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2021-12-31
Con il Covid e il Colle il Pd vuole spaccare l’asse di centrodestra
Enrico Letta (Ansa)
Enrico Letta ha chiesto alla Befana la calza, una in particolare, quella di Ursula. O meglio: non proprio quella di Ursula, intesa naturalmente come von der Leyen, la presidente della Commissione europea, ma la maggioranza che da lei prende il nome, quella dei partiti italiani che l’hanno votata: tutti tranne Lega e Fratelli d’Italia. Il sogno degli ex giallorossi, ormai sbiaditi da sondaggi e figuracce (in particolare sul versante del M5s targato Giuseppi) lo sappiamo bene, è sempre stato quello di governare l’Italia con una comoda maggioranza composta da sinistra, grillini, cespuglietti centristi e Forza Italia, sbattendo Matteo Salvini all’opposizione, a contendersi i voti di destra con Giorgia Meloni. L’intervista di ieri di Letta a Repubblica è assai indicativa: «Approvo totalmente», dice il segretario del Pd, «le misure discusse in cabina di regia e penso che ora bisogna prepararsi al passo successivo, cioè l’obbligo vaccinale e il ritorno allo smart working. La mia sensazione è che ci sia un surplace tra i Paesi, il primo che introduce l’obbligo produrrà un effetto domino in tutti gli altri».
L’obbligo vaccinale è un tema che definire divisivo è un eufemismo: sbatterlo sul tavolo di una maggioranza così variegata e sfilacciata come quella che sostiene il governo guidato da Mario Draghi significa esasperare ancora di più gli animi con gli «alleati», a pochi giorni dal via alla procedura per l’elezione del presidente della Repubblica. E proprio a proposito della scelta del nuovo capo dello Stato, Letta, che sembrava attestato sul fronte di chi preferisce una permanenza a Palazzo Chigi di Draghi, apre all’ipotesi di un’ascesa al Colle più alto di nonno Mario: «Io nelle sue parole», dice Letta, «non ho letto un’autocandidatura. Su un’eventuale ipotesi Draghi al Colle, come sugli altri nomi che garantiscono ampio consenso, decideremo tutti insieme e al momento debito, la mia personale opinione non conta. Quel che so per certo è che Draghi va comunque protetto e tutelato per il bene del Paese. Il 13 gennaio dirò alla direzione del Pd e ai gruppi parlamentari che la via maestra è la continuità di governo e la stabilità. Il 2022 non può essere un anno elettorale», aggiunge il segretario del Pd, «non possiamo permetterci almeno cinque mesi di interruzione dell’attività di governo. Quindi c’è bisogno di una larghissima maggioranza, un capo dello Stato non divisivo e non eletto sul filo dei voti. Il governo è sostenuto dal 90% delle forze parlamentari, sarebbe totalmente contraddittorio restringere il campo. Ci può essere una maggioranza più larga, non più stretta, altrimenti il governo cadrebbe». Ma se toccasse a Draghi, chi potrebbe sostituirlo? «Servirebbe una sorta di doppia elezione», risponde Letta, «un accordo contestuale anche sul nome del sostituto». Sembra di vederlo, Enrico Letta, mentre immagina un bel governo guidato da Marta Cartabia o Daniele Franco, con Salvini che sbatte la porta (il segretario della Lega più volte ha ribadito che senza Draghi a Chigi del doman non v’è certezza) e Forza Italia che resta in maggioranza. Ma Letta ha fatto i conti senza l’oste, ovvero senza bisnonno Silvio, che invece potrebbe giocare in contropiede e essere proprio lui a mollare i giallorossi nel caso di un’elezione di Draghi al Quirinale. Un autorevolissimo esponente di Forza Italia affida alla Verità una indiscrezione significativa: «Berlusconi», spiega la fonte, «nei suoi colloqui privati ha già detto molto chiaramente che se Draghi va al Colle, non è che a noi può andar bene chiunque come premier. Lo ha fatto capire molto chiaramente ai suoi interlocutori: non accetteremo un nuovo presidente del Consiglio a scatola chiusa o perché benedetto da Draghi». E la maggioranza Ursula? «Questo», aggiunge il parlamentare di lungo corso, «è da sempre l’obiettivo di Letta, che è rimasto malissimo quando Salvini è entrato nel governo. In questo momento il centrodestra è infrangibile, poi vedremo cosa accadrà sul presidente della Repubblica. Se la settimana prima del voto Berlusconi annuncerà di essere in campo, la Lega e Fratelli d’Italia dovranno mantenere l’impegno di sostenerlo. Altrimenti, inizierà un’altra partita. Ma a Meloni e Salvini non conviene mollare Silvio, senza un partito moderato e europeista al governo non ci andranno mai».
Perché il sogno di Letta si realizzi, tra l’altro, non basta spaccare il centrodestra: bisogna anche fare a brandelli la Lega. Come noto, infatti, un accordo su Draghi al Colle con l’indicazione di un nuovo premier potrebbe effettivamente ingolosire Salvini, che avrebbe la possibilità di farsi un anno all’opposizione recuperando consensi e non dovendo più ingoiare provvedimenti che non piacciono né a lui né al suo elettorato. Il problema però è che nel Carroccio c’è anche un’anima governista, notoriamente capitanata dal ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, alla quale appartengono anche diversi presidenti di Regione. Il sogno della maggioranza Ursula, per Enrico Letta, sembra destinato a rimanere tale.
La variante del voto elettronico scombina i giochi per la presidenza
«Ex malo bonum: alla fine dal caos può arrivare la rielezione di Sergio Mattarella»: Stefano Ceccanti, deputato del Pd e insigne costituzionalista, affida alla Verità la sua riflessione sul probabile «no» del presidente della Camera, Roberto Fico, ai suoi ripetuti appelli e sollecitazioni per trovare il modo di scongiurare una prospettiva politicamente apocalittica, ovvero che l’elezione del prossimo presidente della Repubblica sia falsata dal Covid. Da giorni Ceccanti fa presente che, con il contagio che dilaga, i grandi elettori, sulla carta 1.009, possano in realtà, al momento della convocazione del Parlamento in seduta comune, essere molti di meno. Contagi e quarantene incombono e rischiano di falcidiare la truppa di deputati, senatori e delegati regionali chiamati a eleggere il nuovo capo dello Stato. «Immaginiamo», aggiunge Ceccanti, «che alla prima chiama risultino presenti solo 900 grandi elettori, con più di 100 assenti perché positivi o in quarantena. Che figura ci faremmo?». L’ipotesi è realistica: del resto, l’elezione è prevista intorno alla fine di gennaio, quando è dato ormai per scontato il picco assoluto di contagi in Italia. «Quattrocento deputati su 630», scrive Ceccanti su Twitter, «presenti per il voto sulla legge di bilancio anche a causa della variante Omicron. Qualcuno che può decidere sta pensando a come eleggere il presidente in modo regolare e razionale?».
«Sono uno degli assenti», risponde il deputato Stefano Fassina, «a causa quarantena. Va raccolta la proposta di Ceccanti per votare da dentro i palazzi di Camera e Senato ma su dispositivo per evitare assembramento di 1.009 grandi elettori». In effetti, oltre al rischio di avere molti grandi elettori assenti, c’è anche il pericolo di trasformare l’Aula di Montecitorio in un enorme focolaio. Come evitare questa prospettiva? «Perché, vista l’evoluzione dell’emergenza virus», ha proposto Ceccanti, «invece di ammassare più di 1.000 persone nell’Aula di Montecitorio che in questo caso è solo seggio elettorale, e quindi senza problemi di dibattiti, non si possa far votare noi deputati con un pc, spalmati dentro varie sedi della Camera (per carità, tutti nel Palazzo), i senatori suddivisi in analoghe sedi dentro Palazzo Madama e i delegati regionali dal rispettivo Consiglio. Andrebbe deciso, ma lo so che non si farà».
Infatti non si farà: toccherebbe al presidente della Camera, Roberto Fico, prendere questa decisione, ma da varie e coincidenti indiscrezioni raccolte, la terza carica dello Stato non ha nessuna intenzione di far votare da remoto per l’elezione del presidente della Repubblica. Niente da fare, dunque: saranno felici i puristi, i fanatici dei capannelli nei corridoi, quelli nei quali si tenta in tutti i modi di convincere «l’amico» dell’altro partito a votare per questo o quel candidato. Il voto da remoto, inoltre, toglierebbe a chi di dovere la possibilità di contare i voti espressi da ciascun gruppo parlamentare, attraverso la consuetudine della scheda identificabile: per fare un esempio, se si dovesse scegliere Mario Draghi, un partito potrebbe scrivere sulla scheda «Mario Draghi», un altro «Draghi», un altro «professore Mario Draghi», e così via. Le schede vengono lette per intero, e dunque è possibile controllare come hanno votato i vari partiti.
I contrari all’idea del voto elettronico argomentano la loro posizione con il rischio di violazioni di privacy, hackeraggi e via dicendo. Ma la chiave politica suggerita da Ceccanti è più di una suggestione: del resto, non sono pochi i parlamentari e i big dei partiti che farebbero di tutto per convincere Mattarella ad accettare un bis a tempo, per arrivare al 2023 e far eleggere il nuovo presidente della Repubblica dal nuovo Parlamento, che verrà eletto con il taglio dei deputati e senatori approvato dagli italiani con i referendum del settembre 2020.
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Enrico Letta scommette su Mario Draghi al Quirinale, un nuovo premier e l’obbligo vaccinale per sbattere fuori la Lega dal governo.La variante del voto elettronico scombina i giochi per la presidenza. Appello di Stefano Ceccanti (Pd) a Roberto Fico: «Rischiamo troppi assenti in Aula». Ma i dubbi restano.Lo speciale contiene due articoli.Enrico Letta ha chiesto alla Befana la calza, una in particolare, quella di Ursula. O meglio: non proprio quella di Ursula, intesa naturalmente come von der Leyen, la presidente della Commissione europea, ma la maggioranza che da lei prende il nome, quella dei partiti italiani che l’hanno votata: tutti tranne Lega e Fratelli d’Italia. Il sogno degli ex giallorossi, ormai sbiaditi da sondaggi e figuracce (in particolare sul versante del M5s targato Giuseppi) lo sappiamo bene, è sempre stato quello di governare l’Italia con una comoda maggioranza composta da sinistra, grillini, cespuglietti centristi e Forza Italia, sbattendo Matteo Salvini all’opposizione, a contendersi i voti di destra con Giorgia Meloni. L’intervista di ieri di Letta a Repubblica è assai indicativa: «Approvo totalmente», dice il segretario del Pd, «le misure discusse in cabina di regia e penso che ora bisogna prepararsi al passo successivo, cioè l’obbligo vaccinale e il ritorno allo smart working. La mia sensazione è che ci sia un surplace tra i Paesi, il primo che introduce l’obbligo produrrà un effetto domino in tutti gli altri». L’obbligo vaccinale è un tema che definire divisivo è un eufemismo: sbatterlo sul tavolo di una maggioranza così variegata e sfilacciata come quella che sostiene il governo guidato da Mario Draghi significa esasperare ancora di più gli animi con gli «alleati», a pochi giorni dal via alla procedura per l’elezione del presidente della Repubblica. E proprio a proposito della scelta del nuovo capo dello Stato, Letta, che sembrava attestato sul fronte di chi preferisce una permanenza a Palazzo Chigi di Draghi, apre all’ipotesi di un’ascesa al Colle più alto di nonno Mario: «Io nelle sue parole», dice Letta, «non ho letto un’autocandidatura. Su un’eventuale ipotesi Draghi al Colle, come sugli altri nomi che garantiscono ampio consenso, decideremo tutti insieme e al momento debito, la mia personale opinione non conta. Quel che so per certo è che Draghi va comunque protetto e tutelato per il bene del Paese. Il 13 gennaio dirò alla direzione del Pd e ai gruppi parlamentari che la via maestra è la continuità di governo e la stabilità. Il 2022 non può essere un anno elettorale», aggiunge il segretario del Pd, «non possiamo permetterci almeno cinque mesi di interruzione dell’attività di governo. Quindi c’è bisogno di una larghissima maggioranza, un capo dello Stato non divisivo e non eletto sul filo dei voti. Il governo è sostenuto dal 90% delle forze parlamentari, sarebbe totalmente contraddittorio restringere il campo. Ci può essere una maggioranza più larga, non più stretta, altrimenti il governo cadrebbe». Ma se toccasse a Draghi, chi potrebbe sostituirlo? «Servirebbe una sorta di doppia elezione», risponde Letta, «un accordo contestuale anche sul nome del sostituto». Sembra di vederlo, Enrico Letta, mentre immagina un bel governo guidato da Marta Cartabia o Daniele Franco, con Salvini che sbatte la porta (il segretario della Lega più volte ha ribadito che senza Draghi a Chigi del doman non v’è certezza) e Forza Italia che resta in maggioranza. Ma Letta ha fatto i conti senza l’oste, ovvero senza bisnonno Silvio, che invece potrebbe giocare in contropiede e essere proprio lui a mollare i giallorossi nel caso di un’elezione di Draghi al Quirinale. Un autorevolissimo esponente di Forza Italia affida alla Verità una indiscrezione significativa: «Berlusconi», spiega la fonte, «nei suoi colloqui privati ha già detto molto chiaramente che se Draghi va al Colle, non è che a noi può andar bene chiunque come premier. Lo ha fatto capire molto chiaramente ai suoi interlocutori: non accetteremo un nuovo presidente del Consiglio a scatola chiusa o perché benedetto da Draghi». E la maggioranza Ursula? «Questo», aggiunge il parlamentare di lungo corso, «è da sempre l’obiettivo di Letta, che è rimasto malissimo quando Salvini è entrato nel governo. In questo momento il centrodestra è infrangibile, poi vedremo cosa accadrà sul presidente della Repubblica. Se la settimana prima del voto Berlusconi annuncerà di essere in campo, la Lega e Fratelli d’Italia dovranno mantenere l’impegno di sostenerlo. Altrimenti, inizierà un’altra partita. Ma a Meloni e Salvini non conviene mollare Silvio, senza un partito moderato e europeista al governo non ci andranno mai». Perché il sogno di Letta si realizzi, tra l’altro, non basta spaccare il centrodestra: bisogna anche fare a brandelli la Lega. Come noto, infatti, un accordo su Draghi al Colle con l’indicazione di un nuovo premier potrebbe effettivamente ingolosire Salvini, che avrebbe la possibilità di farsi un anno all’opposizione recuperando consensi e non dovendo più ingoiare provvedimenti che non piacciono né a lui né al suo elettorato. Il problema però è che nel Carroccio c’è anche un’anima governista, notoriamente capitanata dal ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, alla quale appartengono anche diversi presidenti di Regione. Il sogno della maggioranza Ursula, per Enrico Letta, sembra destinato a rimanere tale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/covid-colle-pd-spaccare-centrodestra-2656198716.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-variante-del-voto-elettronico-scombina-i-giochi-per-la-presidenza" data-post-id="2656198716" data-published-at="1640892672" data-use-pagination="False"> La variante del voto elettronico scombina i giochi per la presidenza «Ex malo bonum: alla fine dal caos può arrivare la rielezione di Sergio Mattarella»: Stefano Ceccanti, deputato del Pd e insigne costituzionalista, affida alla Verità la sua riflessione sul probabile «no» del presidente della Camera, Roberto Fico, ai suoi ripetuti appelli e sollecitazioni per trovare il modo di scongiurare una prospettiva politicamente apocalittica, ovvero che l’elezione del prossimo presidente della Repubblica sia falsata dal Covid. Da giorni Ceccanti fa presente che, con il contagio che dilaga, i grandi elettori, sulla carta 1.009, possano in realtà, al momento della convocazione del Parlamento in seduta comune, essere molti di meno. Contagi e quarantene incombono e rischiano di falcidiare la truppa di deputati, senatori e delegati regionali chiamati a eleggere il nuovo capo dello Stato. «Immaginiamo», aggiunge Ceccanti, «che alla prima chiama risultino presenti solo 900 grandi elettori, con più di 100 assenti perché positivi o in quarantena. Che figura ci faremmo?». L’ipotesi è realistica: del resto, l’elezione è prevista intorno alla fine di gennaio, quando è dato ormai per scontato il picco assoluto di contagi in Italia. «Quattrocento deputati su 630», scrive Ceccanti su Twitter, «presenti per il voto sulla legge di bilancio anche a causa della variante Omicron. Qualcuno che può decidere sta pensando a come eleggere il presidente in modo regolare e razionale?». «Sono uno degli assenti», risponde il deputato Stefano Fassina, «a causa quarantena. Va raccolta la proposta di Ceccanti per votare da dentro i palazzi di Camera e Senato ma su dispositivo per evitare assembramento di 1.009 grandi elettori». In effetti, oltre al rischio di avere molti grandi elettori assenti, c’è anche il pericolo di trasformare l’Aula di Montecitorio in un enorme focolaio. Come evitare questa prospettiva? «Perché, vista l’evoluzione dell’emergenza virus», ha proposto Ceccanti, «invece di ammassare più di 1.000 persone nell’Aula di Montecitorio che in questo caso è solo seggio elettorale, e quindi senza problemi di dibattiti, non si possa far votare noi deputati con un pc, spalmati dentro varie sedi della Camera (per carità, tutti nel Palazzo), i senatori suddivisi in analoghe sedi dentro Palazzo Madama e i delegati regionali dal rispettivo Consiglio. Andrebbe deciso, ma lo so che non si farà». Infatti non si farà: toccherebbe al presidente della Camera, Roberto Fico, prendere questa decisione, ma da varie e coincidenti indiscrezioni raccolte, la terza carica dello Stato non ha nessuna intenzione di far votare da remoto per l’elezione del presidente della Repubblica. Niente da fare, dunque: saranno felici i puristi, i fanatici dei capannelli nei corridoi, quelli nei quali si tenta in tutti i modi di convincere «l’amico» dell’altro partito a votare per questo o quel candidato. Il voto da remoto, inoltre, toglierebbe a chi di dovere la possibilità di contare i voti espressi da ciascun gruppo parlamentare, attraverso la consuetudine della scheda identificabile: per fare un esempio, se si dovesse scegliere Mario Draghi, un partito potrebbe scrivere sulla scheda «Mario Draghi», un altro «Draghi», un altro «professore Mario Draghi», e così via. Le schede vengono lette per intero, e dunque è possibile controllare come hanno votato i vari partiti. I contrari all’idea del voto elettronico argomentano la loro posizione con il rischio di violazioni di privacy, hackeraggi e via dicendo. Ma la chiave politica suggerita da Ceccanti è più di una suggestione: del resto, non sono pochi i parlamentari e i big dei partiti che farebbero di tutto per convincere Mattarella ad accettare un bis a tempo, per arrivare al 2023 e far eleggere il nuovo presidente della Repubblica dal nuovo Parlamento, che verrà eletto con il taglio dei deputati e senatori approvato dagli italiani con i referendum del settembre 2020.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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