2019-09-16
Alessandro Campi: «Da partito anticasta a perno centrista. Il M5s rischia grosso»
Il politologo: «Il punto d'incontro con il Pd è l'assistenzialismo. Macron faro della sinistra: parlano soltanto di ecologia e diritti».La Verità ha conversato sull'esito della crisi di governo con il professor Alessandro Campi, politologo.Un sondaggio di Nando Pagnoncelli ha scattato una fotografia clamorosa: solo 36-38 italiani su 100 sarebbero a favore del governo Conte. È una buona idea insediare un governo così minoritario nel Paese?«Nell'immediato si è raggiunto l'obiettivo prefisso: estromettere Matteo Salvini dalla scena pubblica e impedire che facesse il pieno in caso di elezioni anticipate. Mi chiedo però quali saranno le conseguenze di questa operazione: costituzionalmente legittima, ma politicamente assai discutibile. S'è data una prova di cinismo e opportunismo destinata ad alimentare l'antipolitica e il disprezzo degli elettori nei confronti dei partiti. In questa vicenda tutti hanno mentito e ritrattato le posizioni espresse una settimana prima: se si voleva fermare il risentimento populista si è scelta la strada sbagliata». Il governo appare assente rispetto al Nord produttivo. Si può governare senza Nord?«Il rischio è che si governi contro il Nord. L'assistenzialismo di Stato è forse il punto di maggiore vicinanza tra sinistra e grillismo. Più spesa pubblica, per un Paese indebitato come l'Italia, significherà più prelievo fiscale (magari indiretto). Inevitabilmente ne faranno le spese i ceti produttivi del Nord: aziende e professionisti». Il primo giorno il neo ministro Francesco Boccia ha subito impugnato una legge del Friuli Venezia Giulia. L'idea che il primo atto sia stato un segno di ostilità verso il Nord sull'immigrazione che riflessione le suscita?«In questo caso, l'idea è stata mandare un segnale sull'immigrazione, per proporne una gestione diversa da quella in termini di sicurezza e ordine pubblico cavalcata da Matteo Salvini. Più in generale, come mostra la scelta di un tecnico al Viminale, si vorrebbe affrontare la questione migratoria in una chiave puramente umanitario-amministrativa. Ma vedo tre ostacoli. L'immigrazione è una questione integralmente politica, con grandi implicazioni storiche, sociali e culturali, e come tale va affrontata. Mi chiedo poi se il M5s avrà la forza di rimangiarsi le scelte condivise insieme alla Lega. Infine, dubito che l'Europa - come si è visto in queste ore - voglia venirci incontro solo perché ora a Roma c'è un governo amico. Sull'immigrazione tutti i governi europei rispondono ai loro elettorati interni, a partire da Emmanuel Macron». Ma non era meglio andare alle elezioni e fare chiarezza?«L'errore più grosso lo ha fatto il Pd. Andando al voto (che era poi l'idea iniziale di Nicola Zingaretti) avrebbe potuto dare l'assalto all'elettorato di un M5s allo sbando, mentre facendoci un governo insieme ha finito per puntellarlo. Ma se proprio si voleva stringere un patto Pd-M5s lo si poteva fare creando una coalizione per il voto. A quel punto, la vittoria di Salvini non sarebbe stata affatto sicura. Ci sarebbe stato un duro scontro, ma almeno gli italiani avrebbero scelto da chi essere governati. Invece è prevalsa una Realpolitik ispirata da Bruxelles, a conferma che l'Italia continua a essere un Paese sostanzialmente sotto tutela».In Austria votano a fine settembre, in Polonia il 13 ottobre, probabilmente presto anche in Spagna e Regno Unito. Soltanto da noi le urne anticipate sono viste come un trauma?«Per giustificare la scelta di non andare al voto si è dovuto puntare sulla drammatizzazione attraverso la risorsa emotiva dell'antifascismo. C'era da impedire che Salvini, assunti i pieni poteri, si trasformasse in un autocrate. In questa scelta tra l'altro vedo un divertente paradosso: l'accusa a Salvini di delegittimare i suoi avversari viene da chi lo considera un pericoloso fascista da neutralizzare a ogni costo. Il riconoscimento tra avversari mi sembra ancora un traguardo lontano».Il M5s è passato dai gilet gialli a Macron, dalla contestazione dell'Ue a fare da stampella a Ursula von der Leyen. Non rischia di diventare una specie di «grande Ncd» che si aggrappa solo a postazioni ministeriali, interpretando linee politiche opposte?«Il M5s è una strana bestia politica. Dipende, come si è visto, dalla parola del suo guru fondatore. Al tempo stesso, avendo adesso scelto l'ordine costituito e il sistema, cioè il Pd, il M5s rischia di perdere (a beneficio della Lega) la sua ragione sociale e il tema identitario intorno al quale è nato e cresciuto: la lotta contro la casta». In genere gli elettori sono severi con queste operazioni…«Già ai prossimi appuntamenti elettorali amministrativi si vedrà quanti elettori grillini hanno effettivamente gradito questa conversione centrista e moderata (che peraltro puzza d'opportunismo lontano un miglio). I votanti della piattaforma sono poche decine di migliaia di attivisti. Ma che cosa pensano i milioni di elettori grillini arrabbiati che negli anni hanno preso sul serio le invettive di Beppe Grillo e dei suoi seguaci contro il Palazzo?».Quanto al Pd, sembra aderire alla rappresentazione critica che viene fatta di quel partito: al governo senza mandato degli elettori…«Il Pd come soggetto unitario non esiste: è una federazione di correnti e gruppi di potere, con leader interni che si muovono in autonomia e perseguendo obiettivi differenti. L'unità d'intenti che ha consentito il varo del governo gialloblù non deve ingannare: proprio in queste ore Matteo Renzi sta lavorando per farsi un suo partito centrista che per vivere e contare avrà bisogno del ritorno al proporzionale. Secondo, il Pd è un partito d'apparato: la sua debolezza elettorale è compensata dai rapporti molto stretti che storicamente può vantare con l'establishment: da quello europeo a quello tecnicoburocratico incistato nei gangli dello Stato, passando per il mondo dell'informazione». Quando è avvenuto il distacco tra sinistra e popolo? «La sinistra, politicamente, ha sempre diffidato del popolo (direi a ragione). Ciò non toglie che molti leader della sinistra, venendo dai ceti popolari, ne abbiano mantenuto per decenni gusti, abitudini e comportamenti. Il passaggio politico-culturale dall'internazionalismo al globalismo, avvenuto negli ultimi tre decenni, ha cambiato tutto. La sinistra si è progressivamente snazionalizzata: le sue élite hanno adottato uno stile cosmopolita. Abbandonati operai e lavoratori, essa ha fatto dei migranti la nuova classe universale, ridando fiato alla sua utopia di un mondo senza confini e nazioni. E le masse, abbandonate a sé stesse, si sono consegnate ai demagoghi del populismo».Non pensa che venga da lontano la pretesa di giudicare il popolo, anziché ascoltarlo? L'idea che ci sia un'avanguardia «illuminata» chiamata a guidare le masse inconsapevoli? «La sinistra è storicamente nata per emancipare il popolo dalla sua condizione servile (obiettivo peraltro nobile), non per affidargli il potere e il governo. I leader rivoluzionari si sono sempre concepiti come aristocrazia e avanguardia e hanno sempre pensato che il popolo, lasciato a sé stesso, rappresenti una bestia ingovernabile, capace di tutto». Il guaio è che poi quelle masse si sono arrabbiate…«Più che altro si sono sentite sole, abbandonate da chi doveva guidarle, alle prese con le ansie e le paure che la globalizzazione ha prodotto, senza risposte politiche».Nasce da qui questa idea della sinistra che si possa andare al potere senza passare dalle urne?«Nessuno mette in discussione le elezioni e la democrazia, ma è ormai chiara la tendenza della sinistra a offrirne una declinazione verticistica e tecnocratica, pragmatica e postideologica. Non a caso il suo faro ideologico è diventato Macron». Così si consegna ad altri la rappresentanza delle periferie e dei più deboli…«Da decenni il voto popolare della sinistra si è spostato a destra... Un trend destinato a continuare se la sinistra continua a parlare solo ai ceti urbani scolarizzati di ecologia e di diritti individuali».Esaminati i due contraenti, veniamo al loro connubio. «Ci sono convergenze possibili (specie quelle su una visione allarmistico-apocalittica della questione ambientale oggi assai di moda, con la coda intollerante e integralista che già si registra nel dibattito pubblico), ma mi chiedo a questo punto cosa ne sarà del riformismo sbandierato dal Pd. Forse ha ragione Grillo. Da questo strano connubio nascerà la sinistra del futuro: ma rischia di avere tratti anticapitalisti e antimodernisti (dietro la facciata ipertecnologica di cui si ammanta il grillismo) che segneranno la fine della sinistra nella sua versione liberalmodernizzatrice».Veniamo alle opposizioni. Che devono fare? Forse non basta dire che gli altri sono «cattivi». Ha dei suggerimenti per una strategia di lungo periodo?«Le opposizioni devono ridefinire la propria agenda (anche culturale) e la propria strategia. Sul primo punto: perché i temi ambientali sono stati regalati o dati in appalto a una sinistra che li traduce in una chiave antiumanistica? Sul secondo punto: Salvini ha commesso lo stesso errore di Silvio Berlusconi, ha confuso il consenso elettorale con il potere sociale. Le opposizioni, oltre a strillare in piazza, debbono mettersi in testa che occorre stringere alleanze, accordi e intese (tutto questo si chiama politica) con le tecnostrutture, con gli apparati amministrativi, con il mondo della cultura e dell'informazione. Se hai con te il popolo ma contro tutte le élite, può non piacere ma la partita è persa in partenza».