
Paolo Berizzi, giornalista esperto d'odio e teorico dell'emergenza neofascista, sostiene che il nubifragio ha colpito la città perché i suoi abitanti sono «razzisti»: il disastro naturale sarebbe effetto del «karma». Travolto dalle critiche, rimuove il tweet ma poi rilancia. Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica, da qualche anno gode di una discreta notorietà: pubblica libri con grandi editori, si vede spesso in televisione, ha fatto parlare di sé perché finito sotto scorta dopo aver ricevuto minacce «dall'ultradestra». Si può dire che i suoi campi di competenza siano due: l'odio e la fantascienza. Da tempo, infatti, egli si occupa del cosiddetto «neofascismo» ed è una delle firme che, negli ultimi anni, più hanno cavalcato l'onda della paranoia razzista. Sul suo giornale tiene una rubrica, Pietre, in cui ogni giorno racconta un episodio di intolleranza o discriminazione, vero o presunto che sia. Questo per quanto riguarda il settore odio. Riguardo al versante fantascienza bisogna citare almeno due episodi. Il primo riguarda un articolo del 2015, uscito con grande risalto su Repubblica. Berizzi raccontava la storia di un bambino di Cantù - di quattro anni appena - a cui i genitori avevano insegnato a fare il saluto romano, con enorme scandalo delle maestre. Il titolo del pezzo era roboante, e riportava anche lo sdegno delle insegnanti: «Il bimbo di quattro anni che fa il saluto fascista. “Il genitori lo correggano o lo cacceremo dall'asilo"». Vicenda davvero suggestiva, che veniva presentata come emblematica della diffusione endemica delle idee neofasciste nella provincia lombarda. Peccato non fosse vero niente. Il sottoscritto, ai tempi, raccolse l'indignata reazione del sindaco di Cantù, e pure le arrampicate sugli specchi di Berizzi, che non fu in grado di fornire prove del suo racconto. E infatti, nel 2016, l'ordine dei giornalisti bacchettò severamente la grande firma di Repubblica. Qualche tempo prima, nel 2009, allo stimato collega capitò un altro scivolone. Pubblicò un libro per Bompiani, Bande nere, ovviamente sul neofascismo e le malefatte della destra. Il volume conteneva uno scoop: la foto di Ignazio La Russa assieme a un uomo che veniva presentato come «vicino» a una potente famiglia di 'ndranghetisti. Storia clamorosa anche quella: uno dei volti più noti della destra italiana assieme a un brutto ceffo del genere, roba grossa. Peccato che, di nuovo, non fosse vero. Lo «'ndranghetista» era in realtà un carabiniere. La Russa s'incazzò parecchio, il libro fu ritirato dall'editore con tante scuse. Cose che capitano. Quando il tuo compito è quello di tenere i cittadini in allarme per il «ritorno del fascismo», è facile che tu debba fare ricorso alla fantasia, in mancanza di notizie vere. In ogni caso, anche ai grandi giornalisti succede di commettere errori. Il problema di Berizzi è che, invece di pensare ai propri passi falsi, si diletta da anni ad attribuire patenti di presentabilità a colleghi, politici e sostanzialmente a chiunque gli capiti a tiro. È diventato una specie di gendarme della memoria, che si permette di appiccicare l'etichetta infamante di «odiatore» a chiunque non la pensi come lui. Ieri il simpatico collega repubblichino, pardon, di Repubblica, ha dimostrato per l'ennesima volta di conoscere molto bene l'odio. La mattina presto ha pubblicato su Twitter un commento sul terrificante nubifragio che ha colpito Verona, scrivendo quanto segue: «Sono vicino a Verona e ai veronesi per il nubifragio che ha messo in ginocchio la città. I loro concittadini nazifascisti e razzisti che da anni fomentano odio contro i più deboli e augurano disgrazie a stranieri, negri, gay, ebrei, terroni riflettano sul significato del karma». A suscitare ribrezzo basterebbe già l'opera di sciacallaggio del commentatore che approfitta di una disgrazia per tirare acqua al suo mulino. Ma l'idea di associare il nubifragio al karma è semplicemente intollerabile. La sciagura, secondo Berizzi, avrebbe colpito la città per via della presenza di numerosi fascisti, una sorta di punizione divina. Ora, pensate che cosa sarebbe accaduto se un giornalista «di destra» avesse scritto che il terremoto in Emilia Romagna era una punizione divina per le colpe dei comunisti: sarebbe stato (giustamente) linciato e costretto a chiedere scusa in ginocchio. Invece Berizzi, dopo il mare di critiche ricevute online e dai politici, ha pensato bene di rincarare la dose. Prima il suo tweet è sparito dalla Rete, poi è comparso un nuovo messaggio: «Sono sicuro che la maggioranza dei veronesi, a differenza di una minoranza di odiatori seriali ben noti in città, abbia capito il senso del mio messaggio. Ribadisco la mia piena, totale e incondizionata solidarietà a tutti i cittadini di Verona colpiti dal nubifragio di ieri». Capito? Non è lui che ha scritto una castroneria: sono i fascisti cattivi che prima provocano le disgrazie e poi lo incolpano ingiustamente. Bisogna anche dire che Berizzi, con Verona, ha un rapporto un po' complicato. Sulla città scaligera ha scritto un bel po' di articoli diciamo controversi. Ad esempio ha dedicato un'intera pagina di Repubblica all'artista veronese conosciuto come Cibo, definito «il writer anti odio». Uno che copriva con disegni di salsicce, frutta e alimenti le scritte fatte sui muri dall'estrema destra razzista. Qualche tempo dopo il nostro giornale scoprì che il suddetto «writer anti odio», in realtà, aveva tappezzato il suo profilo Facebook di attacchi (carichi d'odio) alle donne, agli ebrei israeliani e a chiunque non gli andasse a genio. Insomma, la celebrazione di Cibo era un altro grande momento di giornalismo fantascientifico, per di più leggermente insultante verso i veronesi, che negli articoli di Repubblica sono spesso e volentieri dipinti come un branco di odiatori nazistoidi. Da questa storia del nubifragio, tuttavia, potrebbe forse uscire qualcosa di buono. Il tweet di Berizzi su Verona e il karma è una manifestazione di odio in purezza. Lo stesso Berizzi potrebbe parlarne nella sua rubrica su Repubblica. Così, almeno una volta, proverebbe l'emozione di scrivere una cosa vera.
Franco Zanellato
Lo stilista Franco Zanellato: «Il futuro? Evolvere senza snaturarsi e non inseguire il rumore, ma puntare su qualità e coerenza. Nel 2024 abbiamo rinnovato il marchio partendo dal Dna. Il digitale non è più soltanto un canale di vendita».
C’è un’eleganza silenziosa nel successo di Zanellato. In un panorama della moda che cambia rapidamente, tra nuove sensibilità e mercati in evoluzione, il brand fondato da Franco Zanellato continua a crescere con coerenza e autenticità, restando fedele ai valori del Made in Italy e a un’idea di lusso discreto e consapevole. Partito da Vicenza, ha saputo trasformare l’azienda di guanti di famiglia, in un luxury brand conosciuto in tutto il mondo. L’iconica Postina, simbolo di una femminilità raffinata e senza tempo, oggi dialoga con tre nuove borse che ampliano l’universo creativo della maison, interpretando con linguaggio contemporaneo il concetto di «Arte e mestieri» che da sempre ne definisce l’identità. Una visione che piace e convince. A trainare questa crescita, il mercato italiano e la piattaforma e-commerce, ma soprattutto una strategia che mette al centro la ricerca, l’equilibrio tra tradizione e innovazione, e un dialogo sempre più diretto con le donne che scelgono Zanellato per ciò che rappresenta: autenticità, bellezza, rispetto dei tempi e dei gesti, una filosofia che unisce artigianalità e design contemporaneo sempre vincente. Ne abbiamo parlato con Franco Zanellato per capire come si spiega questo successo e quale direzione prenderà l’azienda nei prossimi anni.
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Proviene dal «maiale degli alberi»: dalle foglie alla corteccia, non si butta niente. E i suoi frutti finiscono nelle opere d’arte.
Due sabati fa abbiamo lasciato la castagna in bocca a Plinio il Vecchio e al fior fiore dell’intellighenzia latina, Catone, Varrone, Virgilio, Ovidio, Apicio, Marziale, i quali hanno lodato e cantato il «pane dei poveri», titolo ampiamente meritato dal frutto che nel corso dei secoli ha sfamato intere popolazioni di contadini e montanari.
Albert Bourla (Ansa)
Il colosso guidato da Bourla vende una quota della sua partecipazione nella casa tedesca. Un’operazione da 508 milioni di dollari che mette la parola fine sull’alleanza che ha dettato legge sui vaccini anti Covid.
Pfizer Inc vende una quota della sua partecipazione nella casa farmaceutica tedesca Biontech Se. Il colosso statunitense offre circa 4,55 milioni di American depositary receipts (Adr) tramite un collocamento accelerato, con un prezzo compreso tra 108 e 111,70 dollari per azione. L’operazione porterebbe a Pfizer circa 508 milioni di dollari, segnala la piattaforma di dati finanziari MarketScreener.
Da sinistra, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Maurizio Landini (Ansa)
Secondo uno studio, solo nel 2024 hanno assicurato all’erario ben 51,2 miliardi di euro.
A sinistra c’è gente come Maurizio Landini, Elly Schlein o l’immancabile duo Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni che si sgola per denunciare il presunto squilibrio della pressione fiscale che grava sui cittadini e chiede a gran voce che i ricchi paghino di più, perché hanno più soldi. In parole povere: vogliono la patrimoniale. E sono tornati a chiederla a gran voce, negli ultimi giorni, come se fosse l’estrema ancora di salvataggio per il Paese.






