A differenza del passato, oggi ogni zona della Penisola ha un vino autoctono per brindare durante le feste. Ecco una guida ragionata per scegliere la bottiglia locale più adeguata ad accompagnare i dolci della tradizione. Senza spendere un capitale.
A differenza del passato, oggi ogni zona della Penisola ha un vino autoctono per brindare durante le feste. Ecco una guida ragionata per scegliere la bottiglia locale più adeguata ad accompagnare i dolci della tradizione. Senza spendere un capitale.Assediati dallo spritz (che pure è buono, sia chiaro) rischiamo di perdere il significato di un rito antico e orgogliosamente nostro: il brindisi. Risale a quando gli uomini libando s'ingraziavano gli dei e facevano pace con la vita. Facendo tintinnare i calici lasciate perdere il «cin cin» e torniamo al latinissimo «prosit». Che come augurio è anche più forte: che ti sia di giovamento. Così accingendoci al grande brindisi delle feste - l'Osservatorio sui vini speciali animato da Giampiero Comolli ci dice che in 30 giorni faremo fuori 77 milioni di bottiglie con un incremento di 2,4 milioni rispetto allo scorso anno (una spesa che sarà di 870 milioni: 240 alle aziende, il resto sono ricarichi) mentre la quota di spumanti esteri è all'incirca di 3,9 milioni di bottiglie con lo Champagne, che è in calo e ha abbassato i prezzi -ricordiamoci che il primato dei vini spumanti è italiano. E non da ora che è esploso il Prosecco - si stima che sette bottiglie su dieci stappate in questo periodo siano di Prosecco Asolo o Valdobbiadene-Conegliano per le due Docg (Aneri, Nino Franco, Rugeri, Bisol), ma una gran quota è di Prosecco Doc - ma dai tempi degli etruschi. Questo spiega perché l'Italia abbia una produzione spumantistica così ampia e soprattutto così «biodiversa».Ogni zona viticola ha il suo spumante, la Francia (ora che siamo in tempo di Brexit ricordatevi che lo Champagne lo hanno inventato gli inglesi) ha sei denominazioni e la Spagna una sola. La tendenza di questi ultimi anni è proprio quella di riscoprire le produzioni «geografiche». Questo non significa dimenticare i nostri grandissimi giacimenti spumantistici del Nord Italia. Prima di iniziare questo nostro velocissimo tour alla ricerca dello spumante giusto, quello di prossimità con una spesa che sta sotto ai 30 euro a bottiglia, occorre dire che anche in fatto di tecnica gli italiani hanno battuto i francesi. Se infatti risale ai tempi dei romani la pratica della spumantizzazione attraverso la rifermentazione, giova dire che fu Federico Martinotti, metà Ottocento, a inventare la rifermentazione in autoclave per esaltare i vitigni autoctoni e far loro conservare i sentori di frutta e florali. Mentre i grandi spumanti - sull'onda degli Champagne - si fanno da vitigni internazionali (Pinot nero, Pinot Meunier, Chardonnay Pinot bianco in prevalenza) la variegata produzione regionale italiana - come del resto dimostra il Prosecco - sfrutta ampiamente la biodiversità dei nostri vitigni.Si parte dal Piemonte dove c'è la produzione di spumanti di altissima classe con il brand Alta langa, ma proprio in Piemonte ecco i grandi classici degli spumanti dolci: l'Asti fatto con Moscato, il Brachetto. E ancora ecco due piemontesi di nicchia: l'Erbaluce di Caluso e quello che viene da uve Cortese, nella zona di Gavi. Se volete una suggestione letteraria: La Scolca in ricordo di Mario Soldati. In Liguria si sono addirittura dati da fare per un grande spumante da uva Pigato e Albarola facendolo maturare nel mare di Portofino (l'etichetta è Abissi) e sott'acqua anche in Sardegna fanno un Vermentino spumante, ma il massimo lì è lo spumante da uve Torbato di Sella e Mosca. Torniamo al Nord, in Lombardia, che è la terra promessa degli spumanti. Franciacorta basta la parola (Bellavista, Ca' del Bosco, Uberti, Mosnel, La Montina per dirne alcune), l'Oltrepò Pavese è il più grande giacimento di Pinot nero d'Europa (La Versa, Vistarino, Boatti), ma poi anche qui ci sono le chicche: la zona del Garda con la denominazione Valtenesi, e persino spumanti da Chiavennasca in Valtellina come la bollicina di Nino Negri. Il Veneto è tanto Prosecco ma non solo, ed ecco le uve durella sui Lessini, ecco la riscoperta di vini antichi come il Marzemino dolce. Il Trentino e l'Alto Adige sono un'enclave spumantistica che sovente batte lo Champagne (Ferrari, Maso Martis, Letrari, Abate nero, Cesarini Sforza, Cavit, Mezzacorona, Bossi Fedrigotti) ma anche qui si possono trovare produzioni di nicchia da Nosiola o Müller Thurgau. Scendiamo per incontrare una regione insospettabile per molti amanti delle bollicine: le Marche.Qui l'eccellenza ha una giustificazione storica validissima: nel primo Seicento tanto Andrea Bacci quanto Francesco Scacchi (sulla scorta dei suoi appunti è stato studiato un terzo metodo di rifermentazione) ben prima dell'effimero Dom Pérignon codificarono come si fa lo spumante. I marchigiani lo sanno fare: grandi metodo classico con il Verdicchio (Colonnara ha dedicato a Ubaldo Rossi, l'inventore del Verdicchio brut, una bottiglia stratosferica), poi vini di nicchia come la Passerina di Velenosi, il Pecorino di Ciu Ciu, la Ribona (60 mesi sui lieviti) di Fontezoppa che fa anche un grande rosato da Vernaccia nera di Serrapetrona dove Alberto (Mauro) Quacquairini produce uno spumante secco e uno dolce a tripla fermentazione che è un unicum. Ma infinite sono le produzioni spumantistiche italiane. Così ecco il Bellone del Lazio, la Falanghina campana (D'Ambra a Ischia fa uno spumante da Forastera unico) e poi i grandi vitigni a bacca rossa vinificati in bianco dall'Aglianico a Magliocco tra Basilicata e Calabria per arrivare al Bombino bianco in Puglia. Ma c'è un'altra isola di grandissima tradizione. La Sicilia. Non molti sanno che la cucina dei monsù (i cuochi d'impostazione francese della nobiltà borbonica) chiedeva d'essere accompagnata con lo Champagne. I siciliani scopersero che con il Nerello mascalese che nasce alle pendii dell'Etna potevano fare bollicine egregie. Cominciò così a metà del Settecento una storia spumantistica siciliana (Donnafugata, Cusumano, Tasca d'Almerita) diventata un successo planetario. Se volete brindare all'italiana dunque scegliete il vostro dialetto in bottiglia. Sarà spumeggiante.
Ansa
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C’è un filo che attraversa il tempo, invisibile e tenace che unisce le donne di ieri a quelle di oggi. È la trama di storie che non chiedono concessioni, ma riconoscimento. Di gesti che cambiano le cose senza bisogno di clamore. Di intelligenze che innovano, di passioni che costruiscono. Da questo filo è nata Valore Donna, uno spazio dove le donne non sono semplicemente «raccontate», ma anche e soprattutto ascoltate.
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
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