A marzo nuovo balzo in Ue, nonostante i dati non includano ancora tutti gli effetti della guerra. Le aziende per sopravvivere dovranno alzare i prezzi. Per l’esecutivo però la risposta è la mancia da 200 euro.
A marzo nuovo balzo in Ue, nonostante i dati non includano ancora tutti gli effetti della guerra. Le aziende per sopravvivere dovranno alzare i prezzi. Per l’esecutivo però la risposta è la mancia da 200 euro.«A noi ci ha rovinato la guera». Parafrasando il romanesco di Ettore Petrolini, il governo delle larghe intese ha trovato il responsabile della gelata economica di primavera e prosegue nella strategia pentastellata dei bonus a pioggia. Mario Draghi lo ha confermato in conferenza stampa: «Questa non è una recessione, è solo un rallentamento». Ma come un economista sa meglio di tutti, le sensazioni sono sempre sottoposte al vaglio del peggior nemico possibile, che si chiama realtà. E la realtà sta dentro i numeri, per la verità raggelanti, del costo della produzione industriale di marzo: +5,3% rispetto a febbraio nell’Eurozona (+5,4% per l’area Ue) e +36,8% rispetto a un anno fa. Per completare lo scenario, nel settore dell’energia i prezzi sono saliti in un solo mese dell’11,1% e la crescita per l’industria è arrivata al +104,1%. Praticamente un altro mondo, dati che fanno suonare sirene e campane tutte insieme, come quando la città brucia.Le cifre sono superiori alla media delle stime degli analisti e laggiù all’orizzonte si materializza lo spettro di una variazione tendenziale annua del 36,5% che ha una sola spiegazione: il sistema imprenditoriale non ha più margini, non può più limare neppure gli spiccioli ma sta già scaricando (come del resto tutta la filiera) i sovracosti sui consumatori. Di conseguenza i 200 euro una tantum per gli italiani contenuti nel decreto Aiuti (totale 14 miliardi) sono come l’ombrellino da sole per ripararsi dall’uragano Katrina, del tutto inutili al di là del semplice cadeau. Bruciati in partenza dagli aumenti delle bollette e dall’inflazione. La modalità al tempo stesso sorprende e delude: non c’era bisogno di un manovratore del calibro di Draghi per inventarsi qualcosa che somiglia all’incentivo monopattini e alle paghette pandemiche di Giuseppe Conte spacciate pomposamente per «elicopter money», peraltro narrate dalla stampa maintream come se fossero il Piano Marshall del terzo millennio.C’è un altro segnale negativo. «A noi ci ha rovinato la guera», continuano a ripetere soprattutto a sinistra tifosi curvaioli di Joe Biden come Enrico Letta, Matteo Renzi e Carlo Calenda, alla disperata ricerca di alibi. E ormai prigionieri della battuta: «Le sanzioni alla Russia stanno funzionando benissimo. Con noi». Ma i numeri di marzo ci dicono che il vero effetto guerra non è ancora arrivato. Troppo presto per circoscriverlo e soppesarne le conseguenze; troppo frettoloso sarebbe incasellare i dati di un periodo (marzo) che fotografa l’alba del conflitto e non ancora la sua ondata di piena. In realtà l’esplosione dei costi è ancora legata alla pandemia, alla sua valenza planetaria, alle mosse anti industriali del 2020 e alla gestione ansiogena del 2021. La carenza di materie prime, la difficoltà di importare i prodotti sulle linee marittime del Far East (elettronica e componentistica hanno consegne rallentate e costi raddoppiati, i noli marittimi sono schizzati a +22%) stanno creando un corto circuito senza precedenti dentro il mondo globale. E stanno mettendo in forte dubbio la narrazione sacrale della stessa globalizzazione fondata sulle produzioni integrate e sulle delocalizzazioni al risparmio. Davanti a tutto ciò Draghi ricorre ai bonus. La strategia di stampo sudamericano è ancora una volta la preferita nelle scelte del governo a trazione piddina e grillina. È anche la più facile e aderente a una visione statalista - il famigerato populismo di sinistra - che il premier sembra avere sposato per bordeggiare fino all’autunno. Anche se i costi della produzione industriale sono aumentati quasi del 40% in un anno e l’energia oltre il 100%, secondo lui la crisi economica non è strutturale ma congiunturale, quindi non può che difendere il decreto Aiuti. «È un provvedimento molto articolato che ha l’obiettivo di difendere il potere di acquisto delle famiglie, dei più deboli e la capacità produttiva delle imprese. Poiché l’accelerazione dei prezzi dipende in larghissima misura dal costo dell’energia, si tratta di una situazione temporanea che va affrontata con strumenti eccezionali».Di tutt’altro parere sono economisti meno keynesiani. Li rappresenta bene un maestro come Giulio Sapelli: «La pandemia ha provocato uno shock esterno all’economia, la guerra farà il resto. Poiché le economie sono interconnesse ci saranno più disoccupazione e povertà. Si rischia il blocco delle attività produttive. La crisi attuale non si risolve con i sussidi indiscriminati che provocano soltanto povertà e iperinflazione. Nei prossimi 30 anni dovremo passare a una nuova fase: bassi costi di produzione e austerità sociale. Sarà un’economia della sopravvivenza e durerà a lungo».Al di là dell’effetto marketing, il denaro-tampone non è una soluzione. E quando Draghi sottolinea che «lo schema Recovery fund va ampliato a tutto», provoca gli applausi degli apostoli dell’assistenzialismo ma aggiunge preoccupazione negli stessi ambienti industriali, che vedono in tutto ciò il ritorno sotto altre forme dei disastrosi piani quinquennali di sovietica memoria. Ci sta già provando Vladimir Putin, non è il caso di imitarlo.
Gianfranco Lande durante un’udienza del processo che l’ha coinvolto (Ansa)
I parenti del consigliere hanno investito una fortuna con Gianfranco Lande. Che per prendere tempo li spingeva a fare «condoni» sui capitali.
Francesco Saverio Garofani in questi giorni viene raccontato come il gentiluomo delle istituzioni, il cattolico democratico che ha attraversato mezzo secolo di politica italiana con la felpa della responsabilità cucita addosso. Quello che nessuno racconta è che lui, insieme a una fetta consistente della sua famiglia, è stato per anni nel giro di Gianfranco Lande, il «Madoff dei Parioli». E che il suo nome, con quello dei tre fratelli, Carlo, Giorgio e Giovanna (che negli atti della Guardia di finanza vengono indicati in una voce cumulativa anche come fratelli Garofani), riempie la lista Garofani nell’elenco delle vittime allegato alla sentenza che ha raccontato, numeri alla mano, la più grande stangata finanziaria della Roma bene, insieme a quello di un certo Lorenzo (deceduto nel 1999) e di Michele, suo figlio, del cui grado di eventuale parentela però non ci sono informazioni.
Getty Images
Travaglio: «Garofani deve dimettersi». Foa: «Non è super partes, lasci». Porro: «È una cosa pazzesca e tentano di silenziarla». Padellaro: «Una fior di notizia che andava pubblicata, ma farlo pare una scelta stravagante». Giarrusso: «Reazioni assurde a una storia vera». L’ex ambasciatore Vecchioni: «Presidente, cacci il consigliere».
Sergio Mattarella (Getty Images)
Il commento più sapido al «Garofani-gate» lo ha fatto Salvatore Merlo, del Foglio. Sotto il titolo «Anche le cene hanno orecchie. Il Quirinale non rischia a Palazzo, ma nei salotti satolli di vino e lasagnette», il giornalista del quotidiano romano ha scritto che «per difendere il presidente basta una mossa eroica: restarsene zitti con un bicchiere d’acqua in mano». Ecco, il nocciolo della questione che ha coinvolto il consigliere di Sergio Mattarella si può sintetizzare così: se sei un collaboratore importante del capo dello Stato non vai a cena in un ristorante e ti metti a parlare di come sconfiggere il centrodestra e di come evitare che il presidente del Consiglio faccia il bis.
Lo puoi fare, e dire ciò che vuoi, se sei un privato cittadino o un esponente politico. Se sei un ex parlamentare del Pd puoi parlare di listoni civici nazionali da schierare contro la Meloni e anche di come modificare la legge elettorale per impedire che rivinca. Puoi invocare provvidenziali scossoni che la facciano cadere e, se ti va, perfino dire che non vedi l’ora che se ne vada a casa. E addirittura come si debba organizzare il centrosinistra per raggiungere lo scopo. Ma se sei il rappresentante di un’istituzione che deve essere al di sopra delle parti devi essere e apparire imparziale.
L’amministratore delegato di Terna Giuseppina Di Foggia
- In vista delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 circa 300 milioni di euro di investimenti per potenziare le infrastrutture in Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige. Il progetto include 130 chilometri di elettrodotti completamente «invisibili».
- Sono oltre 300 i cantieri attualmente in corso per sviluppare la rete di trasmissione.






