- Pubblichiamo in esclusiva uno studio di Transparimed sulla sperimentazione: il 70 per cento dei centri di ricerca italiani non pubblica correttamente i risultati. Fra questi Spallanzani e Sacco
- Il presidente dell'istituto Mario Negri Silvio Garattini: «Spesso ciò che prevale è l'interesse industriale. L'Italia è un mercato da 30 miliardi»
Pubblichiamo in esclusiva uno studio di Transparimed sulla sperimentazione: il 70 per cento dei centri di ricerca italiani non pubblica correttamente i risultati. Fra questi Spallanzani e SaccoIl presidente dell'istituto Mario Negri Silvio Garattini: «Spesso ciò che prevale è l'interesse industriale. L'Italia è un mercato da 30 miliardi»Lo speciale contiene due articoliIncompleti, scarsamente aggiornati, a volte totalmente assenti. Nel lungo elenco delle sperimentazioni cliniche presentate in ambito europeo, la totale trasparenza dei risultati resta ancora un miraggio. Il registro c'è, ma ricercatori, università e aziende farmaceutiche spesso non sembrano farci caso. Si chiama EudraCT, e dovrebbe essere la bibbia europea delle indagini sulla sicurezza e l'efficacia dei farmaci. Dal 2014, sul database gestito dall'Agenzia europea per i medicinali i promotori dei trial farmacologici hanno l'obbligo di pubblicare i risultati principali dei loro studi. Le informazioni dovrebbero essere accessibili a un anno di distanza dal completamento delle analisi. Il margine temporale scende a 6 mesi se si tratta di test pediatrici. Eppure, nonostante gli obblighi, il livello di trasparenza resta ancora largamente insufficiente, anche in Italia. Transparimed, gruppo di ricerca inglese che si batte per una maggiore apertura del mondo scientifico, ha elaborato per La Verità un'indagine sulle sperimentazioni condotte da 27 diversi promotori, tra cui ci sono università, istituti di ricovero e cura, case farmaceutiche: su 1.441 trial registrati, i risultati sono incompleti o assenti in 577 casi stimati. Quasi uno su due, con buona pace delle norme imposte in ambito europeo. «EudraCT è un po' negletto», spiega Rita Banzi, responsabile del Centro di politiche regolatorie in sanità dell'Istituto Mario Negri di Milano. «Il database dell'Ema (l'Agenzia europea del farmaco, ndr) non è tra i primi pensieri dei ricercatori, che sono molto più sensibili alle riviste scientifiche. Sarebbe invece utile una maggiore attenzione: il registro è aperto a tutti, acquisire delle informazioni risulterebbe più semplice. Per altri tipi di pubblicazione, non è sempre così». Rendere visibili le informazioni accelera il ritmo del progresso scientifico: conoscere i risultati principali di un test clinico al completamento delle analisi permette ai ricercatori di condividere eventuali scoperte senza dover attendere i tempi delle riviste scientifiche, che a volte possono rivelarsi lunghi. La pubblicazione del report, poi, eviterebbe di disperdere i dati nel caso in cui i trial non venissero mai pubblicati su una rivista, magari per il trasferimento del team di ricerca in un'altra struttura. I risultati principali potrebbero rivelarsi utili anche ai finanziatori, che decidono sulla possibilità di continuare a sostenere la ricerca. Tra i promotori italiani che hanno dato il via libera ad almeno 25 sperimentazioni dalla scorsa estate, solo 2 risultano avere un livello di divulgazione ottimale: il gruppo Chiesi Farmaceutici, che commercializza medicinali per le terapie respiratorie, e Italfarmaco spa, una multinazionale, con sede a Milano, che svolge attività di ricerca principalmente nell'area cardiovascolare, immunologica e oncologica. Altri tre sponsor risultano avere alti livelli di trasparenza, ma non perfetti: l'Istituto Mario Negri, il gruppo Bracco e l'azienda farmaceutica Menarini. I restanti 22, stando ai ricercatori inglesi, non raggiungono risultati soddisfacenti: «Insieme, hanno promosso più di 1.000 sperimentazioni cliniche, ma solo in 5 casi abbiamo notato un corretto caricamento dei risultati», scrivono nel report. Transparimed stima che il policlinico Gemelli non sia ancora riuscito a pubblicare i risultati di 76 trial clinici su un totale di 153. Di queste sperimentazioni, 11 risultano terminate più di un anno fa. Eppure, in nessuno di questi casi è possibile accedere ai risultati. Altre 102 sperimentazioni risultano completate, ma la data di completamento non c'è, pertanto è difficile stabilire se la pubblicazione dei risultati sia obbligatoria, come impongono le disposizioni europee, oppure no. Alla richiesta di chiarimenti inviata dalla Verità, il policlinico romano ha preferito non rispondere. Meglio sta facendo l'Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, come spiega Marco Bregni, direttore del centro di sperimentazione clinica: «Dal febbraio scorso, in seguito a un sollecito dell'Ema, è stato avviato un lavoro di revisione degli studi registrati sul database europeo che prosegue tutt'ora, anche se a rilento a causa del Covid-19». Secondo i dati messi in fila dai ricercatori inglesi, 7 trial promossi dal San Raffaele sarebbero terminati più di un anno fa. Di questi, solo 2 riportano una puntuale pubblicazione dei risultati, come lo studio condotto sui «pazienti con infezione da Hiv». Altre sperimentazioni riportano dati incoerenti: è impossibile per la squadra di Transparimed stabilire se si tratti di studi conclusi oppure no. Come spiegano dal San Raffaele, l'incoerenza dei dati finisce per incidere sulla percentuale dei trial correttamente pubblicati. Secondo Bregni, infatti, «molti studi risultano regolarmente chiusi e pubblicati, ma non vengono conteggiati dai ricercatori di Transparimed perché non ci sono indicazioni sulla data di completamento della sperimentazione. Questa è un'informazione che i promotori non possono inserire direttamente sul registro europeo. Possono solo darne comunicazione all'autorità nazionale competente, in questo caso l'Aifa, che a sua volta provvede a informare in ambito europeo». Quando gli studi sono datati, il processo di pubblicazione può risultare lento e macchinoso: può accadere, per esempio, che il formato cartaceo dei documenti ritardi la registrazione di informazioni preziose, come le date delle sperimentazioni. Sollecitare la pubblicazione e la completezza dei dati dovrebbe essere compito dell'Agenzia italiana per il farmaco. O almeno questa è la speranza dei ricercatori. «È inaccettabile che Aifa resti silenziosamente a guardare quando si tratta di trasparenza», ragiona Till Bruckner, fondatore di Transparimed. Chi ha già espresso le sue perplessità nei confronti di Aifa è l'europarlamentare Piernicola Pedicini, membro del gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea. «Nella lettera che ho inviato all'Agenzia», ricorda, «ho evidenziato i dubbi sulla pubblicazione dei risultati delle sperimentazioni cliniche in Italia. Aifa dovrebbe sollecitare i più importanti promotori italiani e supportarli per raggiungere standard migliori. La ricerca che rimane invisibile non contribuisce né al progresso scientifico né al miglioramento della pratica clinica. Questa mancata trasparenza potrebbe comportare scelte meno accorte nelle cure e quindi potenziali danni ai pazienti». Interpellati sui ritardi delle pubblicazioni, da Aifa hanno preferito non rilasciare commenti. Per rafforzare il sistema di monitoraggio, c'è chi pensa ai modelli esteri, come quello austriaco e soprattutto quello inglese: l'Autorità nazionale britannica sta riesaminando e aggiornando in maniera sistematica lo stato delle sperimentazioni cliniche, per garantire che le informazioni siano accessibili. In Danimarca, invece, si stanno preparando a una reazione molto più dura, come si legge in un comunicato dell'Agenzia nazionale per il farmaco: una multa o addirittura «la reclusione fino a 4 mesi» se i risultati delle sperimentazioni non saranno resi pubblici dai promotori.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





