2018-07-22
Così i contractor stranieri fregano l’Italia
Le nostre imprese sono costrette a cercare vigilantes fuori dai confini, data l'assenza di leggi che regolino tale professione. L'ampia presenza nel settore di uomini legati all'intelligence, tuttavia, rischia di generare pericolose fughe di informazioni.Tante sigle estere e qualche affare poco trasparente. A farla da padrone sono le agenzie Usa ma ora anche russi e cinesi scalpitano.Lo speciale contiene due articoliLa guerra è profondamente cambiata in questi – quasi – primi vent'anni di millennio: se qualcuno sperava che ci si ammazzasse meno, ha sbagliato. In realtà, la guerra ibrida in corso ha moltiplicato i conflitti in una forma poco regolamentata: avrete notato che le guerre si fanno senza mai dichiararle? E avendo sul campo diplomatici e militari, una volta inconciliabili? Insomma, guerre senza regole con nuovi attori che si confrontano. Questa incertezza ha aumentato la domanda di sicurezza e moltiplicato le minacce, per loro caratteristiche e tipologie, da cui l'apertura di nuove professioni e nuovi mercati.Intorno alla figura del «contractor» si sono intessuti racconti che incrociano visioni molto diverse, spesso scorrette, ma che testimoniano un grande ritardo normativo nell'interpretare uno scenario che, soprattutto noi italiani, dobbiamo regolare con urgenza. Perché ci stiamo rimettendo alla grande. Le nostre aziende strategiche devono preoccuparsi dei loro uomini nelle aree di crisi. Ma così anche Ong, giornalisti e tutti quei comparti che lavorano dall'Africa al Sud America, in tutti quei Paesi dove il controllo locale non è garantito dalle istituzioni. Spesso la presenza in queste aree non è breve e le commesse girano intorno al paio d'anni almeno, per arrivare a lunghe presenze stabili nel tempo.Ciò che impone alcune riflessioni riguarda la scelta dei provider di security, designati a svolgere le attività sul campo, in favore di tecnici e operai, manager, direttori ed executives. L'Italia, come sottolineato, è in ritardo perché la normativa non prevede queste funzioni né imprese che le possano legittimamente offrire e, pertanto, si va a cercarle all'estero: dunque all'estero ci vanno sia gli italiani impiegati a prestare sicurezza sia le aziende italiane, che contrattano imprese straniere per garantire loro sicurezza.In pratica ci stiamo facendo male da soli.Come si può immaginare, dietro questi provider internazionali, infatti, trovano posto moltissimi ex funzionari di apparati di intelligence anglosassone, americana e francese. Fin qui nulla di male. Anzi, si potrebbe pensare ad una garanzia di efficienza. I dubbi sorgono quando l'attenzione viene concentrata non sui servizi specifici erogati, ma sulla gestione delle informazioni a essi connesse. Per esempio, durante la definizione di un dispositivo di sicurezza per una nostra grande azienda in un'area critica africana, vengono condivise informazioni preziose su destinazioni finali, motivazioni degli spostamenti, tipologia di personale coinvolto, agende dettagliate con riferimenti di sedi di partner e di clienti: ovviamente tutto, per costruire le adeguate misure. Ma che fine fanno queste informazioni? Pochi ci badano, quello che importa è avere la trasferta sicura. Eppure quelle informazioni sono un tesoro, un valore aggiunto importantissimo che diventa un premio importante per le agenzie di sicurezza straniere: in certi casi una «mancia» che vale di più dello stipendio.Se pensiamo a chi opera (in modo assolutamente legittimo e con elevati livelli di professionalità, sia chiaro) nella gestione di queste security company, non è poi così impensabile che tutte le informazioni raccolte arrivino direttamente all'azienda competitor del Paese di riferimento.In pratica, con il sistema normativo che abbiamo, le aziende italiane, costrette a comprare sicurezza all'estero, regalano informazioni ai paesi nostri competitor. A tutto ciò è necessario aggiungere che in paesi come la Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia, gli apparati di intelligence nazionali fanno vere e proprie azioni di business intelligence in favore delle proprie aziende critiche che operano all'estero e vi è un fitto scambio di informazioni con i security provider che poi, operativamente, eseguiranno i servizi di tutela all'estero.Come si spiega quindi la scelta di convergere sulle agenzie straniere da parte delle nostre imprese? Non è la convenienza economica né la professionalità che ci fa esterofili: gli italiani sanno essere competitivi su entrambi i fronti. La scelta è obbligata perché le norme nazionali impediscono queste attività al livello necessario per confrontarsi su un mercato internazionale molto evoluto e competitivo.Forse è il momento di affrontare la questione seriamente, con tranquilla serietà e un po' di coraggio, senza gelosie tra le parti, per superare le vecchie visioni con cui «si appaltava la guerra».Marco Lombardi e Mauro Pastorello<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cosi-i-contractor-stranieri-fregano-litalia-2588706680.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tante-sigle-estere-e-qualche-affare-poco-trasparente" data-post-id="2588706680" data-published-at="1757985451" data-use-pagination="False"> Tante sigle estere e qualche affare poco trasparente Sicurezza, intelligence, contrasto al terrorismo e alla pirateria. Sono solo alcuni dei settori in cui operano le società militari private. Le attività belliche divengono ogni giorno più complesse e - proprio per questo - tali realtà stanno acquisendo un'importanza sempre maggiore per chi opera in territori a rischio. Un business remunerativo, concentrato soprattutto nel mondo anglosassone. Principalmente in America. Academi, un tempo chiamata Black water, è una società statunitense nata nel 1997 dall'ex Navy seal, Erik Prince, considerato vicino al presidente americano, Donald Trump. La sua sede si trova nella città di Arlington, in Virginia. Pochi anni dopo la fondazione, è diventata famosa per il ruolo ricoperto nel corso delle guerre di Afghanistan e Iraq (non senza polemiche, visto che alcuni dipendenti della società sono stati accusati e condannati per aver ucciso diciassette civili a Baghdad nel 2007). Ad oggi, si tratta di uno dei principali contractor del Dipartimento di Stato americano, occupandosi peculiarmente di protezione del personale diplomatico. Sempre in Virginia, stavolta ad Ashburn, troviamo poi la Mvm, costituita nel 1979. Da anni, riceve appalti milionari dal Dipartimento di Stato, da quello di Giustizia, oltre che dall'Fbi. Senza poi dimenticare una forte attività per le agenzie americane specializzate nel controllo dei flussi migratori. Ma non soltanto lo Zio Sam. Anche la Gran Bretagna risulta infatti un terreno piuttosto florido di contractor. Pensiamo, per esempio, alla Control risks, con sede a Londra e fondata nel 1975. Acquisita due anni fa dalla canadese Garda world, si tratta di una realtà specializzata in sicurezza e cyber-sicurezza, in forte espansione e attualmente operante in oltre cento Paesi (dall'Europa agli Stati Uniti, passando per il Medio Oriente). Discorso parzialmente simile vale anche per Aegis defence services: altra grande realtà britannica, con sede a Londra, che dispone di uffici in Medio Oriente (Iraq, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Afghanistan) e Africa (Libia, Mozambico, Somalia). Ma l'universo dei contractor non si ferma al mondo anglosassone. Anche la Francia è presente in questo mercato. Ifs2i, per esempio, è una società d'Oltralpe che fornisce consulenza in materia di sicurezza, assistenza militare privata e formazione di bodyguard. Fondata a Lione nel 2000, si occupa anche di contrasto alle attività terroristiche. Spostandosi più a Est, si arriva in Russia, dove opera la società Rsb-Group, specializzata in intelligence e lotta al terrorismo. Tra l'altro attiva anche in territorio libico. Senza poi trascurare che, nello scacchiere siriano, agirebbe la società privata Wagner. Schierata a fianco delle forze del presidente Bashar Al Assad, svariati suoi membri sarebbero addirittura finiti sotto il fuoco dei bombardamenti statunitensi lo scorso febbraio. Inoltre, al di là della Siria, questa organizzazione avrebbe svolto un ruolo anche nella guerra del Donbass. La sua natura non è comunque del tutto chiara. Per molti, più che una società privata, risulterebbe un'organizzazione paramilitare o - addirittura - un'unità sotto copertura, dipendente dal governo russo. Infine abbiamo la Cina. Dopo essere stati legalizzati nel 2010, secondo il Financial Times, i contractor locali starebbero man mano rafforzando la propria presenza in territorio estero (dall'Africa al Medio Oriente). Pur con una certa cautela infatti, Pechino sosterrebbe queste società in funzione della difesa dei propri interessi sul fronte internazionale. DeWe, tra i principali contractor cinesi, vanta oggi più di tremila dipendenti (alcuni stanziati fuori dai confini nazionali). Stefano Graziosi
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci