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2022-10-20
Virus 10 volte meno letale delle stime. Riempire di dosi i giovani è un errore
Indizio numero uno: il tasso di letalità del Covid, nei giovani non vaccinati, è dieci volte inferiore a quanto era stato precedentemente stimato. Indizio numero due: in un caso ogni 1.900 seconde dosi di vaccino, un maschio tra i 18 e i 24 anni si becca una miocardite; dopo il booster, le occorrenze di infiammazione cardiaca, tra 18 e 39 anni, diventano una ogni 6.800 somministrazioni. Indizio numero tre: persino l’amministratore delegato di Moderna ammette che un venticinquenne sano non ha bisogno di sottoporsi al richiamo anti Covid.
Se tre indizi fanno una prova, abbiamo in mano un solidissimo elemento per invocare una moratoria sulle punture. Anzitutto quelle agli under 40; con l’impegno, però, di ricalcolare benefici e controindicazioni delle iniezioni reiterate pure sui più anziani, almeno quelli in buona salute. Prima che arrivino tutti alla quinta dose, sdoganata in extremis dalla circolare di Roberto Speranza.
La novità principale, da allegare al dossier sulla pandemia intitolato «Ve l’avevamo detto», è un preprint siglato da John P.A. Ioannidis, studioso di prestigio internazionale, noto per le sue posizioni contro i lockdown. Insieme ad altri quattro colleghi, incluso Angelo Maria Pezzullo della Cattolica di Roma, Ioannidis ha spulciato 40 indagini di sieroprevalenza, relative a 38 Paesi e 29 stringhe di dati su infezioni da coronavirus e decessi, stratificati per categorie anagrafiche. Scoprendo che, prima dell’arrivo dei miracolosi preparati di Pfizer e compagnia, nei bambini e nei giovani, il tasso di letalità del Sars-Cov-2 era fino a dieci volte più basso di quello calcolato ufficialmente; negli adulti tra 40 e 69 anni, da tre a sei volte minore.
Com’è possibile che sia emersa una simile discrepanza? La spiegazione fornita dal paper, ancora da sottoporre a revisione paritaria, è che le analisi fin qui elaborate fossero condizionate da campioni troppo limitati, o dall’utilizzo di «moltiplicatori» pensati per correggere potenziali sottostime delle morti.
Considerazioni a parte le merita l’Italia, con i suoi valori anomali rispetto alla media degli altri Paesi: secondo Ioannidis e colleghi, «l’obbligo di isolamento in seguito a un test positivo» potrebbe aver «scoraggiato la partecipazione» alle rilevazioni di chi sospettava di aver contratto il Covid, contribuendo così a gonfiare il calcolo sulla letalità. In parole povere: meno contagi registrati, più vittime censite in proporzione. Un cruscotto inattendibile. Eppure, è proprio in virtù di bollettini e ragionamenti sui tassi di rischio relativo, con i famosi omini colorati a indicare no vax e inoculati, che sono stati legittimati l’apartheid vaccinale e il green pass. Sul passato, sarebbe opportuno aprire una bella commissione parlamentare d’inchiesta. Per il futuro, è bene che il governo adotti quel «conservatorismo sanitario» di cui parlavamo sulla Verità qualche giorno fa: anziché inseguire Speranza sulla giostra dei booster, il centrodestra rivaluti vantaggi e svantaggi delle iniezioni, a seconda delle fasce d’età, anche alla luce dei nuovi dati sulla reale pericolosità del virus. Che si è ulteriormente ridotta, giacché le cifre di Ioannidis & C. si riferiscono a un periodo in cui dominavano varianti più aggressive di Omicron e delle sue figliocce.
D’altra parte, se le mirabolanti imprese del vaccino, specie sugli under 40, meritano di essere lette sotto una luce più sobria, non bisogna dimenticarsi che, accanto ai benefici da ridimensionare, ci sono gli effetti collaterali da soppesare in modo finalmente onesto. Di recente, sulla sua pagina Twitter, la ricercatrice americana Tracy Høeg ha rimesso in fila gli studi principali sui problemi cardiaci legati ai farmaci a mRna. Un paper di aprile 2022, uscito su Pharmacoepidemiology & drug safety, registrava 95,4 casi di miopericardite ogni milione di seconde dosi, nei ragazzi tra 12 e 39 anni. Tra 18 e 24 anni, il rischio si attesta addirittura a un caso ogni 1.900 seconde dosi. Un saggio pubblicato a giugno sull’American journal of cardiology rilevava una miocardite ogni 6.800 dosi nei maschi tra 18 e 39 anni. E sul Journal of the american medical association, un’analisi condotta in Scandinavia aveva rivelato un pericolo di miocardite postvaccino 28 volte superiore a quello post Covid, nei giovani uomini tra 16 e 24 anni, dovuto al mix tra Pfizer e Moderna.
Ormai, persino le case farmaceutiche sembrerebbero disposte a mollare un po’ la presa. Ad esempio, Stéphane Bancel, ceo di Moderna, ha appena ammesso che i booster non andrebbero distribuiti urbi et orbi: «Se sei un venticinquenne, hai bisogno di un richiamo annuale se sei sano?». Domanda inutile, canterebbe Lucio Battisti. Meglio arrivarci tardi che mai. Fino alla scorsa primavera, i venticinquenni, i diciottenni, i quindicenni, i dodicenni in perfetta salute venivano ricattati, minacciati di essere privati di scuola, università, sport e divertimento, se avessero rifiutato le canoniche tre dosi. Ma dagli errori si può imparare. Ieri, l’Ema ha raccomandato di autorizzare Comirnaty e Spikevax per i bimbi da 6 mesi in su, oltre al booster contro Ba.4 e Ba.5 per gli adolescenti dai 12 anni. Adesso, il treno più pazzo del mondo si deve fermare.
Il Pd boicotta il reintegro dei medici
Alla sinistra che governa Rimini non sta a cuore la salute dei cittadini. Preferisce lasciare a casa medici e infermieri non in regola con la vaccinazione anti Covid, piuttosto che rendere fruibili i servizi di assistenza sanitaria, in grandissima difficoltà nella città romagnola.
Pronto soccorso sotto organico di metà medici, Oss che non si trovano per dipartimenti medici e urgenza, mancanza di ostetriche e infermieri segnalata da mesi, però per il Pd è giusto continuare a punire i professionisti che non porgono il braccio. Accade, così, che un Consiglio comunale sollecitato dalle minoranze e convocato due giorni fa, con tanto di ordine del giorno che annunciava dopo il dibattito la richiesta alla Regione Emilia Romagna e al governo del «reintegro immediato di tutto il personale sanitario attualmente sospeso dalla normativa covid fino al 31/12/22», sia stato boicottato dalla maggioranza di sinistra.
A quattro minuti dall’inizio dell’appello, la seduta è stata sospesa per mancanza del numero legale: metà dei consiglieri non erano in aula. Neppure si sono presentati il sindaco Jamil Sadegholvaad e gli assessori, per ascoltare sanitari ma anche avvocati che avrebbero evidenziato le criticità delle sospensioni sulla sanità cittadina.
L’ostilità, anzi l’avversione per quanti rifiutano il vaccino è risultata evidente dalle affermazioni del capogruppo Pd, Matteo Petrucci, che mezz’ora prima della «diserzione» dall’obbligo consiliare aveva annunciato: «Non faremo da cassa di risonanza ai no vax, serve più rispetto per le vittime del Covid a un passo dalla nuova campagna vaccinale».
Poco importa che siano professionisti validi, con anni di esperienza e di dedizione al lavoro, costretti da oltre un anno a restare senza stipendio. La scelta di non piegarsi al ricatto istituzionale li ha scaraventati nel mucchio dei reietti, degli inaffidabili, dei senza diritti. Intanto, ospedali e ambulatori sono in crescente affanno, anche fuori dall’Emilia Romagna, e non possono certo aspettare fine dicembre per vedere reintegrati i tanti sospesi.
Perciò continuano a rivolgersi a società private per arruolare medici a ore, come accade nel Punto di primo intervento di Montagnana e nel Pronto soccorso di Cittadella, nel Padovano, dove dallo scorso dicembre l’Uls 6 ha appaltato il servizio di fornitura medici (1,2 milioni di euro per un anno) ad alcune società tra cui la toscana Bmc healt solutions, gruppo di intermediazione.
Lo scorso aprile, sulla sua pagina social, Bmc cercava medici specificando che «l’annuncio è aperto anche ai meno esperti», retribuiti 700 euro «a turno», come precisava il direttore sanitario di Bmc, Antonio Magliocca. Sono arrivati pure quattro professionisti sudamericani che non hanno l’obbligo di essere iscritti all’Albo, grazie alla proroga del decreto legge del marzo 2020 che potenziava il servizio nell’emergenza Covid allargandolo agli extracomunitari.
«In nome di un’emergenza, che ormai è una situazione strutturata, si concedono deroghe che mettono in discussione tutto il sistema di controllo», ha protestato sul Mattino di Padova il presidente dell’Ordine patavino, Domenico Crisarà. A Udine, l’Azienda sanitaria universitaria Friuli cerca disperatamente almeno 20 medici ex Usca da collocare in nove distretti sanitari, che non hanno personale da mandare a casa dei pazienti Covid.
Pochi giorni fa, la relazione sanitaria dell’azienda Usl Toscana Centro ha evidenziato che «il problema più sentito è la carenza di medici». Però 281 professionisti restano ancora sollevati dal posto di lavoro e esclusi dagli albi professionali, come ha dichiarato l’assessore regionale alla Salute, Simone Bezzini, in risposta a un’interrogazione del consigliere regionale di FdI, Diego Petrucci. Una follia, sulla quale il nuovo governo dovrà intervenire con la massima urgenza.
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Uno studio rivela che il tasso di letalità per gli under 40 non vaccinati è inferiore al previsto, già infinitesimale. A essere alto, invece, è il rischio di miocardite. Prima che sia tardi, il nuovo governo conceda una moratoria.Carenza di personale a Rimini, ma la maggioranza dem annulla il Consiglio comunale con i sanitari sospesi. Nel Padovano arruolati a ore sudamericani non iscritti all’Albo.Lo speciale contiene due articoli.Indizio numero uno: il tasso di letalità del Covid, nei giovani non vaccinati, è dieci volte inferiore a quanto era stato precedentemente stimato. Indizio numero due: in un caso ogni 1.900 seconde dosi di vaccino, un maschio tra i 18 e i 24 anni si becca una miocardite; dopo il booster, le occorrenze di infiammazione cardiaca, tra 18 e 39 anni, diventano una ogni 6.800 somministrazioni. Indizio numero tre: persino l’amministratore delegato di Moderna ammette che un venticinquenne sano non ha bisogno di sottoporsi al richiamo anti Covid. Se tre indizi fanno una prova, abbiamo in mano un solidissimo elemento per invocare una moratoria sulle punture. Anzitutto quelle agli under 40; con l’impegno, però, di ricalcolare benefici e controindicazioni delle iniezioni reiterate pure sui più anziani, almeno quelli in buona salute. Prima che arrivino tutti alla quinta dose, sdoganata in extremis dalla circolare di Roberto Speranza.La novità principale, da allegare al dossier sulla pandemia intitolato «Ve l’avevamo detto», è un preprint siglato da John P.A. Ioannidis, studioso di prestigio internazionale, noto per le sue posizioni contro i lockdown. Insieme ad altri quattro colleghi, incluso Angelo Maria Pezzullo della Cattolica di Roma, Ioannidis ha spulciato 40 indagini di sieroprevalenza, relative a 38 Paesi e 29 stringhe di dati su infezioni da coronavirus e decessi, stratificati per categorie anagrafiche. Scoprendo che, prima dell’arrivo dei miracolosi preparati di Pfizer e compagnia, nei bambini e nei giovani, il tasso di letalità del Sars-Cov-2 era fino a dieci volte più basso di quello calcolato ufficialmente; negli adulti tra 40 e 69 anni, da tre a sei volte minore. Com’è possibile che sia emersa una simile discrepanza? La spiegazione fornita dal paper, ancora da sottoporre a revisione paritaria, è che le analisi fin qui elaborate fossero condizionate da campioni troppo limitati, o dall’utilizzo di «moltiplicatori» pensati per correggere potenziali sottostime delle morti. Considerazioni a parte le merita l’Italia, con i suoi valori anomali rispetto alla media degli altri Paesi: secondo Ioannidis e colleghi, «l’obbligo di isolamento in seguito a un test positivo» potrebbe aver «scoraggiato la partecipazione» alle rilevazioni di chi sospettava di aver contratto il Covid, contribuendo così a gonfiare il calcolo sulla letalità. In parole povere: meno contagi registrati, più vittime censite in proporzione. Un cruscotto inattendibile. Eppure, è proprio in virtù di bollettini e ragionamenti sui tassi di rischio relativo, con i famosi omini colorati a indicare no vax e inoculati, che sono stati legittimati l’apartheid vaccinale e il green pass. Sul passato, sarebbe opportuno aprire una bella commissione parlamentare d’inchiesta. Per il futuro, è bene che il governo adotti quel «conservatorismo sanitario» di cui parlavamo sulla Verità qualche giorno fa: anziché inseguire Speranza sulla giostra dei booster, il centrodestra rivaluti vantaggi e svantaggi delle iniezioni, a seconda delle fasce d’età, anche alla luce dei nuovi dati sulla reale pericolosità del virus. Che si è ulteriormente ridotta, giacché le cifre di Ioannidis & C. si riferiscono a un periodo in cui dominavano varianti più aggressive di Omicron e delle sue figliocce.D’altra parte, se le mirabolanti imprese del vaccino, specie sugli under 40, meritano di essere lette sotto una luce più sobria, non bisogna dimenticarsi che, accanto ai benefici da ridimensionare, ci sono gli effetti collaterali da soppesare in modo finalmente onesto. Di recente, sulla sua pagina Twitter, la ricercatrice americana Tracy Høeg ha rimesso in fila gli studi principali sui problemi cardiaci legati ai farmaci a mRna. Un paper di aprile 2022, uscito su Pharmacoepidemiology & drug safety, registrava 95,4 casi di miopericardite ogni milione di seconde dosi, nei ragazzi tra 12 e 39 anni. Tra 18 e 24 anni, il rischio si attesta addirittura a un caso ogni 1.900 seconde dosi. Un saggio pubblicato a giugno sull’American journal of cardiology rilevava una miocardite ogni 6.800 dosi nei maschi tra 18 e 39 anni. E sul Journal of the american medical association, un’analisi condotta in Scandinavia aveva rivelato un pericolo di miocardite postvaccino 28 volte superiore a quello post Covid, nei giovani uomini tra 16 e 24 anni, dovuto al mix tra Pfizer e Moderna. Ormai, persino le case farmaceutiche sembrerebbero disposte a mollare un po’ la presa. Ad esempio, Stéphane Bancel, ceo di Moderna, ha appena ammesso che i booster non andrebbero distribuiti urbi et orbi: «Se sei un venticinquenne, hai bisogno di un richiamo annuale se sei sano?». Domanda inutile, canterebbe Lucio Battisti. Meglio arrivarci tardi che mai. Fino alla scorsa primavera, i venticinquenni, i diciottenni, i quindicenni, i dodicenni in perfetta salute venivano ricattati, minacciati di essere privati di scuola, università, sport e divertimento, se avessero rifiutato le canoniche tre dosi. Ma dagli errori si può imparare. Ieri, l’Ema ha raccomandato di autorizzare Comirnaty e Spikevax per i bimbi da 6 mesi in su, oltre al booster contro Ba.4 e Ba.5 per gli adolescenti dai 12 anni. Adesso, il treno più pazzo del mondo si deve fermare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/covid-giovani-vaccino-miocarditi-2658478587.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-pd-boicotta-il-reintegro-dei-medici" data-post-id="2658478587" data-published-at="1666261987" data-use-pagination="False"> Il Pd boicotta il reintegro dei medici Alla sinistra che governa Rimini non sta a cuore la salute dei cittadini. Preferisce lasciare a casa medici e infermieri non in regola con la vaccinazione anti Covid, piuttosto che rendere fruibili i servizi di assistenza sanitaria, in grandissima difficoltà nella città romagnola. Pronto soccorso sotto organico di metà medici, Oss che non si trovano per dipartimenti medici e urgenza, mancanza di ostetriche e infermieri segnalata da mesi, però per il Pd è giusto continuare a punire i professionisti che non porgono il braccio. Accade, così, che un Consiglio comunale sollecitato dalle minoranze e convocato due giorni fa, con tanto di ordine del giorno che annunciava dopo il dibattito la richiesta alla Regione Emilia Romagna e al governo del «reintegro immediato di tutto il personale sanitario attualmente sospeso dalla normativa covid fino al 31/12/22», sia stato boicottato dalla maggioranza di sinistra. A quattro minuti dall’inizio dell’appello, la seduta è stata sospesa per mancanza del numero legale: metà dei consiglieri non erano in aula. Neppure si sono presentati il sindaco Jamil Sadegholvaad e gli assessori, per ascoltare sanitari ma anche avvocati che avrebbero evidenziato le criticità delle sospensioni sulla sanità cittadina. L’ostilità, anzi l’avversione per quanti rifiutano il vaccino è risultata evidente dalle affermazioni del capogruppo Pd, Matteo Petrucci, che mezz’ora prima della «diserzione» dall’obbligo consiliare aveva annunciato: «Non faremo da cassa di risonanza ai no vax, serve più rispetto per le vittime del Covid a un passo dalla nuova campagna vaccinale». Poco importa che siano professionisti validi, con anni di esperienza e di dedizione al lavoro, costretti da oltre un anno a restare senza stipendio. La scelta di non piegarsi al ricatto istituzionale li ha scaraventati nel mucchio dei reietti, degli inaffidabili, dei senza diritti. Intanto, ospedali e ambulatori sono in crescente affanno, anche fuori dall’Emilia Romagna, e non possono certo aspettare fine dicembre per vedere reintegrati i tanti sospesi. Perciò continuano a rivolgersi a società private per arruolare medici a ore, come accade nel Punto di primo intervento di Montagnana e nel Pronto soccorso di Cittadella, nel Padovano, dove dallo scorso dicembre l’Uls 6 ha appaltato il servizio di fornitura medici (1,2 milioni di euro per un anno) ad alcune società tra cui la toscana Bmc healt solutions, gruppo di intermediazione. Lo scorso aprile, sulla sua pagina social, Bmc cercava medici specificando che «l’annuncio è aperto anche ai meno esperti», retribuiti 700 euro «a turno», come precisava il direttore sanitario di Bmc, Antonio Magliocca. Sono arrivati pure quattro professionisti sudamericani che non hanno l’obbligo di essere iscritti all’Albo, grazie alla proroga del decreto legge del marzo 2020 che potenziava il servizio nell’emergenza Covid allargandolo agli extracomunitari. «In nome di un’emergenza, che ormai è una situazione strutturata, si concedono deroghe che mettono in discussione tutto il sistema di controllo», ha protestato sul Mattino di Padova il presidente dell’Ordine patavino, Domenico Crisarà. A Udine, l’Azienda sanitaria universitaria Friuli cerca disperatamente almeno 20 medici ex Usca da collocare in nove distretti sanitari, che non hanno personale da mandare a casa dei pazienti Covid. Pochi giorni fa, la relazione sanitaria dell’azienda Usl Toscana Centro ha evidenziato che «il problema più sentito è la carenza di medici». Però 281 professionisti restano ancora sollevati dal posto di lavoro e esclusi dagli albi professionali, come ha dichiarato l’assessore regionale alla Salute, Simone Bezzini, in risposta a un’interrogazione del consigliere regionale di FdI, Diego Petrucci. Una follia, sulla quale il nuovo governo dovrà intervenire con la massima urgenza.
Il meccanismo si applica guardando non a quando è stato pagato il riscatto, ma a quando si maturano i requisiti per l’uscita anticipata: nel 2031 non concorrono 6 mesi tra quelli riscattati; nel 2032 diventano 12; poi 18 nel 2033, 24 nel 2034, fino ad arrivare a 30 mesi nel 2035. La platea indicata è quella del riscatto della «laurea breve», richiamata anche come diplomi universitari della legge 341/1990. La conseguenza pratica è che il riscatto continua a «esistere» come contribuzione accreditata, ma diventa progressivamente molto meno efficace come acceleratore del requisito contributivo. Con una triennale piena (36 mesi) il taglio a regime dal 2035 (30 mesi) lascia, per l’anticipo del diritto, un vantaggio residuo di appena 6 mesi; nel 2031, invece, la sterilizzazione è limitata a 6 mesi e, quindi, restano utilizzabili 30 mesi su 36 per raggiungere prima la soglia. Il punto che rende la stretta economicamente esplosiva è che il costo del riscatto non viene rimodulato. Nel 2025, per il riscatto a costo agevolato, l’Inps indica come base il reddito minimo annuo di 18.555 euro e l’aliquota del 33%, da cui deriva un onere pari a 6.123,15 euro per ogni anno di corso riscattato (per le domande presentate nel 2025).
In altri termini: si continua a pagare secondo i parametri ordinari dell’istituto, ma una fetta crescente di quel «tempo comprato» smette di essere spendibile per andare prima in pensione con l’anticipata. La contestazione più immediata riguarda l’effetto «a scadenza»: chi ha già riscattato oggi, ma maturerà i requisiti dopo il 2030, potrebbe scoprire che una parte dei mesi riscattati non vale più come si aspettava per centrare prima l’uscita dalla vita lavorativa.
La norma, in realtà, è destinata a creare dibattito politico. «Non c’è nessunissima intenzione di alzare l’età pensionabile», ha detto il senatore della Lega. Claudio Borghi, «e meno che mai di scippare il riscatto della laurea. Le voci scritte in legge di bilancio sono semplici clausole di salvaguardia che qualche tecnico troppo zelante ha inserito per compensare un possibile futuro aumento dei pensionamenti anticipati, che la norma incentiva sfruttando la possibilità data dal sistema 64 anni più 25 di contributi inclusa la previdenza complementare. Quello che succederà in futuro verrà monitorato di anno in anno ma posso dire con assoluta certezza che non ci sarà mai alcun aumento delle finestre di uscita o alcuno scippo dei riscatti della laurea a seguito di questa norma». «In assenza di intervento immediato del governo, noi sicuramente presenteremo emendamenti», conclude il leghista. A spazzare via ogni dubbio ci ha pensato il premier, Giorgia Meloni: «Nessuno che abbia riscattato la laurea vedra’ cambiata la sua situazione, la modifica varra’ per il futuro, in questo senso l’emendamento deve essere corretto» a detto in Senato.
Dal canto suo, il segretario del Pd, Elly Schlein, alla Camera, ha subito dichiarato la sua contrarietà all’emendamento. «Ieri (due giorni fa, ndr) avete riscritto la manovra e con una sola mossa fate una stangata sulle pensioni che è un furto sia ai giovani che agli anziani. È una vergogna prendervi i soldi di chi ha già pagato per riscattare la laurea: è un’altra manovra di promesse tradite. Dovevate abolire la Fornero e invece allungate l’età pensionabile a tutti. Non ci provate, non ve lo permetteremo».
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(IStock)
Novità anche per l’attività delle forze dell’ordine. Un emendamento riformulato dal governo prevede che anche gli interventi di soccorso promossi da polizia e carabinieri, a partire dal prossimo anno, andranno «rimborsati» se risulteranno non «giustificati», ovvero se dietro sarà rinvenuta l’ombra del dolo o della colpa grave di chi è stato soccorso. La stretta era stata già prevista nel testo uscito dal Consiglio dei ministri il 17 ottobre ma era limitata a uomini e mezzi della Guardia di finanza, ora con questa proposta di modifica viene estesa agli interventi effettuati dagli altri due corpi. Dal 2026 la richiesta di aiuto che verrà rivolta a polizia di Stato e Arma dei carabinieri, impegnati nel soccorso alpino e in quello in mare, andrà giustificata e motivata. E se non ci sarà una motivazione adeguata e reale la ricerca, il soccorso e il salvataggio in montagna o in mare diventeranno tutte operazioni a pagamento. Non solo. Il contributo sarà dovuto anche da chi procura, per dolo o colpa grave, un incidente o un evento che richiede l’impiego di uomini e mezzi appartenenti alla polizia di Stato e all’Arma. L’importo sarà stabilito con decreti dal ministro dell’Interno e da quello della Difesa, di concerto con l’Economia. L’emendamento precisa, infine, che «il corrispettivo è dovuto qualora l’evento per il quale è stato effettuato l’intervento sia imputabile a dolo o colpa grave dell’agente».
Nessuna novità, invece, per maggiori fondi, che restano rinviati a quando il Paese uscirà dalla procedura d’infrazione. I sindacati di polizia continuano a martellare l’esecutivo dicendo che «per il governo la sicurezza è uno slogan adatto ai discorsi pubblici ma non è una priorità quando si tratta di mettere in campo risorse concrete». In una lettera inviata da Sap, Coisp-Mosap, Fsp Polizia, Silp-Cgil al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si attacca «l’ipotesi di un innalzamento dell’età pensionabile, inaccettabile per chi ha trascorso una vita professionale tra rischi e responsabilità enormi e si pretende di allungare ulteriormente la carriera dei poliziotti senza alcun confronto con i sindacati». Per i sindacati è anche «grave, lo stanziamento simbolico di appena 20 milioni di euro per la previdenza dedicata. Una cifra che condanna molti a pensioni indegne dopo una vita spesa al servizio dello Stato».
Intanto hanno avuto il via libera in commissione Bilancio una serie di modifiche alla manovra sui temi di interesse comune alla maggioranza e all’opposizione in materia di enti locali e calamità naturali. In totale sono 64 gli emendamenti. Tra questi, la possibilità di assumere a tempo indeterminato il personale in servizio presso gli Uffici speciali per la ricostruzione e che abbia maturato almeno tre anni di servizio. Arriva anche un contributo di 2,5 milioni per il 2026 per il disagio abitativo finalizzato alla ricostruzione per i territori colpiti dai terremoti in Marche e Umbria.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato i maggiori fondi per la sanità. «Sul fronte del personale», ha detto, ci sono degli aumenti importanti e delle assunzioni aggiuntive. Le Regioni possono assumere con il Fondo sanitario nazionale che viene ripartito tra di loro».
Soddisfatto il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani. La manovra, infatti, contiene +7,4 miliardi per il Fondo sanitario nazionale e un ulteriore +0,1% che consente di far scendere il payback a carico delle aziende farmaceutiche. «Il segnale è ampiamente positivo», ha commentato Cattani.
Intanto ieri alla Camera, nel dibattito sulle comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo, c’è stato un botta e risposta tra la segretaria del Pd, Elly Schlein, e Meloni. Tema: le tasse e la manovra. «La pressione fiscale sale perché sale il gettito fiscale certo anche grazie al fatto che oggi lavora un milione di persone in più che pagano le tasse», ha detto il premier. E a fronte del rumoreggiamento dell’Aula, ha incalzato: «Se volete facciamo un simposio ma siccome siamo in Parlamento le cose o si dicono come stanno o si studia».
Ma per Schlein «le tasse aumentano per il drenaggio fiscale». Il premier ha, poi, ribadito che la manovra «è seria» e che «l’Italia ha ampiamente pagato in termini reputazionali, e non solo, le allegre politiche degli anni passati».
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Il direttore di Limes, Lucio Caracciolo (Imagoeconomica)
«A tutto c’è un Limes». E i professoroni se ne sono andati sbattendo la porta, accompagnati dal generale con le stellette e dall’eco della marcetta militare mediatica tutta grancassa e tromboni, a sottolineare come fosse democratica e dixie la ritirata strategica da quel covo di «putiniani sfegatati». La vicenda con al centro la guerra in Ucraina merita un approfondimento perché è paradigmatica di una polarizzazione che non lascia scampo a chi semplicemente intende approfondire i fatti. Nell’era del pensiero igienista, ogni contatto con il nemico e ogni lettura (anche critica) dei testi che egli produce sono considerati contaminanti.
Già la narrazione lascia perplessi e l’uscita dei martiri da un consiglio scientifico che vede nelle sue file Enrico Letta, Romano Prodi, Andrea Riccardi, Angelo Panebianco, Federico Fubini (atlantisti di ferro più che compagni di merende dello zar) indebolisce le ragioni dei transfughi. Se poi si aggiunge che in cima al comitato dei saggi della rivista campeggia il nome di Rosario Aitala - il giudice della Corte penale internazionale che due anni fa firmò un mandato di cattura per Vladimir Putin - ecco che le motivazioni del commando in doppiopetto si scaricano in fretta come le batterie dell’auto full electric guidata da Ursula von der Leyen.
Eppure Federico Argentieri (studioso di affari europei), Franz Gustincich (giornalista e fotografo), Giorgio Arfaras (economista) e Vincenzo Camporini (ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica) hanno preso la porta e hanno salutato Lucio Caracciolo con parole stizzite per «incompatibilità con la linea politica». Avvertivano una «nube tossica» aleggiare su Limes. Evidentemente non sopportavano che ogni dieci analisi filo-occidentali ce ne fossero un paio dedicate alle ragioni russe. Un’accusa pretestuosa al mensile di geopolitica più importante d’Italia e a uno storico direttore che in 30 anni si è guadagnato prestigio e indipendenza pur rimanendo nell’alveo del grande fiume navigabile (e spesso limaccioso) della sinistra culturale.
«Io quelli che se ne sono andati non li ho mai visti. Chi ci accusa di essere filorusso non ha mai sfogliato la rivista», ha dichiarato il giornalista Mirko Mussetti a Radio Cusano Campus. Dietro le rumorose dimissioni ci sarebbero cause tutt’altro che culturali, forse di opportunità. Arfaras è marito della giornalista russa naturalizzata italiana Anna Zafesova, studiosa del putinismo, firma della Stampa e voce di Radio Radicale. Il generale Camporini ha solidi interessi politici: già candidato di + Europa, è passato con Carlo Calenda e ha tentato invano la scalata all’Europarlamento. Oggi è responsabile della difesa dell’eurolirica Azione. La tempistica della fibrillazione è sospetta e chiama in causa anche le strategie editoriali. Limes fa parte del gruppo Gedi messo in vendita (in blocco o come spezzatino) da John Elkann; la rivista è solida, quindi obiettivo di qualcuno che potrebbe avere interesse a destabilizzarne la catena di comando.
Ieri Caracciolo ha replicato ai transfughi sottolineando che «la notizia è largamente sopravvalutata». Lo è anche in chiave numerica, visto che i consiglieri (fra scientifici e redazionali) sono un esercito: 106, ben più dei giornalisti che lavorano. Parlando con Il Fatto Quotidiano, il direttore ha aggiunto: «Noi siamo una rivista di geopolitica. Occorre analizzare i conflitti e ascoltare tutte le voci, anche le più lontane. Non possiamo metterci da una parte contro l’altra ma essere aperti a punti di vista diversi. Pubblicare non significa condividere il punto di vista dell’uno o dell’altro».
Argentieri lo ha messo sulla graticola con un paio di motivazioni surreali: avrebbe sbagliato a prevedere l’invasione russa nel febbraio 2022 («Non la faranno mai») e continua a colorare la Crimea come territorio russo sulle mappe, firmate dalla formidabile Laura Canali. Caracciolo non si scompone: «Avevo detto che se Putin avesse invaso l’Ucraina avrebbe fatto una follia. Pensavo che non l’avrebbe fatta, ho sbagliato, mi succede. Non capisco perché a distanza di tempo questo debba provocare le dimissioni». Capitolo cartina: «Chiunque sbarchi a Sebastopoli si accorge che si trova in Russia e non in Ucraina; per dichiarazione dello stesso Zelensky gli ucraini non sono in grado di recuperare quei territori».
Gli analisti lavorano sullo stato di fatto, non sui desiderata dei «Volenterosi» guidati da Bruxelles, ai quali i media italiani hanno srotolato i tradizionali tappetini. E ancora convinti come Napoleone e Hitler che la Russia vada sconfitta sul campo. Se Limes non ha creduto che Putin si curava con il sangue di bue; che uno degli eserciti più potenti del mondo combatteva con le pale; che Mosca era ridotta a usare i microchip delle lavatrici per far volare i missili, il problema non è suo ma di chi si è appiattito sulla retorica dopo aver studiato la Storia sui «Classici Audacia» a fumetti. Nel febbraio del 2024 Limes titolava: «Stiamo perdendo la guerra». Aveva ragione, notizia ruvidamente fattuale. La disinformazione da nube tossica aleggia altrove.
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