2023-03-25
Cresce il pressing per imporci il Mes. La Meloni: «Prima l’Unione bancaria»
All’Eurosummit, doppio «pizzino» per la ratifica della riforma: l’Italia è l’unico Paese che non ha detto sì. Il premier frena: con il nuovo statuto, rischieremmo di tamponare crisi dei partner. Dal 9 battaglia in Aula.A Giorgia Meloni va dato atto di saper ballare sulle uova. A prescindere da come finirà la partita - complicatissima - che tiene insieme Pnrr, riforma del Patto di stabilità ed eventuale ratifica del Mes, la giornata di ieri ha chiarito che l’Italia dispone di due fattori non proprio scontati: un asse tra Chigi e Mef e qualcosa che assomiglia molto a una strategia negoziale.Al centro, per ora, resta il Meccanismo europeo di stabilità, la cui ratifica è ancora pendente. Lo chiarisce, nelle ore in cui in Borsa si impone il problema Deutsche bank, il capo dell’Eurogruppo Paschal Donohoe, che ieri assieme a Christine Lagarde ha preso parte all’Eurosummit. All’ingresso, l’irlandese brizzolato ha scandito ai cronisti: «È molto importante che andiamo avanti con la piena ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità». Come noto, l’unica ratifica mancante è la nostra. Poche ore dopo - è il primo pomeriggio - Donohoe esce e non cambia di molto la musica: «È importante che andiamo avanti con l’attuazione degli accordi che sono stati predisposti da tempo, e per questo è così cruciale che andiamo avanti con la piena ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità, per garantire che il Fondo di risoluzione unica abbia il tipo di sostegno che l’Unione europea ha già concordato debba avere». È dunque lo stesso capo dell’Eurogruppo a legare la possibile crisi bancaria al Mes, la cui riforma - va ricordato - ha tra gli elementi principali proprio la possibilità di usare la linea di credito del Mes come cosiddetto backstop, cioè fondo di garanzia per i depositi bancari, cosa non prevista dall’attuale statuto del Meccanismo in vigore.Passano pochi minuti e il premier italiano risponde così, chiarendo quanto anticipato l’altro ieri dal ministro Giancarlo Giorgetti e spiegato su queste colonne da Sergio Giraldo: «Credo che la materia non vada discussa a monte ma vada discussa a valle e nel contesto nel quale opera. Il riferimento alla governance da questo punto di vista non è fatto a caso. E anche rispetto ad altri strumenti che sono anche più efficaci nell’attuale contesto. Stamattina abbiamo discusso di Unione bancaria e nel tema, per esempio, di un backstop, il Mes è una sorta di Cassazione: il primo e il secondo grado sono l’Unione bancaria, che sono le materie che sono state discusse questa mattina. Quindi è un ragionamento del quale non si può discutere se non in un quadro complessivo».Il presidente del Consiglio non ha dunque scelto la contrapposizione frontale, ma ha ribaltato la «logica di pacchetto» sbandierata dal suo predecessore a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte, che con Roberto Gualtieri ministro firmò il nuovo Mes in assenza di un vero e proprio mandato parlamentare. Se il capo del M5s credette alla favola dell’Unione bancaria e delle assicurazioni comuni sui depositi che sarebbero arrivate una volta firmato il Mes, la leader di Fdi ribalta la questione: prima vediamo l’Unione bancaria e poi ragioniamo di Mes. Un modo politicamente sensato di prendere tempo e scongiurare un rischio non così peregrino: mettere soldi nostri nel calderone di una possibile crisi di una banca straniera, nella certezza assoluta che il contrario non potrebbe mai avvenire con il Mes riformato.Come spesso si tende a dimenticare, infatti, uno dei principali punti di modifica del nuovo statuto prevede che il Mes possa essere utilizzato per le crisi bancarie; d’altro canto, i timori della ratifica sono legati al fatto che la nuova versione introduce in pratica una valutazione ex ante della sostenibilità dei debiti pubblici, rendendo di fatto più probabile l’eventualità di una ristrutturazione del debito. In pratica, possono accedere alle linee di credito «semplici» solo i Paesi in linea con le regole del Patto di stabilità. Per gli altri (tra cui l’Italia) si passa dalle forche caudine della firma di un memorandum of understanding che può commissariare qualunque politica economica.È quindi certo che, in caso di ratifica e di eventuale crisi bancaria per esempio in Germania o Francia, all’Italia potrebbe essere imposto (non avremmo potere di veto) di contribuire con oltre 100 miliardi di capitale sottoscritto e non versato per tamponare - probabilmente con risultati non decisivi - una crisi bancaria, ma di certo non una che dovesse occorrere nel nostro Paese. Non esattamente un affare. Per questo non è peregrino domandarsi a nome di chi i deputati di Italia viva e Azione abbiano fatto calendarizzare per mercoledì prossimo in commissione Esteri l’esame del disegno di legge di ratifica del Trattato sulla riforma del Mes, «visto che» - come ha detto l’onorevole Luigi Marattin, «il governo continuava a non farlo, adducendo ogni volta una cialtronata diversa». Una possibile risposta è che «la pandemia ci ha dimostrato che se la Bce si comporta da vera Banca centrale, l’Europa può far fronte alle crisi economiche e finanziarie esattamente come fa tutto il resto del mondo». Lo ha detto, su questo giornale, il 2 dicembre 2020, Giorgia Meloni con un intervento a sua firma che ora, se vuole, potrà utilmente rivendicare.