2025-06-13
Bimbi «dissidenti» e adozioni forzate. Così la Ddr costruiva i suoi cittadini
In un romanzo di Jugler, basato su fatti veri, si ricostruisce uno degli orrori della Repubblica Democratica Tedesca: i figli degli oppositori politici venivano sequestrati dallo Stato e cresciuti con i crismi della dittatura.La chiamavano «la strega viola», e come le streghe vere, quelle di cui giustamente ci insegnavano ad avere paura, rapiva i bambini. L’ex ambasciatore britannico Jon Benjamin, che la incontrò in Cile dove si era rifugiata grazie al governo di sinistra per evitare condanne in patria, la descrisse così: «Margot Honecker, terza moglie di Erich Honecker, storico leader della Germania Est, e Ministro dell’Istruzione della Repubblica Democratica Tedesca (Ddr) a pieno titolo dal 1963 al 1989. Il suo compito era quello di formare nuove generazioni comuniste adeguatamente indottrinate. Margot, nata Feist, aveva circa 85 anni quando ci siamo incontrati e ne ha compiuti 89 prima di morire nel 2016». Fino all’ultimo, la donna di ferro del comunismo tedesco ha vestito l’abito freddo e rigido dell’ideologia, non ha mai rinnegato alcuna decisione presa, non ha mai mostrato crepe nella convinzione. Benjamin la temeva e insieme ne era affascinato: «Margot che avrebbe ordinato l’adozione forzata dei figli dei dissidenti incarcerati; Margot, responsabile di una rete di circa 150 austere case-famiglia simili a prigioni, dove i minorenni “politicamente difficili” venivano duramente rieducati per diventare buoni cittadini socialisti».Ecco la grande tentazione di tutte le dittature: avventarsi sui bambini, educare i cittadini obbedienti fin dai primi mesi, forgiare l’uomo nuovo sottraendolo alla famiglia per affidarlo alle cure dello Stato inflessibile. Margot, ovviamente, smentiva decisamente: «Non c’è stata alcuna adozione forzata», disse nel 2011. «Sono sempre stata colpita da questi casi, quando le persone abbandonano i propri figli in modo così irresponsabile. Che i bambini debbano poi essere portati in un istituto, senza genitori e senza sapere perché. Di solito, i bambini crescono bene.»In realtà, l’orrore delle adozioni forzate nella Ddr è storicamente documentato, tanto da non poterne dubitare. È poco conosciuto, perché sui crimini rossi c’è sempre una certa reticenza. Ma è quanto di più coerente possa esistere con la fede nel sole dell’avvenire: se la famiglia, come già Engels sosteneva, è il luogo primo di produzione della diseguaglianza, allora è bene che la famiglia sia demolita e che ad essa si sostituisca l’autorità costituita, il partito. Non è poi molto diversa, questa idea, da quelle che ancora di recente abbiamo visto mettere in pratica a Bibbiano e altrove. Anche se l’abisso spalancatosi nella Germania Democratica è difficilmente eguagliabile. La pratica era nota come Zwangsadoption. I bambini, semplicemente, venivano tolti alle famiglie che non potevano rivederli mai più. Come ha scritto la tedesca Monika Sax, «tra il 1960 e il 1989, circa 130.000 dei 280.000 prigionieri politici furono giudicati colpevoli ai sensi del cosiddetto “paragrafo asociale”, ovvero l’articolo 249 del codice penale della Rdt. I figli dei prigionieri venivano spesso affidati a parenti, rinchiusi in istituti o dati in adozione. Tutte le adozioni nella Ddr erano «in incognito». Il contatto tra genitori adottivi e genitori biologici non era né pianificato né desiderato. I bambini dovevano “ricominciare da capo” e crescere da zero».Tra i primi a svelare l’orrore ci fu Der Spiegel, che nel 1975 raccontò la storia della famiglia Grübel. Questi malcapitati, nel 1973, tentarono di fuggire nella Germania Ovest assieme ai due figli piccoli. I Grübel furono presi e condannati al carcere, poi espulsi. I figli rimasero nella Ddr, dati in adozione e separati dai genitori per 17 anni. Qualcosa di simile accadde a Margot Rothert, oggi ultrasessantenne, la cui storia è stata raccontata qualche tempo fa da un giornale berlinese: «“Firma subito o perderai anche gli altri tuoi figlia”. Un agente della Stasi consegna a Margot Rothert (allora diciannovenne) un foglio sul suo letto di maternità. Deve dare via il bambino che aveva appena partorito nel 1972. “Non sapevo cosa fare, così ho firmato. Mi sentivo così male, continuavo a piangere”». A Margot Rothert la Stasi portò via la figlia appena nata, Verena, che fu data in adozione. Non la rivide per 35 anni. Di storie come la sua, negli ultimi dieci anni, i media tedeschi ne hanno raccontate parecchie. Il fatto che le adozioni forzate non riguardarono soltanto figli di dissidenti o contestatori o persone socialmente pericolose. Coppie di ogni genere - a centinaia, se non a migliaia - furono private dei bambini, talvolta subito dopo la nascita e senza particolari ragioni. A dare voce a queste storie è ora Matthias Jugler con il romanzo La danza delle effimere. Un racconto di fantasia ma basato su vicende e racconti reali. Il libro è bello e straziante, e lo sarebbe anche se fosse completamente inventato. Ma sapere che «questo è stato» lo rende infinitamente più potente. «Questo romanzo», scrive Jugler, «si basa su fatti storici. Da alcuni anni è stato dimostrato che nella Repubblica Democratica Tedesca furono simulati diversi casi di morti in culla. Ai genitori naturali veniva comunicato il decesso del figlio appena nato, che poi veniva dato in adozione a genitori sconosciuti. Non è ancora noto quanti bambini furono interessati da questa pratica. A oggi è stata fatta chiarezza su tre reati di questa natura, i casi sospetti sono però all’incirca duemila. Moltissime persone hanno buoni motivi di credere che i loro figli siano ancora vivi, in luoghi ignoti, con altre famiglie. Madri e padri si rivolgono in genere all’Associazione per i bambini rapiti della RDT. Karin S., una donna della Sassonia-Anhalt la cui storia ha ispirato questo romanzo, sta ancora cercando».Nel libro ascoltiamo il racconto di un padre la cui esistenza è stata demolita dalla adozione forzata del figlio: gli fu appunto detto che era morto, e questo ha prima devastato sua moglie e poi lo ha consumato per anni, almeno fino a quando il bambino sottratto e dato per defunto non è spuntato dalle nebbie del passato, ormai adulto e, per altro, poco disposto a credere al racconto del genitore. Al di là della straziante vicenda umana che mette in scena, il romanzo di Jugler ha il merito non soltanto di gettare nuova luce su un momento di buio profondo dalla storia novecentesca, ma anche di far ragionare sull’importanza dei legami di sangue. E di fare comprendere che non è un caso se tutte le ideologie, anche quelle oggi dominanti, hanno cercato di spezzarli.
Saverio Tommasi con la Global Sumud Flotilla
Un militare israeliano a bordo di una delle imbarcazioni della Flotilla (Ansa)