2023-08-03
Dalle macchine alla finanza verde. Le ecomanie han rotto come il woke
Dopo la sbandata Lgbt, Bud costretta a licenziare per il crollo delle vendite. Lo stesso che registra il settore elettrico della Ford, con 4,5 miliardi di perdite. E ormai pure i grandi fondi snobbano le campagne anti fossili.I verdi rischiano di rimanere al verde. Una fine tipo quella dei deliri woke. Vi ricordate Bud Light? La birra simbolo dell’America profonda, per inseguire le mode del momento, aveva commesso l’ingenuità di farsi pubblicizzare da un influencer trans. L’incauta scelta di marketing aveva innescato un clamoroso boicottaggio. Risultato: l’azienda madre, dopo il crollo delle vendite, ha dovuto annunciare centinaia di licenziamenti. La casa automobilistica Ford non versa in acque così cattive, ma la rivoluzione ecologica non le sta portando granché bene: la compagnia, per il 2023, ha messo in conto perdite per 4,5 miliardi di dollari nel comparto vetture elettriche, contro le stime iniziali che limitavano il buco - si fa per dire - a 3 miliardi. È il doppio del rosso registrato lo scorso anno, a riprova di un trend infelice e nonostante l’ottimismo del ceo, che parla di «investimenti intelligenti», «clienti fedeli» e «sviluppi che sorprenderanno le persone». Quel che sta accadendo, in effetti, non sorprende affatto, almeno chi vive sulla Terra anziché sul pianeta della ztl elettrificata: i politici e le corporation spacciano la transizione per il sol dell’avvenire; invece i consumatori faticano a mandarla giù. Uno dei problemi riguarda il prezzo e il rapporto costi-benefici dei veicoli a batteria, benché la multinazionale Usa prometta che metterà in cantiere modelli più economici. Per adesso, il pick-up della Ford, che si fabbrica con materie la cui estrazione porta devastazione e scompiglio in Brasile, viaggia intorno ai 100.000 dollari. È un dettaglio utile a illuminare un paio di interessanti analisi uscite, negli ultimi giorni, su Repubblica. Il quotidiano di un gruppo che, di macchine, dovrebbe saperne qualcosa.Il foglio di largo Fochetti ha sottolineato che, in 20 anni, il prezzo delle vetture in Italia è raddoppiato: «L’automobile», insomma, «sta diventando un bene di lusso». Repubblica ricordava proprio il virtuoso esempio di Henry Ford, secondo cui gli operai della fabbrica dovevano potersi permettere di acquistare quel mezzo. Per questo furono introdotti un’organizzazione razionale della catena di montaggio, che ne riducesse i costi, e salari più alti. La Ford, oggi, batte una strada diversa. E nel Vecchio continente, culla dell’austerità, del modello orientato all’export piuttosto che alla domanda interna, la situazione è persino peggiore. Intanto, alla piaga delle quattro ruote inaccessibili, si aggiunge la nota dolente delle abitazioni. Il giornale di Maurizio Molinari, ieri, ci informava che, in una grande città come Milano, un single senza enormi disponibilità patrimoniali può comprare al massimo un appartamento da 30-40 metri quadri. In periferia. Per carità, le cause sono molteplici: la guerra, l’inflazione, l’aumento dei tassi. Ma non aiuta la batosta verde che si profila all’orizzonte, con la direttiva sull’efficientamento energetico in fase di approvazione, al trilogo, entro fine mese. Sempre per la serie dei bagni di realtà: da un lato c’è la retorica green, ci sono gli appelli a fare presto per non «perdere la terra», perché non c’è più tempo per una «transizione graduale» (Giuliano Amato); ci sono le attrici con l’ecoansia, gli editorialisti under 30 che considerano «demenziale» fare figli, tanto creperanno per via di qualche cataclisma; dall’altro lato, ci sono gli stipendi delle persone. La perdita di potere d’acquisto, che è perdita di potere in generale. Il depauperamento delle classi medie. Si comincia a capire, allora, a cosa servano davvero gli allarmi, le minacce, le catastrofi, financo la nobilitazione delle patologie psichiatriche, innalzate a pubblica dimostrazione di coscienza civile: se la prospettiva è morire, qualsiasi alternativa è meglio. Anche non guidare più la macchina. Anche non essere più in grado di contare su una casa di proprietà. Il punto è che il mondo vero non somiglia alla distopia che sta costruendo Frans Timmermans. Sotto il velo ambientalista, si celano i sotterfugi. Prendete Blackrock. Il Congresso americano ha appena aperto un’inchiesta perché il fondo, grande sponsor dei criteri Esg da imporre alle aziende, avrebbe investito in 20 società cinesi che erano nella lista nera di Washington. Una mano di vernice ecologica, una mano nel lucro senza scrupoli. Alla faccia del sottilissimo risiko geopolitico che si gioca sul passaggio alle rinnovabili: il Dragone è il concorrente insidioso nelle grinfie del quale potremmo cadere, per colpa della mania per l’energia pulita. Mentre Pechino, Delhi, l’Africa e il Sudamerica continuano a inquinare. Non a caso, gli attori economici manifestano crescenti segnali di insofferenza. Vi abbiamo riferito delle banche, che stanno frenando sull’idea di diffondere i dati sull’impatto carbonico di azioni e obbligazioni. Ora, il Financial Times riconosce che il consenso sulle politiche «net zero», in Gran Bretagna, si sta sbriciolando. E Reuters avverte: negli Stati Uniti, i gestori di grandi asset finanziari s’interessano sempre meno alle campagne per spingere le imprese a sbarazzarsi dei fossili.È cristallino lo scollamento tra l’oltranzismo di Bruxelles e i fatti concreti. I quali, se vogliamo dirla tutta, smentiscono la minaccia esistenziale per l’umanità. Un esempio? Il Wall Street Journal ha fatto piazza pulita delle tirate sull’autocombustione dei cavi in Sicilia: la scienza, quella basata sui ragionamenti e non sulla propaganda, mostra che, dal 2000, la superficie del globo colpita dagli incendi si è ridotta. Ma più la realtà bussa alla porta, più i custodi dell’edificio verde si rifugiano nel terrorismo psicologico. O nella comunicazione simbolica. Tant’è che la guerra, sorpassata nelle cronache dal resoconto degli eventi atmosferici, sta tornando in auge nella variante ecocompatibile: sul Corriere di ieri, campeggiava la storia della ventunenne ucraina spedita al fronte per studiare l’impatto sull’ambiente delle bombe. Quelle che Putin doveva aver esaurito mesi fa. Ecco: il cerchio si chiude. La crociata green ricorda - come farsa che segue la tragedia - la controffensiva ucraina: una gloriosa avanzata che si trasforma in un pantano.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)