2022-06-27
Il G7 chiacchiere e missili. In Baviera piovono parole, in Ucraina piovono bombe
Riuniti in un resort tedesco di lusso i leader mondiali dicono no al negoziato e sì all’embargo dell’oro. Una strategia fallimentare: così la guerra non si ferma. Anzi: colpite Kiev e la zona al confine polacco.“Parole, parole, parole. Parole, parole, parole. Parole, parole, parole. Parole, parole, parole. Parole, parole, parole. Soltanto parole”. È da ieri mattina, dopo aver letto le ultime notizie sull’invasione dell’Ucraina, che ho in testa il ritornello cantato da Mina. I russi avanzano, conquistano nuove città dopo averle praticamente rase al suolo. Prima Mariupol, poi Severodonetsk, quindi Lysychansk e ora puntano su Kramatorsk. Nel frattempo, i missili di Putin cadono su Kiev, Kharkiv, Cherkasy, ma anche sui centri di addestramento dei volontari, nella regione di Leopoli, a poche decine di chilometri dal confine polacco. E i grandi della terra che fanno? Parlano. Parla Zelensky, che dal 24 febbraio non ha mai smesso un attimo, trasformatosi in un propagandista della causa ucraina ovunque se ne presenti l’occasione. Come ha scritto Domenico Quirico, che di guerre se ne intende, cerca di fare leva sul senso di colpa dell’Occidente, sperando che le sue parole smuovano le coscienze ma soprattutto gli aiuti, cioè soldi e forniture di armi. Ma alle sue parole, invece di un contributo militare vero, gli altri rispondono con altrettante parole. Biden dice che la Russia non vincerà e che i razzi su Kiev sono una barbarie. Johnson assicura che si può invertire il corso della guerra e non è il momento di negoziare. Von der Leyen giura che sarà al fianco dell’Ucraina tutto il tempo necessario. Scholz promette che i Paesi occidentali resteranno uniti e non cederanno a Putin. Draghi insiste con il tetto al prezzo del gas anche se nessuno degli alleati lo vuole davvero. Michel, di cui fino all’altro ieri l’esistenza era ignota ai più, sostiene che sul prezzo del petrolio bisognerà riflettere per capire gli effetti collaterali. Nel frattempo, i sette grandi della terra, che poi senza Cina, India e Russia così grandi non sono, anticipano di essere pronti a mettere l’embargo all’oro russo, «per colpire il cuore della macchina da guerra di Putin». Parole. Sì, parole, soltanto parole. Le sanzioni avrebbero dovuto fermare l’esercito russo già due settimane dopo l’invasione. Congelare le riserve estere della banca centrale ed escludere le istituzioni finanziarie di Mosca dal circuito Swift con cui si regolano le transazioni bancarie avrebbe paralizzato l’economia russa. Invece, le misure non hanno fermato né i carri armati né i missili: al massimo hanno indotto lo zar del Cremlino a cambiare strategia, concentrando gli attacchi sul fronte Sud e su quello orientale. Così, dopo mesi di guerra e migliaia di vittime, è arrivato un nuovo pacchetto di sanzioni, «per colpire al cuore la macchina da guerra di Putin». Se prima, con il blocco dei fondi degli oligarchi e degli scambi sulla rete internazionale, l’Occidente aveva scelto di usare l’atomica della finanza, l’embargo del petrolio avrebbe dovuto essere l’atomica al cubo. Purtroppo, aver vietato la vendita del greggio non è bastato, come non era bastato escludere le banche russe dal sistema Swift. Mosca infatti sta vendendo sottobanco l’oro nero, come probabilmente in questi mesi ha regolato sottobanco molti affari. Del resto, se Paesi come Cina, India, Turchia e tanti altri rifiutano di adeguarsi alle misure decise dagli Stati Uniti e dall’Occidente, è assai probabile che Putin trovi un sistema per scansare ciò che dovrebbe colpirlo al cuore. Forse la Russia fallirà, come si legge in queste ore, ma bloccare la vendita di oro non servirà a far terminare la guerra, perché i Paesi asiatici e del Medioriente continueranno a comprare per poi rivenderci ciò che noi rifiutiamo di acquistare da Mosca. Ieri ho letto un lungo articolo sul Corriere in cui si spiegava come avrebbe funzionato l’embargo dell’oro e quanto sarebbe costato a Putin. L’ultima riga però avvertiva che Cina e India avrebbero continuato a comprare. Sì, parole. Mille per dire che in questo modo i grandi della terra miravano a colpire al cuore la macchina da guerra di Putin. Una sola per spiegare che forse il colpo non avrebbe fatto centro. Sin dall’inizio avevo scritto che si fa fatica a vincere una guerra per procura. Anzi, che una guerra per procura era consigliabile non cominciarla: meglio una brutta pace che una brutta guerra. Adesso leggo che sono sempre di più gli esperti di cose militari che dicono le stesse cose e parlano di un negoziato. Ecco, fra tante parole c’è n’è una che sia i capi di Stato che gli editorialisti dei giornaloni non riescono a pronunciare: negoziato. Per loro è inconcepibile. Ma a volte le cose inconcepibili sono le uniche possibili. Certo, i brutti risvegli sono spesso inconcepibili. Tuttavia, sono preferibili alla prosecuzione di un incubo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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