2021-08-27
Dai banchi a rotelle a Bianchi senza rotelle
«Stiamo lavorando con presidi e Garante della privacy per avere uno strumento semplice e facile che permetta ai presidi tutte le mattine di controllare chi ha il disco verde e chi il disco rosso». Patrizio Bianchi, ministro dell'Istruzione, ieri a Morning news, la trasmissione in onda su Canale 5, l'ha fatta facile. Le parole che ha sparso erano rassicuranti, senza dubbi, quasi che tutto fosse sotto controllo. In realtà, a un paio di settimane dall'inizio delle lezioni, di sicuro c'è ben poco, se non che sono trascorsi più di sei mesi da quando il professore di Ferrara ha preso il posto di Lucia Azzolina, ma grandi cambiamenti non si sono registrati. In particolare, nulla si sa di come al ministero intendano evitare un ritorno alla famigerata Dad, la didattica a distanza che tanto ha condizionato gli andamenti scolastici nell'ultimo anno. La verità è che, nonostante il ministro diffonda messaggi rasserenanti, gli strumenti con cui verrà affrontata la situazione di emergenza venutasi a creare con la pandemia ancora non ci sono. Sì, il governo ha introdotto l'obbligo del green pass per i docenti e per il personale scolastico, ma i controlli nessuno sa a chi saranno affidati. Ieri Bianchi ha parlato di un'applicazione «semplice e facile» che consentirà ai dirigenti d'istituto di conoscere chi ha il certificato verde e chi no. Tuttavia, visti i precedenti in materia di controlli online, si fa fatica a non diffidare, soprattutto quando la piattaforma arriva all'ultimo minuto prima che suoni la campanella. Ricordate la app Immuni, quella che doveva tracciare i contagiati? Beh, non ha mai funzionato, tanto che all'improvviso, prima ancora che cadesse Giuseppe Conte, è scomparsa dai radar. Qualche problema si registra anche con l'app che verifica il green pass, ma diciamo che questi al momento non preoccupano. Che succederà però quando ogni giorno si dovranno verificare i certificati di oltre 1 milione di persone? Soprattutto, come si distingueranno i green pass rilasciati dopo che il docente o il collaboratore scolastico si è vaccinato da quelli frutto di un tampone vaccinale effettuato 48 ore prima di recarsi a scuola? Vi sembrano problemi di lana caprina? Mica tanto, perché uno dei paletti messi dal Garante della privacy e soprattutto dai sindacati è che non si possono discriminare gli insegnanti, né violare la riservatezza dei dati sanitari. Dunque, l'applicazione non può svelare se si è vaccinati o meno, ma solo dire se si è abilitati all'ingresso nell'istituto scolastico oppure no. Perciò ogni giorno qualcuno (il preside, una segretaria o un bidello) dovrà prendersi la briga di scorrere l'elenco del corpo docente e di accertare che possa entrare in aula. Ma come la mettiamo con un insegnante non vaccinato che sabato mattina si sia fatto un tampone e risulti dunque essere in regola per fare lezione? Se il tampone è fatto alle 9 di sabato, alle 8 di lunedì, quando varcherà l'ingresso della scuola, per dirla con Bianchi avrà disco verde. Ma già alle 9.15 il suo green pass sarà scaduto e dunque che facciamo in questo caso, lo rimandiamo a casa? E con i docenti che hanno il certificato verde perché hanno fatto la prima dose ma non la seconda, come ci comportiamo? Per non dire poi del personale che non è tenuto a esibire il lasciapassare, ovvero quei dipendenti ausiliari che non rientrano nelle disposizioni ministeriali, ma che circoleranno all'interno della scuola senza assicurare nessuna immunizzazione. Infine, ci sono circa 8 milioni di studenti per i quali non è previsto nulla, se non la raccomandazione di tenere le finestre aperte anche d'inverno in modo che le aule siano sempre ben arieggiate e il virus non ristagni nei locali. Bastano queste semplici descrizioni per capire che ancora una volta quello che ci attende non sarà un anno scolastico normale, perché c'è il rischio che si ripeta quanto accadde nel 2020, con il ritorno in aula. Dopo le rassicurazioni del ministro Azzolina, l'acquisto dei banchi a rotelle e le disposizioni per misurare la febbre a casa, le lezioni furono sospese a causa dell'aumentare dei contagi. Qualcuno a questo punto potrebbe chiedersi che cosa fare in luogo del giornaliero controllo del green pass. Beh, magari evitare gli affollamenti, ridurre il numero di studenti nelle classi e differenziare pure gli orari di ingresso, tutte cose di buon senso che però ai sindacati, cioè ai veri padroni della scuola, non piacciono, preferendo soluzioni di facciata. Bianchi ieri ha anche detto che il ministero ha un controllo millimetrico di ciò che accade e ha aggiunto che le classi pollaio sono solo il 2,9 per cento, per il resto non si superano i 27 studenti. Ci fa piacere, ma dal responsabile dell'Istruzione vorremmo sapere quanto sono grandi le aule e, soprattutto, perché in sei mesi non ha fatto in modo che quel 2,9 per cento di classi sovraffollate non ci fosse. Già, perché non basta eliminare i banchi a rotelle ordinati dal duplex Azzolina-Arcuri. Poi le rotelle bisogna anche farle funzionare.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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