
In principio fu il contratto di governo, un inedito assoluto in Italia. Eppure, sin da subito, non sono mancate le punzecchiature fra le due anime dell'esecutivo. I leghisti non hanno mai amato il reddito di cittadinanza, i grillini hanno mal tollerato i porti chiusi.La travagliata storia del governo di Giuseppe Conte, cominciata il 1° giugno del 2018, è terminata ieri in un caldo pomeriggio di fine agosto tra gli schiamazzi di Palazzo Madama. Forse un naufragio annunciato, a giudicare dagli scontri degli ultimi mesi. Eppure nei primi tempi pareva un idillio quello tra i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ma l'innamoramento sarebbe durato poco, bruciato nel fuoco delle polemiche che hanno accompagnato i provvedimenti simbolo dell'esecutivo gialloblù. C'era a garanzia anche l'inusuale, almeno per l'Italia, contratto di governo in 30 punti, ma non è bastato. Ripercorriamo i momenti salienti di questa tormentata avventura, tra successi, scontri e fallimenti.Il ministro dell'Interno non perde tempo per mettere in pratica le sue idee sull'immigrazione, peraltro già chiare in campagna elettorale: il 9 giugno 2018 rifiuta l'approdo sulle coste italiane dell'Acquarius, che trasporta 632 migranti. La nave approderà a Valencia mentre il presidente francese Emmanuel Macron e mezza Europa lanciano strali sul governo di Roma. Il 29 novembre la politica dei porti chiusi arriva al traguardo con l'approvazione del primo decreto sicurezza. Ma tra i 5 stelle in molti hanno sempre osteggiato la battaglia di Salvini contro le Ong: l'ultimo episodio risale a pochi giorni fa, quando i ministri pentastellati Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli non hanno firmato il divieto d'ingresso nelle acque italiane, voluto dal Viminale, per la nave Open Arms carica di migranti. Primo vero scontro il 17 ottobre 2018, durante la discussione del decreto fiscale per agevolare chi vuole chiudere i conti con l'erario. Arrivati allo scoglio della depenalizzazione dei reati di auto riciclaggio, Di Maio ottiene da Salvini un compromesso per toglierla. Salvo poi ritrovarla nella versione definitiva del testo, e accusa la Lega di averci messo «la manina». Non si fa attendere la risposta del leghista: «La pazienza ha un limite. O non hanno capito, o non hanno letto, o hanno cambiato idea. Se qualcosa non andava bene, non c'era bisogno di un tale cancan: si alzava il telefono e si cambiava tutto. Però adesso per scemo non passo. Inizio ad arrabbiarmi». Nota di cronaca: il 1° agosto 2019, termine ultimo per la presentazione, le domande per la pace fiscale sono state 2 milioni.Il 30 marzo 2019 si tiene a Verona il Congresso delle Famiglie, un evento che raccoglie diverse associazioni per parlare dei temi della famiglia, tra cui la contrarietà alla legge sull'aborto. Tra gli ospiti c'è anche Salvini che partecipa all'evento, una decisione condannata dall'alleato di governo. Il vicepremier pentastellato sostiene letteralmente che a Verona sfilano «i fanatici con l'odio verso il prossimo e la discriminazione». Un attacco a cui il leader leghista replica immediatamente: «Se parlare di mamme e papà vuol dire essere sfigati, io sono orgoglioso di esserlo. Odio? Sì fuori c'è odio. Di Maio sbaglia piazza».Una delle polemiche pesanti nell'esecutivo è stata quella sul sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione. Il Movimento non ha concede garanzie e il 18 aprile 2019 ne chiede le dimissioni: «Un sottosegretario indagato per fatti legati alla mafia è un fatto grave». Il capo del Viminale però difende il suo uomo: «Siri non si deve dimettere. C'è solo un'iscrizione nel registro degli indagati e solo se sarà poi condannato dovrà mettersi da parte. Non ho mai chiesto di far dimettere la Raggi», dice, «o parlamentari pentastellati quando anch'essi sono stati indagati». Alla fine l'8 maggio il premier Giuseppe Conte revoca l'incarico a Siri e i 5 stelle esultano. Il 16 luglio 2019 il governo gialloblù si spacca sull'elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea. Il Movimento 5 stelle vota a favore della ex ministra tedesca della Difesa, mentre il Carroccio è schierato contro. Il vicepremier leghista s'infuria: «Pd e M5s governano già insieme a Bruxelles». È l'attacco più duro dall'inizio dell'esecutivo presieduto da Conte quello che Salvini rivolge agli alleati del M5s: li accusa di aver tradito il voto degli italiani alle europee che volevano il cambiamento, per aver appoggiato la candidata tedesca alla presidenza della Commissione. Una candidatura, secondo Salvini, avanzata da «Merkel e Macron insieme a Renzi e Berlusconi». Non a caso Romano Prodi nei giorni scorsi ha suggerito di applicare l'alleanza «Ursula» anche al un nuovo e possibile governo italiano. Tra le avvisaglie della crisi anche il caso dei presunti fondi russi alla Lega, emerso dopo un'inchiesta del giornale americano Buzzfeed. Il ministro del Lavoro Di Maio chiede Salvini di presentarsi in aula per spiegare la situazione, ma il leader leghista dice di non avere nulla di cui rendere conto perché il Carroccio non ha mai preso un rublo da Mosca. E attacca ancora sulla «svolta storica dei pentastellati che hanno votato assieme a Merkel, Macron, Berlusconi e Renzi». Ma il Movimento non molla rinfacciando al vicepremier leghista di non avere avuto il coraggio di affrontare il Parlamento, come invece ha fatto il premier Conte riferendo sul presunto scandalo moscovita. In Consiglio dei ministri il 17 gennaio viene approvato il contestatissimo reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del Movimento. Un provvedimento bandiera che, ancora ieri è stato criticato da Salvini, in un'intervista a Radio 24: «Mentre quota 100 è provato che stia restituendo dignità a tanti, e posti ai giovani, su reddito di cittadinanza... un conto è se crea lavoro, un conto è se lo toglie». Le sue parole rappresentano solo l'ultima di una serie di dichiarazioni non certo morbide e favorevoli verso il neonato sussidio governativo da parte del numero uno del Carroccio, che nei giorni scorsi aveva già definito questo reddito un provvedimento da ripensare se «non incentiva lavoro in più ma anzi lo disincentiva» e «se non crea lavoro ma crea lavoro nero». La riforma di pensionamento, introdotta dal governo gialloblù, è uno dei temi sui quali i pentastellati non sono mai stati convinti. Non hanno mai nascosto il loro distacco dalla norma, reputando «quota 100 uno spreco inaudito di risorse che acuisce le disuguaglianze del Paese invece di ridurle». Quindi cosa sarà di quota 100 con un nuovo governo? Si tratta di una riforma finanziata fino al 2021, quindi almeno per un altro anno dovrebbe garantire lo scivolo a coloro che maturano i requisiti necessari. Questo significa che anche con un nuovo esecutivo, e a meno di interventi correttivi da parte di quest'ultimo, la misura di pensionamento anticipato dovrebbe rimanere per il tempo finanziato. A meno, come abbiamo scritto, di interventi correttivi.Dal gran discutere sui vaccini da parte dei 5 stelle non è stato partorito nulla. In attesa che il Parlamento vecchio o nuovo decida sul varo del cosiddetto «obbligo vaccinale flessibile» (la vaccinazione resterebbe obbligatoria solo «in caso di emergenze sanitarie o di compromissione dell'immunità di gruppo»), rimane infatti in vigore la legge Lorenzin. Questa prevede l'obbligo della vaccinazione per le iscrizioni all'asilo nido e alla scuola materna e, con modalità diverse, riguarda anche le scuole elementari, medie e i primi due anni delle superiori. Nulla di fatto, quindi, anche se il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha istituito l'anagrafe nazionale con decreto ministeriale del 18 settembre scorso.Tra i nodi irrisolti lasciati dal governo anche il tema delle Autonomie regionali. In pratica, secondo i 5 stelle, le regioni del Sud sarebbero penalizzate dalla riforma e quindi l'hanno sempre osteggiata. Mentre i governatori del Nord, soprattutto di Veneto e Lombardia, spingono perché si attui subito. Tra i punti più discussi la scuola: la rabbia dei presidenti Luca Zaia e Attilio Fontana si è scatenata quando è stato soppresso l'articolo che prevedeva l'assunzione diretta dei docenti su base regionale, come chiesto dalla Lega. L'altro punto riguarda il fisco: l'accordo prevede che alle regioni sia ceduta una quota dell'Irpef generata dal territorio. C'è chi teme, anche tra i pentastellati, una «secessione» di fatto, grazie a una sorta di autonomia fiscale «mascherata». In ballo ci sono pure le infrastrutture: le regioni vorrebbero avere la gestione di aeroporti, autostrade e ferrovie, ma il ministro Toninelli è da sempre contrario. La crisi di governo si è però aperta sulla Tav. Già il 2 febbraio 2019, Di Maio, in una diretta Facebook aveva annunciato che «finché ci saranno i 5 stelle al governo, la Torino-Lione non si farà». La battaglia contro la ferrovia ad alta velocità è stata una delle bandiere della campagna elettorale pentastellata. Il ministro dell'Interno però non ha mai avuto intenzione di retrocedere dalla sua posizione: «Troveremo un'intesa, l'opera si farà, con una scelta senza pregiudizi». È proprio sulla Tav che il vicepremier leghista ha lanciato il suo ultimatum: «Se i no diventano troppi, il governo non va avanti. È la crisi? Se c'è il no alla Tav, vado fino in fondo». Parole diventate realtà il 7 agosto 2019, quando il leader del Carroccio ha annunciato la rottura dopo che questi ultimi avevano proposto due mozioni contrarie alla Tav. Si deve aggiungere anche la contrarietà, sempre da parte di Toninelli, alla Gronda di Genova e alle grandi opere in generale. Così è finito, in un afoso pomeriggio d'estate, il governo tra Lega e 5 stelle.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.