2022-04-23
Crociata del grande fratello fiscale contro commercianti e autonomi
Nel Pnrr2 anche una norma che permette di controllare tutti gli incassi tramite Pos di ristoranti, bar e di ogni esercizio commerciale. Se c’è discrepanza con gli scontrini battuti, possono scattare verifiche.Sta per andare in onda un grande classico dei periodi di impoverimento. Che fanno in quei casi i governi italiani? Provano forse ad abbassare le tasse per incoraggiare la crescita? No: preferiscono invece far partire la caccia alle streghe della mitica «lotta all’evasione» per additare al pubblico ludibrio i presunti «furbetti». Peccato che a quel punto finisca nel mirino un numero enorme e indiscriminato di persone, senza beneficio per l’economia, e magari con una nuova iniezione di odio sociale e risentimenti incrociati. In compenso, guadagna altro spazio lo stato di polizia fiscale. E così il Consiglio dei ministri si prepara a un ennesimo giro di vite, attraverso il cosiddetto «decreto Pnrr 2». Non solo saranno puniti i commercianti che diranno no a carte di credito e bancomat: 30 euro di multa per ogni singola operazione, più una maggiorazione fiscale del 4%. Ma ci sarà anche un incrocio tra i dati provenienti dai registratori di cassa dei negozi e gli incassi via Pos: in caso di discrasia, partirà una raffica di verifiche. L’obiettivo è fin troppo chiaro: colpire l’eventuale sottodimensionata trasmissione degli scontrini rispetto a quanto effettivamente incassato attraverso pagamenti elettronici.Tutto questo armamentario doveva essere messo in campo dal 1° gennaio 2023, ma scatterà in anticipo, dal 30 giugno prossimo. Per ora, le veline governative sottolineano che non saranno oggetto né di trasmissione né di analisi i dati degli acquirenti, ma solo quelli dei venditori. E così, in uno dei momenti più cupi per le piccole imprese e il commercio di prossimità (è sufficiente fare un giro per le strade di tutta Italia per vedere ovunque serrande abbassate e malinconici cartelli «vendesi» e «affittasi»), ripartirà la canzoncina contro i commercianti evasori, con sommo giubilo della sinistra più ideologica. La cosa è ancora più paradossale dopo il biennio pandemico: restrizioni pazzesche, lockdown effettivi e striscianti, ristori al minimo, una valanga di aziende chiuse, la ripartenza delle cartelle esattoriali e delle temutissime lettere di compliance, e ora anche lo stigma del sospetto di evasione. Siamo alle solite «due Italie». Da un lato, l’Italia del pubblico che (e non è certo una colpa, sia chiaro), durante la pandemia, ha avuto lo stipendio sicuro e la garanzia del posto: e adesso il governo straparla di nuove assunzioni. Dall’altro, l’Italia del privato (imprese e loro dipendenti) lasciata senza ombrello o quasi: e che ora viene fatta oggetto della solita criminalizzazione.Naturalmente, oltre allo scudo «morale» della crociata anti evasione, ci sarà anche la consueta giustificazione del «ce lo chiede l’Europa»: e infatti anche questa misura era tra quelle concordate tra il Mef e la Commissione Ue. E per sovrammercato si dirà che tutto è finalizzato, per i grandi importi, alla «lotta al riciclaggio». Tutti obiettivi nobili, sia chiaro, così come nessuno nega che in Italia ci sia una troppo estesa area di sommerso: ma altra cosa è scatenare proprio adesso questa guerra, nel momento di massima crisi delle piccole aziende.Dalle parti del Mef il gioco è sempre lo stesso: sottolineare la disparità tra l’alto numero di macchinette Pos e il basso numero di transazioni effettuate. Su queste premesse, tirare le somme è fin troppo facile: è l’evasione a spiegare il disallineamento. Altro argomento assai consueto: vengono largamente praticati prezzi diversi a seconda che si calcoli o no l’Iva. E (non neghiamolo) c’è del vero. Il punto è come contrastare il fenomeno: c’è la via dello Stato di polizia fiscale, che trasforma l’Italia in una specie di panopticon tributario. Oppure ci sarebbero - all’opposto - forme più intelligenti e costruttive di intervento: abbassamenti fiscali generali e sgravi mirati.Si pensi alla proposta di grande buon senso illustrata a suo tempo proprio alla Verità da Alberto Brambilla (Itinerari previdenziali), al fine di aiutare l’emersione di tutta una serie di attività altrimenti inevitabilmente destinate a rimanere in nero. Spiegò Brambilla: «Le famiglie italiane sono circa 25 milioni. Si calcola che ognuna di esse abbia dai 3 ai 4 interventi l’anno in casa, per la piccola manutenzione domestica. Si arriva a un numero enorme di interventi: dai 75 ai 100 milioni di lavori in casa l’anno. Lei capisce che non si tratta né di massacrare le famiglie né di prendersela con idraulici, tappezzieri, imbianchini…». Ovviamente il nemico è proprio l’Iva: «Se un lavoro costa 1000 euro, aggiungendo l’Iva costerebbe 1220 euro. È evidente che, davanti alla possibilità di cavarsela senza fattura con 8-900 euro, quasi nessuno si mette a fare l’’eroe fiscale’ e a pagare tutto…». Di qui la proposta semplice ed efficace: «Consentire a ogni famiglia di portare in detrazione al 50% lavori per 5.000 euro l’anno. In pratica ti scarichi 2.500 euro, sei in regola e il vantaggio è significativo, tale da incoraggiarti a chiedere la regolare fattura». Si tratterebbe di adottare una logica di questo tipo, volta a favorire l’emersione, anziché scatenare la solita guerra contro commercianti, artigiani e autonomi.
Jose Mourinho (Getty Images)