2025-04-02
Dalle manate ai vaffa ai «negri». Prodi è sempre stato un finto buono
Ora ha perso i freni inibitori e non si contiene più, ma chi lo conosceva bene diceva di lui che «gronda bonomia da tutti gli artigli». La sua fortuna è che finora i giornalisti lo avevano trattato con i guanti bianchi.«Romano gronda bontà da tutti gli artigli». Gli impiegatucci e i professoroni di Nomisma si palleggiavano la battuta di Nino Andreatta già 30 anni fa, nella Bologna proto-ulivista, quando Romano Prodi passava per entrare in ufficio e ordinava: «Ci sono solo per l’Avvocato Agnelli e per Jacques Chirac». Lo canzonavano sottovoce per non irritarlo. Quello che vediamo all’opera in questi giorni, con meno autonomia della batteria di una Cinquecento elettrica, è sempre lui. Senza freni inibitori, lasciati in garage a 85 anni per diritto di età.Il nonno della sinistra deambula su giornali e tv fra interventi lunari all’assemblea del Pd e gaffes spaziali, fra consigli missilistici a Ursula von der Leyen e tirate di capelli alla giornalista Lavinia Orefici per una domanda scomoda sul Manifesto di Ventotene, improvvisamente più intoccabile dei diari dossettiani. Basta provocarlo per scoprire l’inclinazione nascosta da Cattivissimo Me. Basta seguirlo per illustrare la perdurante stagione da Gremlin. Ecco il bis a Venezia con la cronista Rebecca Pecori che lo incalza e si sente rispondere: «Un po’ di rispetto!». E quando replica «lei non ne ha avuto per la collega qualche giorno fa», vede il volto del nonno della sinistra trasformarsi in maschera diabolica. Lui vorrebbe affrontarla a muso duro ma viene portato via da un collaboratore per evitare il match fra le calli. Non è finita, dall’archivio spunta un video nel quale il poco dialettico campione del «centralismo democratico» regala l’epiteto «Stronzo!» a un barista che aveva osato punzecchiarlo. In un’altra clip del 2014 risponde alla domanda di un reporter con un buffettone a tenaglia di quelli che stritolano le guance. La vocazione Monzon, questa sconosciuta. Neppure per il cardinale laico dei cattodem è facile farsi zen quando i riflettori scottano. Ed è impossibile non inciampare in un vaffa quando la trappola mediatica è in agguato. È capitato a Giorgia Meloni, a Matteo Salvini e a Matteo Renzi, per una vita intera a Silvio Berlusconi. A lui praticamente mai perché ha sempre camminato sulla parte giusta del marciapiede, trattato con i guanti bianchi per mezzo secolo. Un padreterno a prescindere, come oggi Mario Draghi. Una volta chi scrive riportò alla lettera i suoi sussurri postprandiali durante una conferenza stampa improvvisata sotto casa. Il giorno dopo non fu necessaria la reprimenda prodiana, bastò quella dei colleghi degli altri giornali che presero il buco perché, invece di trascrivere, «interpretavano» con affetto. Povero Professore, costretto ad atterrare proprio mentre vorrebbe decollare a fianco degli Eurofighter. Nonostante il destino metaforico da insaccato lui non è mai stato tenero, alla faccia delle apparenze. Quando doveva convincere gli astanti, sillabava il concetto picchiando un pugno sull’altra mano e poi sulla scrivania. Ricordando l’uscita da palazzo Chigi nel 2008, scrive Ferruccio De Bortoli nell’autobiografia Poteri forti (o quasi): «Sul tavolo del suo ufficio spiccava uno strano temperamatite. Raffigurava un uomo supino. La punta della matita si faceva in corrispondenza del suo cuore, sanguinante. Si premeva e il pupazzo si agitava come se stesse morendo. “Ecco, voi mi avete trattato così”, disse». Erano i tempi in cui teorizzava: «Ho fatto 33 privatizzazioni. Quando ho fatto la trentaquattresima hanno privatizzato me e mi hanno mandato a casa». Invecchiando, la vena masochista ha lasciato il posto ai guantoni da boxe.Allora tratteneva il respiro dicendo: «Le maggioranze per un voto sono sexy». Adesso si percepisce profeta infallibile e partono le sberle. Un tempo aveva la fortuna di essere attorniato da gente che gli metteva i sottotitoli «pol. corr.» dalla sacrestia. E quando non accadeva erano imbarazzi. Nel 1977 scrisse un editoriale sul Corriere della Sera nel quale spiegava che «l’Italia è stata l’unico Paese occidentale a dover gestire il proprio sviluppo senza i lavoratori stranieri. Detto in linguaggio più semplice, l’Italia è stata l’unica a mandare avanti una società industriale senza “negri”, che negli Stati Uniti erano negri nel senso letterale della parola». Titolo del pezzo: «L’Italia è diversa e mancano i negri». Il titolista non doveva essere Dino Buzzati.Il Professore ha perso la brocca. Ma per difendere il totem la sinistra ha perso la faccia. Elly Schlein in silenzio, pattuglie di eurolirici in ferie. Con il solo consigliere del Pd di Valsamoggia, Angelo Dieni, a gettarsi oltre l’ostacolo e oltre il ridicolo: «Quella giornalista è una cretina. Invece di tirarle i capelli, Prodi avrebbe dovuto assestargli un calcio negli stinchi». Nemesi in purezza. Calmatevi tutti, magari con una seduta da un medium. O con una sgambata democratica in bici verso la Raticosa. Ma non sorpassatelo, potrebbe sbranarvi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)