True
2022-02-07
Così dal bonus viene soltanto male
Ansa
L’ultima doccia gelata è arrivata un paio di settimane fa. Proprio mentre il settore dell’edilizia non vive la sua stagione migliore, tra rincari e carenza delle materie prime, allungamento dei tempi delle consegne e mancanza di manodopera. L’operazione del bonus 110%, che avrebbe dovuto mettere il turbo alle opere trasformando il Paese in un enorme cantiere, rischia di arenarsi definitivamente e di lasciare con l’amaro in bocca chi aveva sperato in un utile veicolo per rilanciare l’edilizia, ammodernare un patrimonio immobiliare vetusto e di conseguenza dare una spinta all’economia. Non c’è niente da fare. Sembra che il legislatore non riesca fare a meno di mettere i bastoni tra le ruote alle imprese.
Sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, sono un bel record. Ma il problema è uno solo: l’insipienza degli ultimi due governi. I due bonus edilizi più «pesanti», cioè quello per l’efficientamento energetico (110% dell’importo dei lavori recuperabile con crediti cedibili) e quello per le facciate (90%) furono lanciati dal Conte 2. Fin dall’inizio erano appesantiti da pratiche burocratiche, regole poco comprensibili e soprattutto non prevedevano controlli in tempo reale. Inevitabile il proliferare di truffe, che però sono emerse a distanza di mesi e per importi talmente enormi (alcuni miliardi di euro già accertati) che recuperarli appare impresa disperata.
Pare addirittura che la guardia di finanza avesse già pronto il software per individuare le truffe quando il governo approvò il decreto Rilancio. Non si poteva eseguire i controlli prima di concedere i bonus anziché dopo? Ora con la pletora di correzioni alla normativa si tenta di metterci una pezza. Ma se il risultato è bloccare di nuovo l’attività edilizia, la toppa è peggio del buco.
L’ultimo capolavoro di ingegneria legislativa è contenuto nel decreto legge Sostegni ter che ha sancito la fine della libera circolazione dei crediti fiscali. E non è detto che si tratti delle ultime modifiche: per la versione definitiva bisognerà attendere la conversione in legge. Ma di qui ad allora il settore rischia di sprofondare in un limbo. I cantieri aperti potrebbero fermarsi e quelli da avviare verrebbero congelati. Anche l’allungamento della scadenza, ora fissata per i condomini al 31 dicembre 2023, è un contentino che sa di presa in giro. Chiunque ha avuto a che fare con la ristrutturazione di un immobile o con le decisioni condominiali, sa bene che due anni in edilizia sono uno spazio temporale brevissimo. A questo si aggiunge la carenza di materie prime e di manodopera, oltre all’impennata dei rincari che rende obsoleti i preventivi nel giro di poche settimane. Mettere altri ostacoli, come interrompere la circolazione dei crediti derivati, non ci voleva.
Cosa è accaduto? Siccome all’improvviso gli istituti preposti ai controlli si sono accorti del proliferare delle truffe, ecco che il governo ha pensato, come deterrente, di eliminare le cessioni multiple dei crediti. Il fornitore che fa lo sconto in fattura può cedere il credito solo una volta, mentre il committente che matura il diritto a detrarre può convertire la detrazione in un credito cedibile una sola volta. Questa decisione è piombata mentre era in corso la libera circolazione dei crediti e si stavano sviluppando i contratti. Risultato: blocco delle operazioni. Prima di intraprendere ogni attività di riqualificazione o di reperire nuove commesse, committenti e imprese preferiscono aspettare di vederci chiaro. Ed è il ragionamento che fanno anche le banche che avviano un’analisi dei crediti da acquistare per verificare se ci sono rischi nascosti. I tempi inevitabilmente si allungano.
decisioni lumaca
Il superbonus 110% inoltre è afflitto dal virus della iperburocrazia. Le tabelle dell’Enea, uno dei controllori insieme all’Agenzia delle entrate, mostrano che da settembre 2020 a oggi è stato completato solo il 69% dei lavori che avevano chiesto il bonus. E delle 95.000 pratiche, solo il 15% era di condomini. I tempi decisionali in un palazzo sono sempre molto lunghi e complicati, ma se ci si mette la burocrazia diventano da lumaca. L’elenco dei documenti da presentare è lunghissimo e fino a poco tempo fa se c’era qualche irregolarità da sanare (il che accade nell’80% degli immobili italiani) non si poteva andare avanti. Ora è possibile affrontare la sanatoria in un secondo momento. Così, sempre dalle tabelle dell’Enea, emerge che dall’estate scorsa a dicembre c’è stata una crescita esponenziale delle pratiche presentate. Su 97.000 progetti, 26.000 sono stati presentati a dicembre. È il segno che quando si snelliscono le norme il mercato risponde bene. Ora però le limitazioni alla cessione dei crediti rischiano di provocare un nuovo blocco.
I paletti per evitare le truffe si potevano mettere sin dall’inizio o predisporre un sistema di monitoraggio più capillare. Peraltro i disonesti non si lasceranno scoraggiare dalle nuove limitazioni e troveranno il modo di aggirare l’ostacolo, per esempio cedendo il credito a un intermediario compiacente. Intanto però il resto del settore edile va in lockdown. Si salveranno le imprese molto capitalizzate o liquide, ma uno sguardo ai report delle forze dell’ordine mostra che quando le imprese oneste restano senza soldi, crescono quelle controllate dalla criminalità organizzata.
«I proprietari puniti come sempre»

Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa (Ansa)
All’ultima novità legislativa, il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, «il mercato immobiliare ha reagito malissimo e non poteva essere altrimenti»: lo dice il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. «Riguarda tutti gli incentivi immobiliari. Il solo fatto di cambiare le regole ogni due settimane, spesso retroattivamente, rappresenta un problema enorme per proprietari, amministratori di condominio, professionisti e imprese. Se poi le nuove regole sono sempre più restrittive delle precedenti, il disastro è inevitabile».
Quali sono i rischi di questo modo di procedere schizofrenico che non dà certezze?
«Più che rischi, ci sono certezze. Una è che le attività si blocchino, come già sta avvenendo, con conseguenze sull’economia. L’altra è che in molti, proprietari inclusi, perderanno denari. Un ulteriore effetto è il sicuro aumento del contenzioso. Se c’è una materia in cui servirebbe una tregua normativa, è proprio quella degli incentivi per gli interventi sugli immobili. Al contrario, ogni due settimane c’è una novità legislativa e ogni giorno almeno una risposta dell’Agenzia delle entrate a un quesito interpretativo».
Quanto pesa l’eccesso di burocrazia nella concessione del bonus?
«Il sistema previsto prima delle ultime modifiche funzionava, anche se poteva essere migliorato, per esempio reintroducendo la possibilità per il beneficiario di detrarre direttamente il credito in compensazione con le tasse. Se volesse fare qualcosa di utile, il Parlamento dovrebbe cancellare il divieto di ulteriore cessione del credito rispetto alla prima, che limita anche il credito d’imposta, per le locazioni non abitative nel settore turistico, appena rinnovato».
Però c’è il problema delle frodi.
«Che sono inaccettabili, ma i controlli a monte sono possibili e dovevano essere introdotti da subito. Se, al contrario, l’intento dei divieti fosse quello di arrivare ad affossare l’intero sistema degli incentivi, sarebbe più trasparente dirlo, anziché farlo di nascosto. Norme anti frodi come quelle introdotte con l’ultimo decreto legge e con la legge di bilancio sicuramente complicano la vita al 99% degli operatori onesti, mentre è dubbio se riescano a scoraggiare chi intende fare soldi a spese della collettività».
Il settore immobiliare che con le ristrutturazioni poteva acquisire un maggior valore ha perso l’occasione di recupero?
«Con gli interventi sugli immobili la crescita è per tutta l’economia, non solo per il settore immobiliare. Così come, di converso, se il comparto immobiliare viene eccessivamente colpito con tasse e soffocato con norme vincolistiche, le conseguenze negative si riverberano sull’intera economia. Il recente rapporto Istat-Bankitalia sulla ricchezza dei settori istituzionali in Italia ha confermato che il valore degli immobili è in calo dal 2012».
Casualmente, è il primo anno di applicazione dell’Imu…
«Appunto, una patrimoniale da 22 miliardi di euro l’anno. L’ennesima prova, se ancora ve ne fosse bisogno, dei danni che da 10 anni sta provocando questa ipertassazione sul mattone, che il governo vorrebbe addirittura aumentare attraverso la revisione del catasto: lo ha messo nero su bianco nella relazione del Mef che accompagna il disegno di legge delega sulla riforma fiscale. Opportunamente, i tre partiti del centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) hanno chiesto con forza che la parte sul catasto venga stralciata dalla riforma fiscale. Voglio sperare che le divergenze di questi giorni non facciano cambiare idea a qualcuno: le decine di milioni di proprietari di casa se ne ricorderebbero».
«Il governo ha agito in fretta poi ci ha messo una pezza. Risultato: imprese nel caos»

Il membro del Consiglio nazionale degli ingegneri, Remo Giulio Vaudano (YouTube)
«Quando ci sono sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, il risultato non può che essere la confusione»: è lo scenario paventato da Remo Giulio Vaudano, membro del Consiglio nazionale degli ingegneri e delegato per il settore energia, impianti e sostenibilità. «L’operazione partita per rilanciare l’economia attraverso un settore chiave come quello dell’edilizia, e di migliorare e rivalutare il patrimonio immobiliare piuttosto vetusto, rischia di trasformarsi in una grande illusione che ha creato tante aspettative destinate a essere deluse».
Vuol dire che nella fretta di partire, nonostante le buone intenzioni, è stata partorita una norma incompleta che ora richiede aggiustamenti progressivi?
«Guardando all’iter del bonus emerge l’incertezza del legislatore ma anche una serie di resistenze che determinano provvedimenti che si susseguono con l’effetto di un bastone tra le ruote».
Quali provvedimenti ostacolano il funzionamento del decreto?
«Prendiamo il decreto antifrode. Parte da un principio condivisibile, quello di colpire le operazioni truffaldine. Ma il risultato è che per colpirne alcuni si rischia di introdurre meccanismi che penalizzano la generalità delle imprese».
Anche la limitazione della cessione dei crediti?
«È qui che volevo arrivare. Il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, finalizzato a porre un freno alle truffe e ai tentativi di riciclaggio emersi a seguito dell’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, sta mettendo gli operatori di fronte a scelte complesse e rischia di bloccare il settore. Mi chiedo se un rischio del genere non poteva essere previsto e contrastato sin dall’inizio, e se non si possono disporre controlli mirati invece di penalizzare tutti come sta accadendo».
Quali sono le conseguenze dei limiti alla cessione dei crediti?
«Banche e intermediari finanziari si trovano nell’impossibilità di cedere a loro volta i crediti acquistati. Questo paletto ha già fatto aumentare gli oneri che le banche chiedono per la cessione del credito. Abbiamo già notizie di incrementi delle commissioni praticati dalle banche di 3-4 punti. Non voglio colpevolizzare gli istituti di credito che hanno reagito con meccanismi di mercato di fronte alla limitazione della possibilità di commercializzare i crediti d’imposta. E se aumentano le condizioni bancarie, sono penalizzate soprattutto le piccole imprese che praticano lo sconto in fattura ai propri committenti, per poi cedere il credito maturato, a soggetti terzi. Ma non finisce qui. Sta arrivando un’altra modifica».
Di cosa si tratta?
«Entro il 9 febbraio va emanato un decreto che fisserà i valori massimi per gli importi di alcuni lavori. Oggi i limiti sono calcolati utilizzando i prezzari regionali o altri prezzari ufficiali. Si tratta di capire come sarà il tetto. Il problema grosso è che ogni mese abbiamo una norma che modifica la legge originaria a cui seguono i numerosissimi pareri interpretativi degli enti preposti ai controlli, cioè Enea e Agenzia delle entrate. Questo clima di incertezza legislativa crea affanno e disillusione in chi deve investire. Chi vuole ristrutturare ora ci pensa tre volte perché non ha uno scenario certo davanti a sé. Un condominio ha tempi lunghi di decisione, durante i quali le norme potrebbero cambiare, come in effetti è successo. Per un anno c’è stato il blocco delle assemblee per la pandemia. Chiediamo di avere certezze».
Pesa anche l’eccesso di burocrazia?
«Direi più l’eccesso normativo. Si ha l’impressione che il legislatore abbia agito di fretta e poi, man mano che sorgevano i problemi ha cercato di farvi fronte con modifiche. Inoltre l’operazione è stata compressa in pochi anni, nonostante la deroga della scadenza per i condomini al 31 dicembre 2023. Meglio sarebbe se il provvedimento diventasse strutturale. Tanto più a fronte del rincaro dei materiali che sta incidendo sui lavori. Si sta creando un effetto imbuto tra maggiori oneri finanziari e aumenti delle materie prime».
Il bonus del 110% rischia di essere una bella illusione che si trasforma in delusione?
«Non bisogna perdere la fiducia, ma è innegabile che ci sia un po’ di sconforto. La scadenza ravvicinata della fine del bonus ha creato molti problemi, inclusa la difficoltà a reperire gli operatori. E quando la domanda è superiore all’offerta i prezzi salgono. Oggi è difficile trovare un’impresa o un artigiano disponibile. A questo si aggiunge il rincaro delle materie prime per cause internazionali ben note. Se aggiungiamo l’instabilità normativa è lecito temere che il settore possa bloccarsi».
Continua a leggereRiduci
Intoppi burocratici, abusi favoriti dai mancati controlli, continue modifiche alle norme per tentare di correggere le storture. Gli incentivi dovevano rilanciare l’edilizia. Invece la affossano.Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa: «Molti perderanno gli anticipi e aumenterà il contenzioso. Le frodi sono inaccettabili ma le verifiche dovevano partire subito, non dopo due anni».Il delegato del Consiglio degli ingegneri, Remo Giulio Vaudano: «La raffica di novità legislative ha l’effetto di bastoni tra le ruote per le ditte oneste. La limitazione ai crediti è il colpo di grazia».Lo speciale contiene tre articoli.L’ultima doccia gelata è arrivata un paio di settimane fa. Proprio mentre il settore dell’edilizia non vive la sua stagione migliore, tra rincari e carenza delle materie prime, allungamento dei tempi delle consegne e mancanza di manodopera. L’operazione del bonus 110%, che avrebbe dovuto mettere il turbo alle opere trasformando il Paese in un enorme cantiere, rischia di arenarsi definitivamente e di lasciare con l’amaro in bocca chi aveva sperato in un utile veicolo per rilanciare l’edilizia, ammodernare un patrimonio immobiliare vetusto e di conseguenza dare una spinta all’economia. Non c’è niente da fare. Sembra che il legislatore non riesca fare a meno di mettere i bastoni tra le ruote alle imprese. Sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, sono un bel record. Ma il problema è uno solo: l’insipienza degli ultimi due governi. I due bonus edilizi più «pesanti», cioè quello per l’efficientamento energetico (110% dell’importo dei lavori recuperabile con crediti cedibili) e quello per le facciate (90%) furono lanciati dal Conte 2. Fin dall’inizio erano appesantiti da pratiche burocratiche, regole poco comprensibili e soprattutto non prevedevano controlli in tempo reale. Inevitabile il proliferare di truffe, che però sono emerse a distanza di mesi e per importi talmente enormi (alcuni miliardi di euro già accertati) che recuperarli appare impresa disperata.Pare addirittura che la guardia di finanza avesse già pronto il software per individuare le truffe quando il governo approvò il decreto Rilancio. Non si poteva eseguire i controlli prima di concedere i bonus anziché dopo? Ora con la pletora di correzioni alla normativa si tenta di metterci una pezza. Ma se il risultato è bloccare di nuovo l’attività edilizia, la toppa è peggio del buco.L’ultimo capolavoro di ingegneria legislativa è contenuto nel decreto legge Sostegni ter che ha sancito la fine della libera circolazione dei crediti fiscali. E non è detto che si tratti delle ultime modifiche: per la versione definitiva bisognerà attendere la conversione in legge. Ma di qui ad allora il settore rischia di sprofondare in un limbo. I cantieri aperti potrebbero fermarsi e quelli da avviare verrebbero congelati. Anche l’allungamento della scadenza, ora fissata per i condomini al 31 dicembre 2023, è un contentino che sa di presa in giro. Chiunque ha avuto a che fare con la ristrutturazione di un immobile o con le decisioni condominiali, sa bene che due anni in edilizia sono uno spazio temporale brevissimo. A questo si aggiunge la carenza di materie prime e di manodopera, oltre all’impennata dei rincari che rende obsoleti i preventivi nel giro di poche settimane. Mettere altri ostacoli, come interrompere la circolazione dei crediti derivati, non ci voleva.Cosa è accaduto? Siccome all’improvviso gli istituti preposti ai controlli si sono accorti del proliferare delle truffe, ecco che il governo ha pensato, come deterrente, di eliminare le cessioni multiple dei crediti. Il fornitore che fa lo sconto in fattura può cedere il credito solo una volta, mentre il committente che matura il diritto a detrarre può convertire la detrazione in un credito cedibile una sola volta. Questa decisione è piombata mentre era in corso la libera circolazione dei crediti e si stavano sviluppando i contratti. Risultato: blocco delle operazioni. Prima di intraprendere ogni attività di riqualificazione o di reperire nuove commesse, committenti e imprese preferiscono aspettare di vederci chiaro. Ed è il ragionamento che fanno anche le banche che avviano un’analisi dei crediti da acquistare per verificare se ci sono rischi nascosti. I tempi inevitabilmente si allungano.decisioni lumacaIl superbonus 110% inoltre è afflitto dal virus della iperburocrazia. Le tabelle dell’Enea, uno dei controllori insieme all’Agenzia delle entrate, mostrano che da settembre 2020 a oggi è stato completato solo il 69% dei lavori che avevano chiesto il bonus. E delle 95.000 pratiche, solo il 15% era di condomini. I tempi decisionali in un palazzo sono sempre molto lunghi e complicati, ma se ci si mette la burocrazia diventano da lumaca. L’elenco dei documenti da presentare è lunghissimo e fino a poco tempo fa se c’era qualche irregolarità da sanare (il che accade nell’80% degli immobili italiani) non si poteva andare avanti. Ora è possibile affrontare la sanatoria in un secondo momento. Così, sempre dalle tabelle dell’Enea, emerge che dall’estate scorsa a dicembre c’è stata una crescita esponenziale delle pratiche presentate. Su 97.000 progetti, 26.000 sono stati presentati a dicembre. È il segno che quando si snelliscono le norme il mercato risponde bene. Ora però le limitazioni alla cessione dei crediti rischiano di provocare un nuovo blocco. I paletti per evitare le truffe si potevano mettere sin dall’inizio o predisporre un sistema di monitoraggio più capillare. Peraltro i disonesti non si lasceranno scoraggiare dalle nuove limitazioni e troveranno il modo di aggirare l’ostacolo, per esempio cedendo il credito a un intermediario compiacente. Intanto però il resto del settore edile va in lockdown. Si salveranno le imprese molto capitalizzate o liquide, ma uno sguardo ai report delle forze dell’ordine mostra che quando le imprese oneste restano senza soldi, crescono quelle controllate dalla criminalità organizzata. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/cosi-bonus-viene-soltanto-male-2656574377.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-proprietari-puniti-come-sempre" data-post-id="2656574377" data-published-at="1644147114" data-use-pagination="False"> «I proprietari puniti come sempre» Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa (Ansa) All’ultima novità legislativa, il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, «il mercato immobiliare ha reagito malissimo e non poteva essere altrimenti»: lo dice il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. «Riguarda tutti gli incentivi immobiliari. Il solo fatto di cambiare le regole ogni due settimane, spesso retroattivamente, rappresenta un problema enorme per proprietari, amministratori di condominio, professionisti e imprese. Se poi le nuove regole sono sempre più restrittive delle precedenti, il disastro è inevitabile». Quali sono i rischi di questo modo di procedere schizofrenico che non dà certezze? «Più che rischi, ci sono certezze. Una è che le attività si blocchino, come già sta avvenendo, con conseguenze sull’economia. L’altra è che in molti, proprietari inclusi, perderanno denari. Un ulteriore effetto è il sicuro aumento del contenzioso. Se c’è una materia in cui servirebbe una tregua normativa, è proprio quella degli incentivi per gli interventi sugli immobili. Al contrario, ogni due settimane c’è una novità legislativa e ogni giorno almeno una risposta dell’Agenzia delle entrate a un quesito interpretativo». Quanto pesa l’eccesso di burocrazia nella concessione del bonus? «Il sistema previsto prima delle ultime modifiche funzionava, anche se poteva essere migliorato, per esempio reintroducendo la possibilità per il beneficiario di detrarre direttamente il credito in compensazione con le tasse. Se volesse fare qualcosa di utile, il Parlamento dovrebbe cancellare il divieto di ulteriore cessione del credito rispetto alla prima, che limita anche il credito d’imposta, per le locazioni non abitative nel settore turistico, appena rinnovato». Però c’è il problema delle frodi. «Che sono inaccettabili, ma i controlli a monte sono possibili e dovevano essere introdotti da subito. Se, al contrario, l’intento dei divieti fosse quello di arrivare ad affossare l’intero sistema degli incentivi, sarebbe più trasparente dirlo, anziché farlo di nascosto. Norme anti frodi come quelle introdotte con l’ultimo decreto legge e con la legge di bilancio sicuramente complicano la vita al 99% degli operatori onesti, mentre è dubbio se riescano a scoraggiare chi intende fare soldi a spese della collettività». Il settore immobiliare che con le ristrutturazioni poteva acquisire un maggior valore ha perso l’occasione di recupero? «Con gli interventi sugli immobili la crescita è per tutta l’economia, non solo per il settore immobiliare. Così come, di converso, se il comparto immobiliare viene eccessivamente colpito con tasse e soffocato con norme vincolistiche, le conseguenze negative si riverberano sull’intera economia. Il recente rapporto Istat-Bankitalia sulla ricchezza dei settori istituzionali in Italia ha confermato che il valore degli immobili è in calo dal 2012». Casualmente, è il primo anno di applicazione dell’Imu… «Appunto, una patrimoniale da 22 miliardi di euro l’anno. L’ennesima prova, se ancora ve ne fosse bisogno, dei danni che da 10 anni sta provocando questa ipertassazione sul mattone, che il governo vorrebbe addirittura aumentare attraverso la revisione del catasto: lo ha messo nero su bianco nella relazione del Mef che accompagna il disegno di legge delega sulla riforma fiscale. Opportunamente, i tre partiti del centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) hanno chiesto con forza che la parte sul catasto venga stralciata dalla riforma fiscale. Voglio sperare che le divergenze di questi giorni non facciano cambiare idea a qualcuno: le decine di milioni di proprietari di casa se ne ricorderebbero». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/cosi-bonus-viene-soltanto-male-2656574377.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-governo-ha-agito-in-fretta-poi-ci-ha-messo-una-pezza-risultato-imprese-nel-caos" data-post-id="2656574377" data-published-at="1644147114" data-use-pagination="False"> «Il governo ha agito in fretta poi ci ha messo una pezza. Risultato: imprese nel caos» Il membro del Consiglio nazionale degli ingegneri, Remo Giulio Vaudano (YouTube) «Quando ci sono sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, il risultato non può che essere la confusione»: è lo scenario paventato da Remo Giulio Vaudano, membro del Consiglio nazionale degli ingegneri e delegato per il settore energia, impianti e sostenibilità. «L’operazione partita per rilanciare l’economia attraverso un settore chiave come quello dell’edilizia, e di migliorare e rivalutare il patrimonio immobiliare piuttosto vetusto, rischia di trasformarsi in una grande illusione che ha creato tante aspettative destinate a essere deluse». Vuol dire che nella fretta di partire, nonostante le buone intenzioni, è stata partorita una norma incompleta che ora richiede aggiustamenti progressivi? «Guardando all’iter del bonus emerge l’incertezza del legislatore ma anche una serie di resistenze che determinano provvedimenti che si susseguono con l’effetto di un bastone tra le ruote». Quali provvedimenti ostacolano il funzionamento del decreto? «Prendiamo il decreto antifrode. Parte da un principio condivisibile, quello di colpire le operazioni truffaldine. Ma il risultato è che per colpirne alcuni si rischia di introdurre meccanismi che penalizzano la generalità delle imprese». Anche la limitazione della cessione dei crediti? «È qui che volevo arrivare. Il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, finalizzato a porre un freno alle truffe e ai tentativi di riciclaggio emersi a seguito dell’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, sta mettendo gli operatori di fronte a scelte complesse e rischia di bloccare il settore. Mi chiedo se un rischio del genere non poteva essere previsto e contrastato sin dall’inizio, e se non si possono disporre controlli mirati invece di penalizzare tutti come sta accadendo». Quali sono le conseguenze dei limiti alla cessione dei crediti? «Banche e intermediari finanziari si trovano nell’impossibilità di cedere a loro volta i crediti acquistati. Questo paletto ha già fatto aumentare gli oneri che le banche chiedono per la cessione del credito. Abbiamo già notizie di incrementi delle commissioni praticati dalle banche di 3-4 punti. Non voglio colpevolizzare gli istituti di credito che hanno reagito con meccanismi di mercato di fronte alla limitazione della possibilità di commercializzare i crediti d’imposta. E se aumentano le condizioni bancarie, sono penalizzate soprattutto le piccole imprese che praticano lo sconto in fattura ai propri committenti, per poi cedere il credito maturato, a soggetti terzi. Ma non finisce qui. Sta arrivando un’altra modifica». Di cosa si tratta? «Entro il 9 febbraio va emanato un decreto che fisserà i valori massimi per gli importi di alcuni lavori. Oggi i limiti sono calcolati utilizzando i prezzari regionali o altri prezzari ufficiali. Si tratta di capire come sarà il tetto. Il problema grosso è che ogni mese abbiamo una norma che modifica la legge originaria a cui seguono i numerosissimi pareri interpretativi degli enti preposti ai controlli, cioè Enea e Agenzia delle entrate. Questo clima di incertezza legislativa crea affanno e disillusione in chi deve investire. Chi vuole ristrutturare ora ci pensa tre volte perché non ha uno scenario certo davanti a sé. Un condominio ha tempi lunghi di decisione, durante i quali le norme potrebbero cambiare, come in effetti è successo. Per un anno c’è stato il blocco delle assemblee per la pandemia. Chiediamo di avere certezze». Pesa anche l’eccesso di burocrazia? «Direi più l’eccesso normativo. Si ha l’impressione che il legislatore abbia agito di fretta e poi, man mano che sorgevano i problemi ha cercato di farvi fronte con modifiche. Inoltre l’operazione è stata compressa in pochi anni, nonostante la deroga della scadenza per i condomini al 31 dicembre 2023. Meglio sarebbe se il provvedimento diventasse strutturale. Tanto più a fronte del rincaro dei materiali che sta incidendo sui lavori. Si sta creando un effetto imbuto tra maggiori oneri finanziari e aumenti delle materie prime». Il bonus del 110% rischia di essere una bella illusione che si trasforma in delusione? «Non bisogna perdere la fiducia, ma è innegabile che ci sia un po’ di sconforto. La scadenza ravvicinata della fine del bonus ha creato molti problemi, inclusa la difficoltà a reperire gli operatori. E quando la domanda è superiore all’offerta i prezzi salgono. Oggi è difficile trovare un’impresa o un artigiano disponibile. A questo si aggiunge il rincaro delle materie prime per cause internazionali ben note. Se aggiungiamo l’instabilità normativa è lecito temere che il settore possa bloccarsi».
iStock
Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
Continua a leggereRiduci
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
Continua a leggereRiduci
Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
Continua a leggereRiduci