2023-03-17
«Tanti colleghi medici mi criticano, ma poi si fan curare da me»
Pietro Mozzi, l’ideatore della dieta del gruppo sanguigno: «La mia stella polare è il dubbio. La scienza di oggi, invece, si crede dogma».Da dieci anni, Pietro Mozzi da Bobbio (Piacenza), per gli amici Piero, è il guru della dieta dei gruppi sanguigni, ormai nota come la «dieta del dottor Mozzi»: a ciascuno il suo cibo. Del guru, in effetti, ha anche la fisionomia: fisico asciutto, barba biblica, voce carezzevole da pifferaio magico. Nelle uscite pubbliche, i suoi sostenitori si avvicinano a lui come a una sorta di guaritore, con fare sacrale, portando le proprie esperienze di miracolati alimentari: «Mi ha cambiato la vita» è il mantra ricorrente.Nonostante Mozzi, 73 anni e una laurea in medicina all’università di Parma, rifiuti qualsiasi approccio dogmatico alla sua figura e alla scienza in generale, la prima edizione della sua dieta, pubblicata nel 2012, ha numeri da best seller. «Secondo una graduatoria de La Stampa, nel 2015 il libro era in classifica da 87 settimane. Prima in vetta o sul podio, poi sempre fra i primi dieci. Quelli di Amazon se ne ricordano ancora: in epoca pre-Covid, era uno dei cinque titoli più venduti».Di recente, in occasione del decimo anniversario, è uscita La nuova dieta del dottor Mozzi (Editrice Mogliazze, nome della cooperativa agricola fondata dal naturopata nel 1978), una versione riveduta e impreziosita grazie anche all’esperienza dei tanti che hanno sperimentato le teorie del medico emiliano sulla propria pelle.Se l’aspettava un tale seguito?«No, assolutamente. Nonostante sia stato sempre osteggiato, il passaparola ha avuto la meglio: la gente provava e verificava, prima di consigliare il libro a parenti e amici. Per oltre 30 anni ho partecipato attivamente presenziando ai mercatini biologici in Lombardia; lì arrivava un finimondo di persone che mi conoscevano già e sapevano che non racconto frottole».Come ha vissuto questa improvvisa popolarità?«La mia vita non è cambiata, da 50 anni è sempre la stessa. Vivo quassù in questo bricco di Mogliazze a 800 metri di altitudine; mi occupo di api, di orto, di gestione del territorio, di potature. Viaggio ancora su una Fiat Uno del 1993, per dirle quanto mi sono montato la testa. Ricevo uno sproposito di lettere, questo sì. Nell’ordine delle migliaia».Avrei detto del milione.«Un milione, probabilmente, sono le persone che hanno letto il libro. Se considera che ha venduto circa 700 mila copie e che tanti se lo passavano all’interno della famiglia o tra amici, credo che più dell’1 per cento della popolazione conosca la dieta del gruppo sanguigno. Non è un numero da poco… quasi più di certi partiti politici (sorride)».Qual è stata la sua stella polare, in questo percorso di ricerca?«Il dubbio. Non sono mai stato affamato di verità insindacabili, non sono come questa nuova scienza che si considera il dogma assoluto e che ha messo in piedi una sorta di nuova inquisizione per i dissidenti. La cosa che colpì fin dall’inizio chi mi ascoltava era il fatto che dicessi: “Dubitate delle mie parole, saranno i fatti a stabilirne la validità”. Questo approccio sconvolgeva le persone».Si è sempre definito un «medico secondo natura».«Nel senso che bisogna seguire il più possibile la natura. È lei ad avere in mano la verità, a imporre la sua legge suprema».Dopo la pubblicazione della prima dieta, diversi medici la contestarono aspramente denunciando l’assenza di evidenze scientifiche. Si mosse perfino l’ordine dei medici.«Ah, l’ordine dei medici di Piacenza mi vuole un bene dell’anima (ride). Una volta feci una proposta: prendiamo 20 medici su base volontaria affetti da diabete, ipertensione o altre patologie; 10 che seguono i miei consigli, 10 che seguono la medicina ufficiale. E vediamo i risultati. Perché ormai siamo in una situazione in cui la gente, quando guarisce seguendo un percorso alternativo quasi non ci crede, vuole che la scienza lo certifichi. È la nuova divinità».All’epoca come reagì?«Guardi, io mi danno affinché le persone non si ammalino, e se si ammalano affinché guariscano. Credo di essere il medico che cura più medici: una media di tre colleghi a settimana si fanno vivi per problemi personali».Mi auguro non siano gli stessi che la osteggiano.«Mah, non so. Ce n’è uno che mi ha dato una soddisfazione immensa».Dica.«Un collega di 65 anni che due anni fa si ammalò di Covid e per un mese fu ricoverato in ospedale qui nella zona. All’uscita, intervistato da un quotidiano locale, ringraziò il personale sanitario e aggiunse: “Sono ancora molto debilitato e affaticato”. Feci il diavolo a quattro per trovare il suo numero. Al telefono rispose la moglie dicendo che il marito era a letto. Chiesi il gruppo sanguigno: “0 negativo”. Domandai come si stesse alimentando: “Gli sto dando tante spremute, tanti gelati”. Le dettai i cibi da assumere e quelli da evitare. Era un mercoledì. Sabato squillò il telefono, era il collega: “Non so come ringraziarti, sono a posto”».Lo sa che a raccontare un fatto del genere in tv un anno fa l’avrebbero linciata, vero?«Bastava che domandassero a quel medico se ciò che raccontavo era vero oppure no. Io sono un seguace di San Tommaso».Qual è la critica che più la infastidisce?«Mia mamma, che non era una persona istruita ma sapeva qualcosa di Dante, quando da bambino mi capitava qualcosa di spiacevole diceva: “Guarda e passa, non ti curar di loro”. Per dirne una, fui invitato da Bruno Vespa a Porta a porta: mi fecero il mazzo. La cosa bizzarra è che gli stessi ospiti che in diretta mi assalivano, a telecamere spente venivano a chiedermi consigli. Dopo la puntata, il programma fu investito da non so quante proteste di italiani imbufaliti. Al punto che, dopo due settimane, Vespa fu costretto a invitarmi di nuovo e in diretta disse: “Dottor Mozzi, non ci è mai successo di richiamare una persona dopo così poco tempo”».Il concetto di scienza ufficiale è tornato a essere protagonista in questi anni di pandemia. Lei che idea si è fatto?«Se va a leggere sullo Zingarelli, alla voce “scienza” troverà definizioni che parlano di studio, metodo, esperienza. Da questo trio nasce la scienza, non è scolpita nel granito. Ciò che era scientifico 20 anni fa, magari oggi non lo è più. Quando ero all’università ci insegnavano che durante le epidemie non si vaccinano le persone perché ciò determina facilmente delle modificazioni del virus. Adesso fanno il contrario. Avevano ragione 40 anni fa o hanno ragione adesso?».Occhio, sta sfiorando la zona no vax.«Macché no vax! Io rispetto tutti, chi si vuole vaccinare si vaccini. Non sopporto l’obbligo in mancanza di una vera legge. La medicina non è una scienza esatta. Le racconto un aneddoto».Prego.«Nel 2015, sul quotidiano Libertà, comparve un articolo dell’Ordine dei medici di Piacenza che interveniva a difesa di alcuni colleghi indagati per qualcosa che non era andata per il verso giusto. Sostenendo sa che cosa? Che la medicina non è una scienza esatta».Ce ne siamo scordati?«Quello che è venuto a mancare, come spesso accade quando ci si crede onnipotenti, è il dubbio».Quali novità sono presenti in questo secondo libro?«Ci sono nuove indicazioni più dettagliate sulle combinazioni alimentari e sulle modalità di consumo di ogni categoria: quando consumare i cibi, con che frequenza, quando evitarli. Uno schema alimentare con cinque giornate tipo per ogni stagione dell’anno. Note riguardanti le patologie più comuni associate all’abuso di alcuni cibi. La dicitura “alimenti neutri” è stata modificata in “alimenti da testare” per rafforzare il concetto che gli effetti possono essere diversi a seconda delle caratteristiche individuali».Esistono differenze rilevanti tra i testi del naturopata americano Peter D’Adamo, al quale si è ispirato, e la sua dieta?«Notevoli. Anzitutto, D’Adamo consente l’utilizzo del glutine, mentre io ho visto che può creare seri problemi anche ai non celiaci. Le intolleranze sono qualcosa di subdolo, paragonabili a delle talpe che scavano nel nostro organismo: non si nota nulla fino a che il terreno non frana. Nei libri di D’Adamo, inoltre, non si parla delle combinazioni alimentari e dei danni causati da frutta e fruttosio».Ma siamo cresciuti col mito della frutta…«Adesso! Ma la natura cosa dice? Lei quanti frutti vede sugli alberi in questo periodo? La frutta cresce d’estate, col caldo. Prima dell’avvento degli impianti di refrigerazione, si seguivano i ritmi delle stagioni».Un po’ si sta tornando al concetto di stagionalità. Ne parlano molto gli chef.«Mah, gli chef… Li sento parlare tanto, ma secondo me se li porta in un orto non sanno distinguere mica granché».Lei a quale gruppo sanguigno appartiene?«Zero negativo. Il più cattivo (ride)».Nel senso che è il più muscolare?«Le persone che se la cavano meglio sono quelle del gruppo B, hanno pochi nemici, però quei pochi possono risultare tremendi. Il gruppo 0 è quello che percepisce prima di tutti un alimento che non tollera. Il gruppo Ab si ammala difficilmente, ma quando si ammala impiega tanto tempo a ristabilirsi. È fondamentale capire che macchina guidiamo, quali carburanti introdurre, che lubrificanti utilizzare. Gli animali hanno l’istinto che glielo dice, noi abbiamo perso tutto. Veneriamo la scienza e ci alimentiamo in base alle kilocalorie, non a ciò che è programmato per noi. I risultati si vedono».In questi dieci anni ha potuto constatare chi la segue maggiormente?«Direi le donne, sono quelle più inclini a prendersi cura della propria salute. Da secoli la gestiscono anche a livello famigliare. In generale, le persone cominciano a interessarsi al proprio stato di salute quando cominciano ad avere problemi. Ma non è mai troppo tardi».
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)