2023-06-29
«Dall’Aifa un danno allo Stato di 3 milioni»
Anna Rosa Marra (Imagoeconomica)
La Corte dei Conti bacchetta dieci funzionari dell’agenzia regolatoria per aver ritardato l’approvazione di alcuni medicinali «senza giustificabili motivi». Sotto accusa pure l’attuale direttore generale, Anna Rosa Marra, che però continua ad occupare il suo posto.Per Aifa non ci sono solo problemi di mancata farmacovigilanza attiva, la Procura della Corte dei Conti ha concluso una lunga istruttoria con pesanti accuse nei confronti di dieci funzionari dell’agenzia regolatoria. Tra questi, l’attuale direttore generale Anna Rosa Marra. «Vanno ritenuti responsabili delle condotte gravemente colpose poste in essere nel violare, senza giustificabili motivi, le procedure di autorizzazione all’immissione in commercio», di alcuni farmaci. È quanto si legge nell’atto in data 3 aprile 2023, che chiude attività investigative della Procura regionale della Corte dei Conti per il Lazio iniziate il 4 giugno 2021, dopo la denuncia di un potenziale danno erariale da parte del ministero della Salute, costretto a pagare 2,9 milioni di euro ad aziende farmaceutiche. Il Tar del Lazio, infatti, aveva condannato il ministero al risarcimento del danno per il ritardato rilascio delle autorizzazioni all’immissione in commercio (Aic) di una serie di specialità medicinali. I giudici avevano ritenuto i ritardi «non giustificabili». Le aziende che avevano presentato domanda risarcitoria erano Malesci, Firma, Menarini, Lusofarmaco, Guidotti e per tutte era stata accolta, con sentenze pubblicate nel 2020. Avevano dovuto attendere il rilascio dell’Aic «ben oltre il termine procedimentale di 210 giorni previsto dalla normativa», e per il Tar tale ritardo non era «giustificabile». I responsabili di queste procedure presso l’Ufficio IV del dipartimento valutazione medicinali e farmacovigilanza tra il 1997 e il 2001 sono elencati nell’atto. Si tratta di Caterina Gualano, dirigente medico; Gabriele Angiello, dirigente sanitario; Maria Consuelo Cicalese, in servizio presso il ministero della Sanità; Marisa Delbò, dirigente farmacista; Alessandra Dell’Utri, presso il ministero della Salute direzione generale per la valutazione dei farmaci e la farmacovigilanza; Emanuela Fabbri, dirigente chimico; Sabrina Giacomelli che si occupa dell’istruttoria regolatoria e tecnico scientifica dei dossier a corredo dell’Aic; Lucio Lemme del ministero della Salute, con competenze in merito alla valutazione scientifica, normativa e procedurale della documentazione; Anna Rosa Marra, dirigente farmacista con responsabilità in particolare della valutazione della parte chimico farmaceutica dei dossier. A questi si aggiunge Nello Martini, che da maggio 1998 a giugno 2004 era presso il ministero della Salute in qualità di dg del dipartimento dei farmaci e dispositivi medici, per poi ricoprire fino al 2008 il ruolo di direttore generale Aifa. Tutti questi signori «vanno ritenuti responsabili», scrive il vice procuratore generale Gaia Palmieri, per aver violato «senza giustificabili motivi le procedure di autorizzazione all’immissione in commercio» di farmaci, ritardando le autorizzazioni e provocando di conseguenza un danno al ministero della Salute calcolato in 2.918.811,84 euro. Parliamo di ritardi che hanno pesato sulla commercializzazione di antibiotici come Cefixoral della Menarini (istanza presentata il 31 marzo 1999, autorizzazione rilasciata il 25 ottobre 2001) o Unixime di Firma (domanda del 31 marzo 1999, autorizzazione rilasciata il 25 ottobre 2001), ma anche di un integratore di calcio e vitamina D negli anziani, Calplusd3, per il quale i Laboratori Guidotti avevano atteso dal 1° agosto 1997 al 24 marzo 2000. L’elenco dei ritardi ingiustificati è lungo, inevitabili le richieste di risarcimento da parte delle aziende danneggiate e a farne le spese è stato il ministero della Salute che ha dovuto pagare quasi 3 milioni di euro. Oltre al comportamento dei funzionari preposti, quello che sorprende maggiormente è che Anna Rosa Marra occupi ancora il posto di dg Aifa ad interim (in quanto funzionario più anziano), in attesa del decreto attuativo della riforma dell’agenzia. Come fa la Marra ad essere rappresentante legale di Aifa, secondo l’impostazione attuale dell’agenzia regolatoria, e vice presidente della Commissione tecnica scientifica (Cts) e del Comitato Cpr? Con quale serenità può valutare un’azienda come la Menarini?Altro che ingerenze del consiglio di amministrazione, che impedirebbe «agli esperti indipendenti, come Addis e Marata, di svolgere il loro lavoro in trasparenza», secondo quanto sostiene il Manifesto. Due giorni fa, La Verità ha mostrato quali conflitti di interessi e quanta poca trasparenza si siano accumulati negli anni, al seguito di direttori generali.Il vecchio carrozzone Aifa cerca di resistere alla riforma voluta dal governo Meloni e per la quale manca solo il decreto attuativo. Così, un dg finito nel mirino della Procura della Corte dei Conti continua ad essere componente di diritto delle due commissioni tecnico consultive. La nuova riforma Aifa prevede, invece, un equilibrio dei poteri. Ci sarà un presidente che avrà la rappresentanza legale dell’agenzia e con il cda farà indirizzo e controllo. Poi ci saranno due direttori generali, uno amministrativo, l’altro tecnico scientifico, che avranno il potere di gestione. La separazione tra indirizzo e controllo, e gestione, sarà fatta salva, e sembrerebbe che il rappresentante legale non siederà più di diritto nella futura commissione unica, proprio a garantire l’indipendenza della Cts che si è sempre adeguata ai dg di turno.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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