
La storia di Emilio Baronti, un barista lombardo di 76 anni: «Provavo vergogna a chiederla perché avevo solo 21 annualità di contributi versati, nella mia testa non la meritavo. Però là fuori è pieno di accattoni che non hanno mai fatto nulla e prendono comunque qualcosa».Emilio Baronti non è un esponente di quell'integralismo riottoso della domenica, con la bava alla bocca e il forcone ben saldo nella mano. Non appartiene alla cricca degli irriducibili da bar - pur avendone uno in gestione da 15 anni - intolleranti alla casta (manco fosse una specie di allergia al glutine): è un uomo che fa la sua parte con dedizione e rifugge i sensazionalismi. Con garbata insistenza, specifica a più riprese che il suo non è un j'accuse ideologico, né tantomeno lo sfogo cantilenante di chi si lamenta per partito preso, perché costa minor fatica intonare «Piove, governo ladro!» al modo di un inno nazionale che rimboccarsi le maniche. Quasi vive con senso di colpa, una sorta di peccato originale, come a pentirsi di una marachella commessa e poi rimpianta, il fatto di essere finito poche settimane fa sulle pagine di un quotidiano locale della provincia lombarda. «Quel giornalista lì ha scritto le cose mica tanto bene», si giustifica con marcata inflessione milanese il barista di Merate. E però non tira indietro la mano. Del resto, la sua è una storia che si racconta da sola, non ha bisogno di essere gridata affinché qualcuno drizzi le antenne. A 76 anni compiuti, non ha ancora percepito un centesimo di pensione. Pur avendone piena facoltà, per 16 anni si è rifiutato di chiederla. Suona come una boutade, nel Paese delle pensioni d'oro e dei vitalizi. Eppure, la motivazione sta tutta in un sentimento profondamente umano: «Provavo vergogna a chiederla, nonostante mi spettasse. Avendo solo 21 annualità di contributi versati, non pensavo di meritarla». Guardandolo attraverso il filtro dei suoi racconti, si potrebbe osservare che Baronti abbia condotto un'esistenza più da cicala che da formica, ma è doveroso distinguere il piano delle scelte individuali da quello dei diritti. «Credo che si debba dire le cose come stanno, non sopporto le ipocrisie. In passato, dirigevo una ditta di casalinghi con 43 dipendenti: ho guadagnato tanto e sperperato tanto. Ma erano soldi miei, non ho rubato niente a nessuno», afferma il commerciante che solo un anno fa, su pressione dei familiari, si è deciso a bussare alle porte dell'Inps. La domanda che chiunque le porrebbe è: chi glielo ha fatto fare?«Ogni tanto, me lo chiedo anch'io».C'è chi sosterrebbe che non doveva avere un gran bisogno di soldi.«Non sono sotto un ponte, ma non navigo nell'oro, glielo assicuro. Ho questo bar da 15 anni e sopravvivo, non metto via nulla. Avrei potuto prendere la sociale da un pezzo, ma nella mia testa non la meritavo».A che età ha cominciato a lavorare?«Avevo 14 anni. Ho fatto prima il macellaio, poi il rappresentante. Ma si era sempre in nero, una volta funzionava così. Anche quando mi misi in proprio, non pensavo all'età della pensione. Allora c'era l'Enasarco: io vendevo, prendevo la provvigione e finiva lì».Non ha messo da parte nulla?«Sono sempre stato il tipo che appena ha i soldi li spende: vacanze, donne, macchine sportive. A 24 anni, possedevo una Ferrari 250 Gto Scaglietti. Una meraviglia. Guidai anche un Porsche… Solo per un giorno, però».Come mai?«Avanzavo 10 milioni di lire da un tizio. Un giorno, seppi che si era comprato il Porsche. Andai da lui, presi la macchina e gli dissi: “Domattina andiamo a fare il trapasso". La sera stessa mi trovavo in una discoteca in piazza San Babila, mi chiamarono perché avevo lasciato l'auto in seconda fila. Fuori c'era un signore, mi scusai: “La sposto subito". Lui: “No no! Me la vende? Le do 12 milioni". Accettai, per me era solo uno sfizio. Il mattino dopo, a fare il trapasso eravamo in tre».Le girava piuttosto bene…«Eccome. Inoltre, me la cavavo piuttosto bene con le carte, giocavo a soldi nei circoli: partite fino a 4 milioni. Vincevo perché non ero un presuntuoso. Per qualche tempo, feci il “cavallo" per un tizio: se vincevo prendevo il 5 per cento, se perdevo non gli dovevo nulla. Smisi quando cominciai a vedere facce strane, diciamo così».Come ha fatto a mandare in fumo il denaro che aveva accumulato?«Negli anni Novanta, presi un bidone da 987 milioni di lire. Una storia di cambiali false, alcuni venditori che lavoravano per me mi fregarono. Riuscii a evitare il fallimento, ma perdetti quasi tutto. Da allora, è stato un continuo tirare a campare».Non sarà anche a causa di quello stile di vita che si sentiva in difetto a chiedere la pensione?«Può darsi. È un insieme di cose. Come le ho detto, odio le ipocrisie e non sono uno che piange miseria. Però là fuori è pieno di accattoni che non hanno mai fatto nulla e prendono comunque qualcosa».A 76 anni, se non altro, non avrà più una famiglia da mantenere.«Già. Nel 1995 mi separai da mia moglie, che oggi mi aiuta qui al bar. Siamo stati insieme 26 anni e ancora abbiamo un buon rapporto, una figlia che abita in Sardegna e un'altra convive con un commercialista. Un ladro… Perché cosa sono i commercialisti, secondo lei? Battute a parte, stanno tutti bene».Mi viene in mente un detto che recita più o meno così: «Per una moglie, la pensione significa due volte meno soldi e due volte più un marito».«(Ride) Ecco, non è il mio caso. Io ero sempre in giro, anche quando c'erano i figli. Non riesco a fermarmi, ho un'anima da zingaro».E però gestire un bar richiede un grande impiego di energia. Ancora tiene botta?«Per uno della mia età, stare in piedi tutto il giorno non è facile. Ma non posso fare altrimenti: anche con la sociale, dovrei continuare a lavorare. Mangio qui mezzogiorno e sera, a casa non ho nemmeno la cucina».Che orari fa?«Dipende. Certi giorni tengo aperto anche fino all'una di notte: c'è una bella compagnia che viene a giocare a biliardo una volta alla settimana. Solitamente, intorno alle dieci di sera tiro giù la cler. Poi, magari, vado a Milano a trovare gli amici».Senta, ma davvero si sentiva un mantenuto a chiedere la minima?«Prima sì, lo dico col cuore. Ora un po' meno».Sa cosa diceva Voltaire? «Vivere per fare arrabbiare coloro che stanno pagando per la tua pensione è il solo piacere che mi è rimasto».«Vede, la vita è tutta una questione di testa. Fossi stato un lazzarone, avrei chiesto la sociale 16 anni fa. C'è gente che ha più bisogno di me. Mia moglie mi ripete sempre che tanto, anche se non li danno a me, quei soldi se li mangia lo Stato».A proposito: quando lancia un'occhiata ai palazzi della politica, quali pensieri si accavallano nella sua mente?«Non riesco a non pensare che stiamo pagando ancora i danni della Dc e dei socialisti. Forse, tra 200 anni, pagheremo gli sperperi di quei farabutti. La politica di oggi è molto più sana rispetto a quella di 40 anni fa».L'ex deputato Dc, Valentino Perdonà, 103 anni, percepisce un vitalizio da 4.480 euro al mese. E lei che si faceva dei problemi…«Per questo ora non me ne faccio più. Magari lui se li merita pure. È vedere gente ben più giovane che non ha mai fatto un cazzo e prende 2.000 euro di vitalizio a farmi imbestialire».Lei quanto porta a casa, a fine mese?«Quando va bene, pareggio i conti. Galleggio».Recentemente, il presidente dell'Inps Tito Boeri ha illustrato che i parlamentari che incassano il vitalizio sono circa 2.700, per un costo totale stimato attorno ai 200 milioni di euro.«Bisognerebbe tagliarli tutti. Senatori a vita? Io preferisco chiamarli accattoni. E quando muoiono i soldi vanno ai figli, mentre potrebbero essere utilizzati per gli asili, per mettere a posto le carceri, per alzare le pensioni della povera gente che deve rivolgersi alla Caritas per un pasto. Probabilmente, quella è la fine che farò io».«Non faranno una bella fine» è ciò che ha dichiarato il vicepremier Luigi Di Maio pochi giorni fa, commentando i 700 ricorsi dei parlamentari contro il taglio dei vitalizi.«Ah sì? Me lo auguro. Ormai seguo poco la politica, sono sincero, a malapena guardo i telegiornali. Di Maio mi piace, spero che la poltrona non cambi anche lui. Una volta che si siedono, cambiano tutti. Ho sempre votato Pd, ma sono rimasto molto deluso da Matteo Renzi e dal partito. La sinistra ha perso la capacità di ascoltare il popolo, i lavoratori».L'attuale segretario, Maurizio Martina, le piace?«È una persona in gamba, molto intelligente. È che non lo vedo come leader, gli mancano le palle. Uno con gli attributi è Salvini, ma deve decidersi a mollare Berlusconi una volta per tutte».Senta, era il 3 luglio 2017 quando fece domanda alla Cgil per avere la pensione minima. È passato più di un anno. Si è mosso qualcosa, nel frattempo?«Ora le racconto. Due mesi dopo, tornai per vedere a che punto era il mio fascicolo. “Stiamo mandando avanti la pratica, la faremo chiamare", mi dissero. Non ho più sentito nessuno. Qualche tempo fa, parlando con un'amica che lavora all'Inps, ho scoperto che la domanda fatta alla Cgil non era mai stata spedita. Risultato: non ho ancora visto un euro. Ma io non ho fretta. Ho aspettato 16 anni…».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.