2024-09-25
Riccardo Cotarella: «Il cambiamento climatico diventa una risorsa per fare vini migliori»
Riccardo Cotarella (Getty Images)
Il presidente mondiale degli enologi: «L’Italia è all’avanguardia per applicare la scienza alla vigna. In questo modo ho portato le viti nel Nord del Giappone. Contro il sole riscopriamo antichi rimedi come le pergole».È l’attuale presidente mondiale degli enologi, l’uomo che in Italia ha dato la dignità della scienza al fare vino esaltando l’emozione della passione, lo spessore della cultura, la contemporaneità della comunicazione: Riccardo Cotarella, da Orvieto, fulcro della «Famiglia Cotarella» una sorta di «dinastia» della vigna, che fa il vino ai Vip, ma rende Vip i suoi vini. Da Cotarella si va a consulto. Vendemmia difficile?«È una bella incognita; l’Italia è spezzata in tre: piovosa e umida a Nord, al Centro più stabile, al Sud bruciata, ma più che dalle temperature, che la vite regge bene, dai raggi ultravioletti. È complicata perché da valle a valle cambiano le condizioni. Mediamente sarà una buona annata, ottima in alcune parti, certamente migliore almeno in quantità del disastro del 2023».Solito allarme sul cambiamento climatico?«Per una volta vogliamo vedere le cose in positivo? Tutti i grandi vini italiani sono nati dopo il cambiamento climatico: il Nebbiolo, il Montepulciano, il Sangiovese per non parlare del Negramaro sono vitigni tardivi e in passato si faceva fatica a portarli a piena maturazione. Certo oggi ci vuole un impegno scientifico maniacale in vigna e in cantina. Dobbiamo tornare a proteggere le uve dal sole e non è detto che antichi sistemi come la pergola non siano di nuovo efficaci».Lei parla sempre di ricerca, ma il vino non è anche poesia?«Quando lo apprezzi e quando decidi di farlo sì che è poesia. Il vino è frutto della sua terra intesa non solo come territorio, ma come gente che lo abita, come cultura, come abitudini di coltivazione. Ma serve l’approccio scientifico. Oggi sappiamo un’infinità di cose in più. Dunque il vino è insieme frutto della terra e del pensiero. Racconto un episodio della mia infanzia. Mio padre a Orvieto coltivava uva, una gran bella uva. Quando andava a venderla gli dicevano: ah se fosse in Toscana. Lui si arrabbiava e anche io ci sono rimasto spesso male, ma poi ho capito. Ci vogliono i grandi uomini per costruire il valore dei territori e di conseguenza del vino, ci vuole anche la Storia. I vini italiani sono diversissimi perché abbiamo una enorme biodiversità in vigna, ma nei territori sono le persone, le culture che contano. Ma la qualità si fa con la ricerca». E quella italiana a che livello è?«Altissimo. È ricerca applicata. Non c’è cantina al mondo che non abbia almeno una macchina italiana. La tecnologia è la via che rende sostenibile il vino. E poi c’è la ricerca sulle sostanze. C’è un’azienda come Naturalia ingredients che è la sola al mondo capace di fare e offrire mosto concentrato rettificato in cristalli. Molti Paesi per aumentare il grado aggiungono saccarosio, zucchero che da noi è vietato. Si può solo usare mosto concentrato rettificato che è fruttosio da uva. Però si trova con l’acqua di vegetazione, il che altera il vino. Il prodotto di Naturalia in cristalli è purissimo, il vantaggio di usarlo enorme. È la prova della superiorità della nostra ricerca».La viticoltura di precisione è una nuova frontiera? «Certamente sì: viticoltura di precisione, il lavoro con i droni, la microirrigazione, la ricerca sulle piante. Le nostre università sono all’avanguardia in questo lavoro. Prima si parlava di cambiamento climatico: la ricerca serve per imparare a gestirlo. E un grande vantaggio dell’Italia è che le aziende fanno ricerca in sinergia con le università».Chi sponsorizza i vini naturali dice che il vino va fatto solo in vigna…«Penso che sia l’ora di smetterla con il prendere in giro i consumatori. I vini naturali non esistono. Sono un inganno: se sono potabili non sono naturali, se sono naturali sono imbevibili e poi la definizione naturali è illegale. Faccio osservare che anche chi fa vini naturali usa il solfato di rame che non è naturale, usa sostanze per impedire le ossidazioni e spesso le quantità consentite in biologico sono superiori a quelle che si usano in vinificazione convenzionale. Uno dei grandi profeti del naturale come Josko Gravner tempo fa ha detto: mi devo ricredere, ci sono dei batteri nel vino che non conoscevo e se non li contrasto porto a casa solo aceto». Non è certo una moda quella dei vini dealcolati: c’è una forte pressione per produrli…«La verità è che nel mondo si produce troppo vino. È chiaro che chi ha eccedenze vuole percorrere la strada dei dealcolati. Nessuna obiezione purché non li chiamino vino. Noi dobbiamo puntare a fare vini ancora migliori, a farne crescere il valore e a limitare la produzione».La guerra all’alcol però anche dall’Ue è totale. Si raffreddano i consumi anche perché si dice che le nuove generazioni rifiutano l’alcol. È così?«Anche questo è un inganno. Come Assoenologi da anni abbiamo lanciato campagne sul bere responsabile, abbiamo fatto centinaia di convegni confortati dai pareri dei migliori scienziati del mondo che sostengono che un consumo moderato di vino è salutare. E poi alcol e vino sono due strade divergenti. Da una parte c’è un consumo incontrollato, dall’altra c’è uno stile di vita. Ma se la pigliano col vino perché fa più audience, come la professoressa Antonella Viola che usa l’attacco al vino per vendere i libri. Vorrei che venisse in cantina. Credo che cambierebbe opinione».Ma i giovani non stanno voltando le spalle al vino?«Anzi, è vero il contrario. I giovani sono affascinati dal vino. Abbiamo dovuto mettere il numero chiuso ai corsi di laurea in enologia da tante sono le richieste. E poi basta vedere i corsi dei sommelier, le degustazioni, le conferenze. No, il vino non ha perso fascino».Cotarella lei fa vino in tutto il mondo, il nostro primato dove risiede?«Nei nostri territori. Bordeaux è piatto, non ha le colline umbre, toscane, piemontesi, non ha le vigne sul mare. È vero che il cambiamento climatico consente a paesi che non facevano vino di produrlo. Per esempio io faccio vino nel Nord del Giappone: d’inverno si piegano le viti sotto la neve, poi a primavera si ritirano su. E si fa un buon vino, ma è vino giapponese che però educa al consumo. Poi scoprono i nostri vini che hanno mille anni di storia e lì hai acquisito nuovi consumatori esperti e consapevoli».Famiglia Cotarella: perché?«Perché siamo nati col vino, mio padre lo faceva, io e mio fratello Renzo abbiamo imparato a farlo, le nostre figlie e i nostri nipoti vivono di vino e vivono il vino e perché la famiglia è il primo motore di ogni impresa. Facciamo i nostri vini e seguiamo i vini degli altri, ma sempre con la stessa passione. E la famiglia conta perché è lo scrigno dei sentimenti e il vino è sentimento».