2018-10-12
Cottarelli pagato per sparare sul governo
Mister Forbici Carlo Cottarelli taglia solo nelle tasche altrui. Ogni comparsata tv del professore per mezz'oretta da Fabio Fazio costa 6.500 euro. Chi paga quei soldi, tramite il canone Rai, sono gli italiani. Che così possono sentirsi dire in diretta che devono fare sacrifici.Più che Cottarelli, Costarelli. Ogni domenica appare dagli schermi tv con Fabio Fazio per spiegarci, manco fosse la Madonna del sacrificio, che dobbiamo spendere meno. E per dare il buon esempio, si fa dare da mamma Rai 6.500 euro per ogni sua apparizione. Gli italiani tirino la cinghia, insomma, che lui tira le somme. E sono somme piuttosto abbondanti. Per dire: nell'ultima sua omelia domenicale, quella di qualche giorno fa, è stato in onda dalle 20.43 alle 21.11, cioè esattamente 28 minuti. Cioè significa che la sua tariffa è pari a 4 euro al secondo, 232 euro al minuto, in pratica circa 14.000 euro l'ora. Non male per un signore che ha fatto della spending review la sua missione di vita. Lo chiamavano Mister Forbici. Ma, come minimo, sono forbici d'oro. Le quali, per altro, evidentemente tagliano solo nelle tasche altrui.È stata la stessa Rai a comunicare l'augusta cifra, rispondendo a una interrogazione del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. Il meccanismo, per la verità, è piuttosto contorto: la Rai ha firmato infatti un accordo complessivo per la fornitura del programma con Officina, la società controllata per metà dal medesimo Fabio Fazio. È quest'ultima materialmente a versare il cachet, il quale per altro non va direttamente nelle tasche di Cottarelli alias Costarelli, ma all'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica di Milano, di cui il medesimo è direttore. La sostanza cambia poco: ogni comparsata del professore costa 6.500 euro e chi paga quei soldi, tramite il canone Rai, sono gli italiani. I quali, immaginiamo, esulteranno all'idea di offrire cotanto denaro a un signore per fare in modo che quest'ultimo spieghi loro in diretta tv che devono fare sacrifici.Uno dei cavalli di battaglia di Cottarelli, per esempio, è la legge Fornero. A ogni occasione, appena può, lui pontifica che non bisogna toccarla. Che è giusto che gli italiani lavorino sempre di più. Fino a 67 anni. Anche oltre. Sono in fabbrica? Chi se ne importa. Non ce la fanno più? Fattacci loro. I conti pubblici non permettono nessun intervento, il governo è pazzo se pensa di accogliere, anche solo in parte, le richieste dei lavoratori esasperati. Questo dice Mister Forbici d'oro. E sono parole che dovremmo tenere ben presenti, non solo perché, come detto, ci costano piuttosto care, all'incirca 6.500 euro ogni mezz'ora. Ma anche perché chi le pronuncia sa bene di che cosa parla, essendo andato in pensione a 59 anni con un assegno da oltre 18.000 euro al mese.Voi capite: uno che prende, da quando aveva 59 anni, oltre 18.000 euro al mese (220.000 euro l'anno, per l'esattezza) come pensionato del Fondo monetario internazionale e poi fa sborsare alla Rai 6.500 euro per ogni mezz'ora che passa davanti alle Tv, non ha tutti i diritti di insegnarci come si fanno i risparmi? Come bisogna fare sacrifici? Non fa forse bene a indignarsi di fronte a semplici operai che pretendono (pensate l'assurdità) di andare in pensione a 62 anni, dopo aver versato 38 anni di contributi? Ma chi si credono di essere costoro? Dei funzionari del Fondo Monetario? Dei Mister Forbici d'oro? Dei commissari alla spending review? Degli amici di Fabio Fazio? Lavorino fino a 67 anni in fonderia e non rompano le balle a chi sta spiegando, con la cipria sul naso, che bisogna soffrire.«Avevo nostalgia di Washington», disse Cottarelli, alias Costarelli, nell'ottobre 2014. In quel momento lasciava l'incarico di commissario alla spending review a Palazzo Chigi per rientrare al Fondo monetario internazionale. In Italia l'aveva chiamato Enrico Letta, negli Stati Uniti lo aveva rispedito Matteo Renzi, il quale fra un Airbus e l'altro non amava tanto quelli che facevano le pulci alle sue spese. In quell'occasione, il professore pronunciò anche frasi pesantissime sui burocrati dei palazzi delle istituzioni: «Non mi davano nemmeno i documenti», accusò. Ma siccome non era Rocco Casalino, allora nessuno si scandalizzò. Per altro la nostalgia di Washington non gli è nemmeno durata tanto: nel 2017 infatti ce lo siamo ritrovati in Italia. E il motivo è anche facilmente comprensibile: negli Stati Uniti, a quanto risulta, non hanno né Fabio Fazio né mamma Rai. 6.500 euro per mezz'ora se li può anche scordare, laggiù.Così nel 2017 Cottarelli è diventato direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici all'Università Cattolica di Milano. Di qui, nel maggio 2018 ha provato il gran balzo verso Palazzo Chigi. Nonostante la mise perfettamente chic, zainetto in spalla e trolley al seguito, il tentativo si è schiantato contro uno spiacevole incidente di percorso: per sua sfortuna, infatti, per governare l'Italia a tutt'oggi bisogna ancora avere i voti in Parlamento. Pensate che disdetta: non bastano quello dei palazzi importanti, dal Fondo monetario al Quirinale. Per ovviare a questa evidente distorsione, va detto, negli ultimi tempi si stanno prodigando in tanti: istituzioni europee, burocrati, tecnocrati, corazzieri del Quirinale, financo agenzie di rating e mercati. Per cui, tranquilli: non appena riusciranno a imporre finalmente il loro volere, come ai bei tempi di Monti, eliminando ogni fastidio democratico, Cottarelli potrebbe tornare pesantemente in gioco per guidare il Paese. Non ne vediamo l'ora.Per il momento, però, deve accontentarsi di farsi guidare da Fabio Fazio nella chiacchierata domenicale su Raiuno. Un siparietto educativo e un po' soporifero, in cui ogni settimana ci spiega che il governo sta sbagliando tutto, che la flat tax non si può fare, che il reddito di cittadinanza è peggio che la peste bubbonica, che la riforma della legge Fornero è da rifuggire come il colera e che è venuto il momento di tagliare davvero tutto quello che si può tagliare. A parte la sua pensione da 18.000 euro, ovviamente, e il compenso da 6.500 euro per la mezz'ora di Tv a cura di mamma Rai. Ha scritto Giancarlo Perna che l'uomo ha «una faccia rettangolare da cercatore d'oro californiano». Ed è proprio vero. Soltanto che il cercatore californiano, a quanto pare, il filone d'oro l'ha trovato. Nelle nostre tasche, purtroppo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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