2021-01-21
Da pugile a terrorista. Arrestato in Turchia un italiano sedotto dalla guerra islamica
Stefano Costantini (Ansa)
Convinto dalla moglie di origine turca, Stefano Costantini aveva mollato tutto per andare a combattere contro Bashar Al AssadDa promettente pugile professionista che calpestava i ring in svizzera buttando giù un avversario dietro l'altro a spietato foreign fighter con la bandiera nera del Califfato. Stefano Costantini, 24 anni, nato a San Gallo da immigrati abruzzesi, passaporto italiano, sposato con una tedesca di origini turche che aveva già un bambino, dalla quale ha avuto tre figli, da ieri mattina è nelle mani delle autorità italiane. E appena arrivato in aeroporto è finto in carcere a Teramo. Le accuse sono pesantissime: associazione con finalità di terrorismo anche internazionale, arruolamento, apologia del terrorismo e istigazione a commettere crimini con finalità terroristiche. I reati li avrebbe commessi nell'area di Idlib (Siria nord occidentale) mentre si batteva per Jabhat Al Nusra, braccio armato di Al Qaeda e oggi parte del gruppo Tahrir al Sham (Isis). Dall'ottobre 2017 era inseguito da un mandato di cattura internazionale. E da qualche mese aveva il fiato sul collo degli 007 dell'Aise guidati dal generale Giovanni Caravelli. Nel 2014, a soli 18 anni, aveva lasciato la Svizzera, dove abitava con i genitori pescaresi, per raggiungere il porto di Bari. Con una nave era arrivato in Turchia. E da quel momento per le autorità italiane era diventato un fantasma. Le ultime tracce raccolte avevano documentato un suo passaggio al confine con la Siria. Da lì deve essere riuscito ad attraversare il confine con una finalità ben precisa in testa: la lotta contro il regime di Bashar Al Assad. Fondamentale nel passaggio dalla religione cattolica all'islamismo radicale, stando alle relazioni dell'intelligence, sarebbe stata proprio la moglie, di sette anni più grande di lui. «Non importa quanto siano buie le giornate... Continua ad andare avanti!», si dava la carica il giovane Costantini sulla sua pagina Facebook da 400 like. Il passo successivo è stato imbracciare un fucile d'assalto Ak47. Il padre, al momento della scomparsa di Stefano, aveva già intuito cosa fosse accaduto. Ed è stato lui a segnalare alle autorità ciò che sospettava. Fino a ieri non aveva avuto notizie del figlio. La svolta è arrivata proprio quando la speranza di rintracciarlo cominciava ad affievolirsi. «L'indagine è partita nell'autunno 2014, quando il giovane ha iniziato a condividere l'esperienza di recarsi in territorio di guerra», ha spiegato il questore di Pescara Luigi Liguori, «e si è fatta molto complessa, perché in territorio internazionale e per giunta di guerra». L'attività investigativa si è concentrata sui social network, con strumenti di intercettazione che il questore definisce «particolarmente sofisticati». Con le truppe del Califfato in ritirata è finita anche la guerra di Stefano per la bandiera nera. Dopo un primo link con le autorità italiane si è progettato il suo rientro. La famiglia è stata trasferita in Turchia e affidata alle strutture diplomatiche italiane. E Stefano si è consegnato alla milizia siriana filo turca. Gli 007 dell'Aise sono partiti per Hatay, città al confine con la Siria, e lo hanno preso in consegna. Poi, insieme agli investigatori della Digos, hanno organizzato il volo per riportarlo in Italia, con destinazione Pescara. Lì gli è stata notificata l'ordinanza di custodia cautelare emessa nel 2017. Con l'arresto di ieri la polizia ha depennato uno dei 147 nomi di foreign fighter italiani che mancavano all'appello. «Di alcuni conosciamo esattamente la posizione all'estero, e tra questi ci sono persone impegnate nel proselitismo», afferma Fabio Berilli, primo dirigente del Servizio per il contrasto all'estremismo e del terrorismo della polizia di Stato, «di altri non sappiamo che fine abbiano fatto, magari sono in carcere o deceduti». Costantini non è il primo che le autorità italiane sono riuscite a far rientrare. Un anno fa toccò ad Alice Brignoli, conosciuta come «Mamma Isis», la quarantaduenne che nel 2015 era partita da Bulciago (Lecco) per unirsi ai miliziani di Daesh. «Questa», spiega Berilli, «è un'attività che gestiamo in stretto contatto con l'autorità giudiziaria attraverso un tavolo tecnico». Che comincia a portare i primi frutti. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese si è subito attivata per le congratulazioni di rito: «L'operazione conferma l'efficace azione di prevenzione svolta dai nostri apparati di sicurezza e di intelligence, anche grazie alla intensa e proficua collaborazione con gli altri Paesi». La titolare del Viminale ha anche sottolineato «la necessità di porre massima attenzione e impegno per contrastare la radicalizzazione e il reclutamento tra le fila dei gruppi terroristici». Ha dimenticato, però, che bisognerà pensare a un'azione di deradicalizzazione per Costantini. A Terni, invece, un afghano di 35 anni considerato pericoloso perché segnalato per associazione con finalità di terrorismo islamico, è stato espulso dal prefetto. Ieri è stato accompagnato al Centro di permanenza per il rimpatrio di Milano. In occasione dei festeggiamenti per la santa patrona di Catania, nel febbraio 2016, era stato notato aggirarsi dalle parti dell'arcivescovado con fare sospetto e, per questo, era stato controllato. Nella sua abitazione nascondeva un trolley con 5.600 schede telefoniche di matrice inglese. Si era reso irreperibile, finché non si è presentato a Teramo per ritirare il suo permesso di soggiorno a cinque anni di distanza dalla richiesta (rifiutata) presentata per motivi umanitari. Si è scoperto che aveva usato più di un nome di copertura. E che era stato segnalato dalle autorità francesi come persona pericolosa.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)