha riferito al quotidiano saudita Al Hadath che le forze di difesa israeliane hanno preso il controllo della base militare sul versante siriano del monte Hermon, e di altre basi siriane nell’area, dopo la ritirata delle forze di Assad. «Questa regione», ha affermato Netanyahu, «è rimasta sotto la gestione di una zona cuscinetto stabilizzata dall’accordo di separazione delle forze del 1974 per quasi 50 anni». Ora secondo il premier israeliano, «questo accordo con la Siria è venuto meno». Poi ha aggiunto che i soldati siriani hanno abbandonato le loro posizioni, sottolineando che «Israele non consente a nessuna forza ostile di insediarsi al nostro confine e si tratta di una misura difensiva temporanea fino a quando non si troverà un accordo adeguato». Mentre andiamo in stampa apprendiamo che le forze di difesa israeliane hanno preso di mira infrastrutture militari siriane critiche, tra cui depositi di missili e sistemi d’arma avanzati. In particolare, è stato bombardato l’aeroporto militare di Al Mazzeh a Damasco. Per l’esercito israeliano «queste azioni mirano a contrastare le potenziali minacce delle forze sostenute dall’Iran e a mantenere la sicurezza nella regione».Esulta invece la Turchia, vera potenza dominante ora nella regione: «Il controllo del Paese è passato definitivamente di mano», ha annunciato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan. Ankara ha anche offerto «supporto» al nuovo potere siriano.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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