2018-07-23
Dalle case sfitte ai viaggi spesati: i sei buchi neri dell’Inps di Boeri
Immobili in saldo e pensionati spremuti: così l'istituto di previdenza sociale tratta le sue vere «risorse».Il tesoro di (almeno) 7.000 opere d'arte che non è mai stato valorizzato né censito. Quanti milioni potrebbe incassare l'ente con gli innumerevoli capolavori dispersi nei suoi palazzi? Chissà. Finora è riuscito solo a spendere 50.000 euro per esibirli.Uno dei primi atti ufficiali di Tito Boeri, poco dopo la nomina al vertice dell'Inps da parte di Matteo Renzi nel 2014, fu quello di traslocare. L'ufficio nella sede centrale dell'istituto all'Eur non rispondeva appieno al gusto raffinato dell'economista bocconiano, figlio della designer Cini Boeri e fratello dell'architetto Stefano. Eppure la costruzione è di pregio, in cemento armato ricoperto di marmo delle Apuane, firmata da progettisti quali Giovanni Muzio, Mario Paniconi e Giulio Pediconi. Ma Boeri preferiva qualcosa di più rappresentativo, come il piano nobile di Palazzo Wedekind, che si affaccia su piazza Colonna. Decorato all'interno da arazzi, stucchi e preziosi mosaici. A due passi da a Palazzo Chigi, dove allora regnava il premier di Rignano e oggi siede Giuseppe Conte. Sul retro dello stabile, in piazza Montecitorio, fece anche ricavare un box per posteggiare l'auto blu. L'immobile è di proprietà dell'Inps, quindi non c'è pigione da versare, tuttavia sorsero polemiche: qualcuno contestò al neo presidente un mancato incasso di circa 500.000 euro l'anno, che sarebbe derivato dall'affitto a terzi. Il patrimonio immobiliare dell'Inps è sempre stato gestito, per usare un eufemismo, in maniera disinvolta. Anche se va riconosciuto a Boeri di essersi impegnato, attraverso una serie di aste tuttora in corso, a vendere per raddrizzare i conti in rosso perenne. Ma i guai e le stranezze dell'Inps sono molteplici, non in toto imputabili a Boeri, il quale però presiede e presiederà l'ente fino al 2019. Si va dagli espedienti, tutti legali per carità, per smagrire gli assegni agli anziani, alle richieste di rimborsi non dovuti e alle tasse nascoste, dal tacere sui diritti degli assistiti trattenendo i soldi in cassa alla curiosa pratica di offrire le vacanze estive ai pensionati statali con annesso coniuge e ai figli dei dipendenti.Il tesoro in mattoni ammonta a 3,2 miliardi di euro: 800 milioni sono il valore delle 700 sedi proprie dislocate in tutta Italia, i restanti 2,4 miliardi riguardano 25.440 unità immobiliari. Palazzi, appartamenti, negozi, cascine e cantine destinati alla vendita o alla locazione. La gestione di tanta fortuna, per la metà concentrata a Roma, è però disastrosa. Lo scorso anno la Corte dei conti ha rilevato che nel 2015 il patrimonio in case dell'Inps è riuscito a generare una perdita di quasi 71 milioni di euro. Malgrado i 5,3 milioni spesi per il personale dedicato alla valorizzazione degli immobili. Inoltre il 26,7% degli alloggi risulta occupato abusivamente, mentre solo un edificio su cinque produce un qualche reddito. Per farsi un'idea del rigore dei controlli svolti dall'ente, basti ricordare che nell'aprile scorso sono stati arrestati a Firenze due fratelli calabresi, imprenditori edili, che si erano accaparrati illegalmente 5 appartamenti Inps, ora sotto sequestro, che affittavano in nero ai loro lavoratori romeni. Aggiungete che il 52% degli alloggi dell'istituto è sfitto e anche quelli affittati rendono in media 200 euro al mese. Canoni stracciati, ma non sempre a favore di famiglie bisognose. Per esempio tra gli ex inquilini Inps a Bergamo troviamo l'ex presidente della Corte d'assise: ha vissuto in un appartamento per 32 anni, pagando una pigione di 200 euro mensili, che arrivavano a 380 con le spese condominiali e le utenze. Facendo due conti si capisce perché, dal 2013 al 2015, la perdita complessiva sia stata di 230 milioni. E prima non andava meglio: 655 milioni di buco tra 2008 e 2013.In periodo di incipienti ferie vale la pena di ricordare l'iniziativa dal titolo spiritoso «Vacanze Inpsieme», proposta dall'istituto guidato da Boeri. Di cosa si tratta? Un privilegio rivolto ai pensionati statali e coniugi nella versione senior, quelli un tempo iscritti all'Inpdap, e ai figli di dipendenti statali nella versione junior. I posti sono però limitati: per gli anziani sono disponibili 1.250 vacanze di 8 giorni e 7 notti e 2.600 per «soggiorni di durata pari a 15 giorni e 14 notti». I beneficiari vengono scelti sulla base di una graduatoria elaborata per ordine crescente di indicatore Isee, con priorità d'accesso ai disabili. Per i figli degli statali invece ci sono 11.900 posti per permanenze in Italia e 2.450 per quelle oltre confine. I mesi in cui se ne può usufruire sono luglio, agosto e settembre. L'importo massimo del contributo è di 800 euro per un soggiorno in Italia o all'estero di 8 giorni e 7 notti e di 1.400 per un viaggio di 15 giorni e 14 notti. Ma se la vacanza all'estero diventa di studio, le cifre per gli junior crescono: 2.400 euro per 15 giorni, mentre si sale a 4.000 euro per i soggiorni di 4 settimane. Curiosando sul Web si nota che le agenzie di viaggio fanno a gara per accaparrarsi villeggianti e studenti spesati dall'Inps. In catalogo troviamo infatti una miriade di proposte: «Tour della Terra santa», ma ci sono anche il «Tour della Russia», «Spagna Caliente» e il «Gran tour del Portogallo». E poi Grecia, Francia, i fiordi della Scandinavia, crociere nel Mediterraneo, resort, centri termali e hotel al mare e in montagna. E per i ragazzi che imparano le lingue straniere ecco i corsi a Cambridge e Oxford organizzati dall'Accademia britannica, o a Berlino, Miami, Dublino e New York.L'Inps puntualizza che questi soldi non sono pagati da tutti i contribuenti: le vacanze premio sono infatti elargite dal Fondo della gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, a cui sono iscritti 3,3 milioni di lavoratori. E il fondo è alimentato «con lo 0,35% della retribuzione contributiva e pensionabile degli statali e con lo 0,15% della pensione degli ex dipendenti pubblici». Il tutto, sottolinea ancora l'istituto di Boeri, non sottrae nulla alle altre gestioni. Resta il fatto che si tratta di un privilegio che non vale per altri. E l'Inps è un ente con un bilancio di previsione in rosso di 7 miliardi e 581. Tra le angherie preferite dall'istituto c'è quella di chiedere ai pensionati la restituzione di somme già percepite. Percepite non per colpa degli assistiti, ma perché l'ente ha sbagliato i calcoli e se ne accorge, di solito, con decenni di ritardo. Come nel caso di Giulio, 81 anni, che nel settembre scorso si è visto recapitare una raccomandata: gli chiedevano indietro 64.022,68 euro «dopo l'accertamento in sede definitiva della pensione dell'erogazione di maggiori somme non dovute dal 1 ottobre 2000 al 31 dicembre 2016». Nella lettera si ammettono, bontà loro, due modalità di pagamento: tutti i soldi assieme oppure a rate con piccoli interessi che Giulio finirebbe di versare a 105 anni compiuti. Il suo non è un caso isolato: nei mesi scorsi migliaia di pensionati hanno ricevuto questo tipo di comunicazioni. Le storie sono tante. Antonio di Benevento, malato di tumore, si è visto chiedere indietro 60.000 euro perché la sua pensione d'invalidità era eccessiva. Già, perché neppure i disabili vengono risparmiati dalla burocrazia. Giovanna, pensionata abruzzese, dovrebbe versare 1.432 euro, mentre Giuseppe, 80 anni, ex operatore cinematografico di Treviso, 24.836. In quest'ultimo caso l'Inps ha cominciato subito, senza neppure chiedere permesso, a trattenere le rate dall'assegno mensile. Gli detrarranno 87,45 euro fino al 2039, quando Giuseppe avrà 103 anni. Il punto è che l'istituto non ha alcun diritto a chiedere indietro i soldi, a meno che l'assistito abbia dichiarato il falso. L'errore è dell'Inps e la Cassazione ha sancito con una sentenza del gennaio 2017 che non può pretendere alcunché. Ma per far valere le proprie ragioni i destinatari delle raccomandate devono presentare ricorso entro 90 giorni; se non lo fanno devono pagare. E qualcuno resta sempre impigliato nella rete.Altro fatto noto, ma non per questo meno scandaloso, è che l'Inps in passato ha trattenuto i contributi versati dalle persone che non hanno raggiunto la soglia minima per percepire la pensione. Chi ha pagato per 5 anni, chi per 10: comunque sia i soldi se li sono tenuti in cassa. Se un fondo privato si comportasse nello stesso modo finirebbe in tribunale per truffa. Ma lo Stato no. C'è poi il problema delle mancate rivalutazioni, che fanno risparmiare all'Inps circa 10 miliardi. Dal 2011 la legge dell'allora ministro Elsa Fornero ha sospeso per due anni la rivalutazione in base all'inflazione dei vitalizi superiori a tre volte il minimo. Oggi, nonostante una sentenza della Corte costituzionale abbia stabilito che i soldi sono da restituire, lo Stato ha deciso di riconoscere ai pensionati solo una minima parte dell'importo o nulla. Un esempio? A chi ha un assegno da 2.000 euro, spetterebbe un rimborso di 5.948 euro, ma l'offerta «prendere o lasciare» è di 437,80. Il 92,63% in meno. Vero è che dal 1° gennaio 2019 dovrebbe ripartire finalmente la perequazione, ovvero il meccanismo di adeguamento della pensione al costo della vita. Il dato incredibile è che il popolo dei pensionati versa, tra tasse, addizionali regionali e il suddetto blocco della rivalutazione, 70 miliardi all'anno nelle casse statali. A parità di reddito, è più di quanto pagano i lavoratori dipendenti: un pensionato con un assegno da 1.000 euro lordi al mese paga infatti 1.207 euro in più all'anno rispetto a un occupato che viaggia sulle stesse cifre ma gode delle detrazioni. Ed ecco il risultato di tante vessazioni: 18 milioni di anziani italiani sono sempre più poveri, nonostante rappresentino un importantissimo ammortizzatore sociale in un periodo di disoccupazione dilagante. La verità è che la massa dei pensionati è bersaglio facile da colpire. Inoltre non è una categoria che possa scioperare o protestare più di tanto. Non c'è neppure un contratto collettivo da trattare e rinnovare.Qualche esempio per farsi un'idea della pressione fiscale a cui sono sottoposti i pensionati italiani: un anziano tra i 65 e i 75 anni, senza familiari a carico, che vive a Roma, con un reddito di 20.000 euro annui, è colpito da un'aliquota media del 20,5%. In Spagna pagherebbe il 19%, nel Regno Unito l'8,7%, in Olanda l'8,4%, in Germania l'8,3%. Fino ad arrivare al 7,3% della Francia, due terzi in meno dell'Italia. E in Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Lituania le pensioni sono addirittura esenti da imposte. In Portogallo invece i nuovi residenti non devono nulla per i primi dieci anni. Ecco spiegato perché negli ultimi anni il numero di pensionati italiani che scelgono la fuga all'estero è più che raddoppiato. Sui vitalizi pesa inoltre una tassa nascosta che pochi conoscono, ma quasi tutti versano: circa 15 milioni di anziani. Per andare in pensione, il Caf o patronato che cura la pratica fa compilare il modulo di delega che comporta un prelievo di circa 50 euro l'anno per ogni assistito. Se non revocato, dura tutta la vita. Questi soldi finiscono nelle casse dell'Inps (270 milioni di euro all'anno) che poi li gira ai sindacati, come un esattore. Per gestire tutta l'operazione offre ai sindacati tariffe scontate: 0,03 euro per ogni delega presentata con la richiesta di pensione e 0,02 euro per ogni rinnovo. Per evitare l'addebito bisogna inviare una richiesta di revoca alla direzione dell'Inps per raccomandata. E comunque sia, il blocco non scatta immediatamente: l'istituto si prende alcuni mesi prima di sospendere il prelievo sul cedolino. Infine non si possono dimenticare i cosiddetti «diritti inespressi». Sono circa 6 milioni gli anziani che non sanno di avere diritto a somme e prestazioni che arricchirebbero la loro pensione, ma che sono concesse soltanto a seguito di domanda: integrazione al minimo pensionistico, maggiorazioni sociali, importi aggiuntivi, quattordicesima mensilità , prestazioni a favore degli invalidi civili, assegno al nucleo familiare. Per ottenerli, questi diritti vanno espressamente rivendicati, ma se il pensionato non li reclama, l'ente trattiene la cifra dovuta. I potenziali beneficiari dei «diritti inespressi» sono coloro che percepiscono un vitalizio inferiore a 750 euro lordi, un pensionato su tre. Sono già 22.000 gli anziani che sono riusciti a ottenere, su richiesta, un aumento dell'assegno e gli arretrati degli ultimi 5 anni (più indietro nel tempo non si può andare). In realtà, se ci fosse buona volontà da parte dell'Inps, basterebbe incrociare i dati di reddito, nucleo familiare e assegno corrisposto per adeguare automaticamente le cifre. Ma evidentemente conviene non farlo. Già, perché l'ente guidato da Boeri ha una insaziabile fame di denaro. Ogni anno deve chiedere oltre 100 miliardi di euro allo Stato per far tornare i conti della spesa assistenziale e si prepara a chiudere il bilancio 2018 con un disavanzo di 7 miliardi e 581 milioni. E chi ci finisce di mezzo sono sempre loro, i pensionati che avrebbero diritto a godere in tranquillità di quanto versato durante la vita lavorativa. Vengono in mente le parole di papa Francesco: «Un popolo che non custodisce i suoi anziani, che non si prende cura dei suoi giovani, è un popolo senza futuro, un popolo senza speranza».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dalle-case-sfitte-ai-viaggi-spesati-i-sei-buchi-neri-dellinps-di-boeri-2588935866.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-tesoro-di-almeno-7-000-opere-darte-che-non-e-mai-stato-valorizzato-ne-censito" data-post-id="2588935866" data-published-at="1758181628" data-use-pagination="False"> Il tesoro di (almeno) 7.000 opere d’arte che non è mai stato valorizzato né censito Tele di Michele Cascella e Renato Guttuso di grande valore. Opere firmate da Luigi Montanarini e Francesco Trombadori. E, ancora, quattro dipinti del Seicento e innumerevoli capolavori del Novecento. Sono solo una parte dell'immenso patrimonio artistico custodito nei magazzini dell'Inps. E praticamente dimenticato. Anche dai suoi vertici, che tutt'ora ignorano la reale portata di questo tesoro nascosto, mai seriamente censito. È sufficiente un dato per capirlo: l'ultima stima in materia assicura che l'Istituto nazionale di previdenza sociale possieda in totale circa 7.000 opere d'arte. Ma il numero potrebbe essere più elevato, visto che c'è chi giura che quadri, statue e altri esemplari dell'arte italiana e internazionale in possesso dell'Inps siano almeno 9.000. L'incertezza deriva dal fatto che l'ente ha costruito questo tesoro negli anni, rilevandolo da collezioni private o assorbendolo da altre realtà diventate parte integrante dell'Inps, come per esempio l'Enpals. Inoltre l'istituto guidato da Tito Boeri ha beneficiato della cosiddetta «legge del due per cento» (la 717 del 1949) che di fatto obbligava le amministrazioni pubbliche che commissionavano la costruzione di nuovi edifici a devolvere il 2% della spesa totale per il loro abbellimento «mediante opere d'arte». Il risultato è che oggi questo tesoro è sparso lungo tutto lo Stivale, nelle diverse sedi dell'ente. Oltre che nei depositi di sua proprietà: c'è veramente di tutto, dai quattro dipinti del Seicento acquisiti dalla collezione Sciarra Barberini nel 1904 alle 700 opere di grandi del secolo scorso, arrivate in dote nel 2012 dall'Enpals. Il tesoro custodisce anche le opere degli astrattisti Pietro Consagra e Giulio Turcato, così come capolavori di Guttuso e Giuseppe Capogrossi. La collezione privata dell'Inps annovera infine diversi dipinti e sculture entrati nei palazzi di sua proprietà come semplici oggetti di arredamento fino alla metà del secolo scorso. E così mentre l'istituto è in costante affanno, nelle sue segrete giacciono opere che, se opportunamente valorizzate, potrebbero senz'altro contribuire a puntellare il bilancio. Obiettivo difficilissimo da realizzare però, perché al momento i capolavori non sono mai stati censiti. Né tanto meno qualcuno ha tentato di stimarne il valore complessivo. Del resto, non si sa con certezza neanche quanti siano e dove siano conservati. Basti pensare che recentemente è stata scoperta, quasi per caso, una tavola del XIII secolo custodita in uno dei palazzi dell'ex Inpdap. Un'opera di inestimabile valore, come le molte altre al momento dimenticate e letteralmente lasciate sotto la polvere fra soffitti, scantinati e dimore storiche di proprietà dell'Inps. La situazione è insostenibile, anche perché il tesoro nascosto non solo non porta soldi nelle casse dell'istituto, ma rappresenta anche una voce di spesa, se si vuole evitare che vada tutto in malora. Da parte sua Boeri ha cercato di smuovere un po' le acque. Recentemente, grazie all'operazione Welfarte, i palazzi storici di Roma, Milano, Firenze, Anagni e Arezzo sono stati aperti al pubblico proprio per mettere in vetrina alcune di queste opere. Il problema è che il progetto, per ammissione del numero uno dell'Inps, non ha prodotto guadagni. Anzi, ha comportato notevoli esborsi: «Il costo complessivo, fra personale e allestimento, ammonta a 50.000 euro», ha fatto sapere Boeri. Nel frattempo resta un problema al momento apparentemente insormontabile: la stima di questo patrimonio non esiste. Così come non è disponibile una ricognizione generale fatta in tempi più o meno recenti. E così, mentre i pensionati stentano ad arrivare alla fine del mese, e la scuola versa ancora in una condizione di caos a causa della difficoltà da parte dell'Inps di verificare i requisiti di chi ha fatto domanda di pensionamento, l'istituto riposa su un tesoro inestimabile. Che neanche sa di possedere.
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