I mutui costano, le norme sugli affitti brevi sono sempre più restrittive e, in più, l’inflazione rende tutto più caro, in particolare le aste immobiliari che ogni giorno che passa sono sempre più deserte. È la fotografia scattata grazie ai risultati delle analisi dei dati dal Pvp (il portale ministeriale delle vendite pubbliche), elaborati da immobiliallasta.it e facente parte dell’ecosistema Reviva.
I mutui costano, le norme sugli affitti brevi sono sempre più restrittive e, in più, l’inflazione rende tutto più caro, in particolare le aste immobiliari che ogni giorno che passa sono sempre più deserte. È la fotografia scattata grazie ai risultati delle analisi dei dati dal Pvp (il portale ministeriale delle vendite pubbliche), elaborati da immobiliallasta.it e facente parte dell’ecosistema Reviva.Se da un lato è infatti vero che il valore medio in asta degli immobili residenziali è di 700 euro al metro quadro contro una media italiana di 1.970 euro al metro in vendita sul mercato tradizionale, è anche vero che quest’anno abbiamo assistito a un crollo del 20% delle aste immobiliari. Sono state infatti 152.303 le aste bandite nel 2023,- 20% rispetto alle 191.253 del 2022 e -18% rispetto alle 185.555 del 2021. Nel corso dell’anno l’andamento è stato costante, mediamente ci sono state 13.800 aste al mese, il 20% in meno rispetto alle 17.400 del 2022. Lo stesso impatto si è anche riversato sul valore complessivo delle aste pubblicate, che si attesta nel 2023 a 18 miliardi di euro, -20% rispetto ai 22,6 miliardi dello scorso anno e ai 23,7 del 2021.Il calo è frutto della diminuzione delle procedure esecutive pendenti nei tribunali in corso da anni, passate dalle 240.000 del 2018 alle 138.000 di fine 2022, contro però un calo dello stock di crediti deteriorati nel sistema non proporzionale, che è passato dai 342 miliardi del 2018 ai 306 di fine 2022.Per capirsi, questo fenomeno è dovuto al fatto che nella maggior parte dei casi, con la vendita di un immobile in asta e la conseguente chiusura della procedura esecutiva, non viene recuperato integralmente il credito ma solo parte di questo, lasciando ancora un credito residuo estremamente difficile da recuperare, il cosiddetto «deficiency claim».La componente principale, in termini di tipologia di immobili in asta, resta quella residenziale con un volume di immobili che rappresenta il 55% del totale contro il 34% dei non residenziali. Il valore economico principalmente, invece, è concentrato negli immobili non residenziali (48,7%) contro il 42% dei residenziali (che hanno recuperato quote negli ultimi anni) e il 9,3% dei terreni. «Oggi il settore delle aste si trova in una fase calante. Dal post-covid le aste sono state in crescita, una tendenza interrotta nel 2022 dove la crescita si è fermata, per poi vedere un calo nel 2023. Tuttavia, nonostante il calo degli immobili posti in vendita giudiziaria pensiamo che ci sia una grande opportunità per aumentarne le vendite, in quanto il vantaggio economico che si può ottenere è più attraente di sempre in questo momento storico del mercato immobiliare», dice Ivano De Natale, ceo e Co-Founder di Reviva e Immobiliallasta.it.C’è poi un altro fattore da considerare. Le aste crollano maggiormente al Nord, a favore di un aumento della componente di aste fissate al sud e nelle isole. Questo è dovuto alla maggior lentezza dei tribunali delle aree del sud e isole, che quindi impiegano più tempo a concludere le procedure esecutive e concorsuali. «L’inefficienza delle vendite in asta ha un costo, che stanno pagando sia i creditori- non recuperando totalmente il credito- e sia i debitori che restano debitori della banca per la cifra residua non coperta dalle vendite dell’immobile in asta. La nostra missione è proprio quella di rendere più accessibile e diffuso questo tipo di acquisto e far sì che gli immobili in asta vengano venduti in maggior misura, in favore di creditori, debitori, acquirenti e tutto il mercato immobiliare», conclude Giulio Licenza, co fondatore di ReViva.
Zohran Mamdani (Ansa)
Le battaglie ideologiche fondamentali per spostare i voti alle elezioni. Green e woke usati per arruolare i giovani, che puntano a vivere le loro esistenze in vacanza nelle metropoli. Ma il sistema non può reggere.
Uno degli aspetti più evidenti dell’instaurazione dei due mondi sta nella polarizzazione elettorale tra le metropoli e le aree suburbane, tra quelle che in Italia si definiscono «città» e «provincia». Questa riflessione è ben chiara agli specialisti da anni, rappresenta un fattore determinante per impostare ogni campagna elettorale almeno negli ultimi vent’anni, ed è indice di una divisione sociale, culturale ed antropologica realmente decisiva.
Il fatto che a New York abbia vinto le elezioni per la carica di sindaco un musulmano nato in Uganda, di origini iraniane, marxista dichiarato, che qualche mese fa ha fatto comizi nei quali auspicava il «superamento della proprietà privata» e sosteneva che la violenza in sé non esista ma sia sempre un «costrutto sociale», così come il genere sessuale, ha aperto un dibattito interno alla Sinistra.
Jean-Eudes Gannat
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».
Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città.
«Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano.
Emanuele Orsini (Ansa)
Dopo aver proposto di ridurre le sovvenzioni da 6,3 a 2,5 miliardi per Transizione 5.0., Viale dell’Astronomia lamenta la fine dei finanziamenti. Assolombarda: «Segnale deludente la comunicazione improvvisa».
Confindustria piange sui fondi che aveva chiesto lei di tagliare? La domanda sorge spontanea dopo l’ennesimo ribaltamento di fronte sul piano Transizione 5.0, la misura con dote iniziale da 6,3 miliardi di euro pensata per accompagnare le imprese nella doppia rivoluzione digitale ed energetica. Dopo mesi di lamentele sulla difficoltà di accesso allo strumento e sul rischio di scarse adesioni, lo strumento è riuscito nel più classico dei colpi di scena: i fondi sono finiti. E subito gli industriali, che fino a ieri lo giudicavano un fallimento, oggi denunciano «forte preoccupazione» e chiedono di «tutelare chi è rimasto in lista d’attesa».
Emmanuel Macron (Ansa)
L’intesa risponderebbe al bisogno europeo di terre rare sottraendoci dal giogo cinese.
Il tema è come rendere l’Ue un moltiplicatore di vantaggi per le nazioni partecipanti. Mettendo a lato la priorità della sicurezza, la seconda urgenza è spingere l’Ue a siglare accordi commerciali nel mondo come leva per l’export delle sue nazioni, in particolare per quelle che non riescono a ridurre la dipendenza dall’export stesso aumentando i consumi interni e con il problema di ridurre i costi di importazione di minerali critici, in particolare Italia e Germania. Tra i tanti negoziati in corso tra Ue e diverse nazioni del globo, quello con il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay ed Uruguay) è tra i più maturi (dopo 20 anni circa di trattative) e ha raggiunto una bozza abbastanza strutturata.






