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2022-02-07
Così dal bonus viene soltanto male
Ansa
L’ultima doccia gelata è arrivata un paio di settimane fa. Proprio mentre il settore dell’edilizia non vive la sua stagione migliore, tra rincari e carenza delle materie prime, allungamento dei tempi delle consegne e mancanza di manodopera. L’operazione del bonus 110%, che avrebbe dovuto mettere il turbo alle opere trasformando il Paese in un enorme cantiere, rischia di arenarsi definitivamente e di lasciare con l’amaro in bocca chi aveva sperato in un utile veicolo per rilanciare l’edilizia, ammodernare un patrimonio immobiliare vetusto e di conseguenza dare una spinta all’economia. Non c’è niente da fare. Sembra che il legislatore non riesca fare a meno di mettere i bastoni tra le ruote alle imprese.
Sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, sono un bel record. Ma il problema è uno solo: l’insipienza degli ultimi due governi. I due bonus edilizi più «pesanti», cioè quello per l’efficientamento energetico (110% dell’importo dei lavori recuperabile con crediti cedibili) e quello per le facciate (90%) furono lanciati dal Conte 2. Fin dall’inizio erano appesantiti da pratiche burocratiche, regole poco comprensibili e soprattutto non prevedevano controlli in tempo reale. Inevitabile il proliferare di truffe, che però sono emerse a distanza di mesi e per importi talmente enormi (alcuni miliardi di euro già accertati) che recuperarli appare impresa disperata.
Pare addirittura che la guardia di finanza avesse già pronto il software per individuare le truffe quando il governo approvò il decreto Rilancio. Non si poteva eseguire i controlli prima di concedere i bonus anziché dopo? Ora con la pletora di correzioni alla normativa si tenta di metterci una pezza. Ma se il risultato è bloccare di nuovo l’attività edilizia, la toppa è peggio del buco.
L’ultimo capolavoro di ingegneria legislativa è contenuto nel decreto legge Sostegni ter che ha sancito la fine della libera circolazione dei crediti fiscali. E non è detto che si tratti delle ultime modifiche: per la versione definitiva bisognerà attendere la conversione in legge. Ma di qui ad allora il settore rischia di sprofondare in un limbo. I cantieri aperti potrebbero fermarsi e quelli da avviare verrebbero congelati. Anche l’allungamento della scadenza, ora fissata per i condomini al 31 dicembre 2023, è un contentino che sa di presa in giro. Chiunque ha avuto a che fare con la ristrutturazione di un immobile o con le decisioni condominiali, sa bene che due anni in edilizia sono uno spazio temporale brevissimo. A questo si aggiunge la carenza di materie prime e di manodopera, oltre all’impennata dei rincari che rende obsoleti i preventivi nel giro di poche settimane. Mettere altri ostacoli, come interrompere la circolazione dei crediti derivati, non ci voleva.
Cosa è accaduto? Siccome all’improvviso gli istituti preposti ai controlli si sono accorti del proliferare delle truffe, ecco che il governo ha pensato, come deterrente, di eliminare le cessioni multiple dei crediti. Il fornitore che fa lo sconto in fattura può cedere il credito solo una volta, mentre il committente che matura il diritto a detrarre può convertire la detrazione in un credito cedibile una sola volta. Questa decisione è piombata mentre era in corso la libera circolazione dei crediti e si stavano sviluppando i contratti. Risultato: blocco delle operazioni. Prima di intraprendere ogni attività di riqualificazione o di reperire nuove commesse, committenti e imprese preferiscono aspettare di vederci chiaro. Ed è il ragionamento che fanno anche le banche che avviano un’analisi dei crediti da acquistare per verificare se ci sono rischi nascosti. I tempi inevitabilmente si allungano.
decisioni lumaca
Il superbonus 110% inoltre è afflitto dal virus della iperburocrazia. Le tabelle dell’Enea, uno dei controllori insieme all’Agenzia delle entrate, mostrano che da settembre 2020 a oggi è stato completato solo il 69% dei lavori che avevano chiesto il bonus. E delle 95.000 pratiche, solo il 15% era di condomini. I tempi decisionali in un palazzo sono sempre molto lunghi e complicati, ma se ci si mette la burocrazia diventano da lumaca. L’elenco dei documenti da presentare è lunghissimo e fino a poco tempo fa se c’era qualche irregolarità da sanare (il che accade nell’80% degli immobili italiani) non si poteva andare avanti. Ora è possibile affrontare la sanatoria in un secondo momento. Così, sempre dalle tabelle dell’Enea, emerge che dall’estate scorsa a dicembre c’è stata una crescita esponenziale delle pratiche presentate. Su 97.000 progetti, 26.000 sono stati presentati a dicembre. È il segno che quando si snelliscono le norme il mercato risponde bene. Ora però le limitazioni alla cessione dei crediti rischiano di provocare un nuovo blocco.
I paletti per evitare le truffe si potevano mettere sin dall’inizio o predisporre un sistema di monitoraggio più capillare. Peraltro i disonesti non si lasceranno scoraggiare dalle nuove limitazioni e troveranno il modo di aggirare l’ostacolo, per esempio cedendo il credito a un intermediario compiacente. Intanto però il resto del settore edile va in lockdown. Si salveranno le imprese molto capitalizzate o liquide, ma uno sguardo ai report delle forze dell’ordine mostra che quando le imprese oneste restano senza soldi, crescono quelle controllate dalla criminalità organizzata.
«I proprietari puniti come sempre»

Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa (Ansa)
All’ultima novità legislativa, il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, «il mercato immobiliare ha reagito malissimo e non poteva essere altrimenti»: lo dice il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. «Riguarda tutti gli incentivi immobiliari. Il solo fatto di cambiare le regole ogni due settimane, spesso retroattivamente, rappresenta un problema enorme per proprietari, amministratori di condominio, professionisti e imprese. Se poi le nuove regole sono sempre più restrittive delle precedenti, il disastro è inevitabile».
Quali sono i rischi di questo modo di procedere schizofrenico che non dà certezze?
«Più che rischi, ci sono certezze. Una è che le attività si blocchino, come già sta avvenendo, con conseguenze sull’economia. L’altra è che in molti, proprietari inclusi, perderanno denari. Un ulteriore effetto è il sicuro aumento del contenzioso. Se c’è una materia in cui servirebbe una tregua normativa, è proprio quella degli incentivi per gli interventi sugli immobili. Al contrario, ogni due settimane c’è una novità legislativa e ogni giorno almeno una risposta dell’Agenzia delle entrate a un quesito interpretativo».
Quanto pesa l’eccesso di burocrazia nella concessione del bonus?
«Il sistema previsto prima delle ultime modifiche funzionava, anche se poteva essere migliorato, per esempio reintroducendo la possibilità per il beneficiario di detrarre direttamente il credito in compensazione con le tasse. Se volesse fare qualcosa di utile, il Parlamento dovrebbe cancellare il divieto di ulteriore cessione del credito rispetto alla prima, che limita anche il credito d’imposta, per le locazioni non abitative nel settore turistico, appena rinnovato».
Però c’è il problema delle frodi.
«Che sono inaccettabili, ma i controlli a monte sono possibili e dovevano essere introdotti da subito. Se, al contrario, l’intento dei divieti fosse quello di arrivare ad affossare l’intero sistema degli incentivi, sarebbe più trasparente dirlo, anziché farlo di nascosto. Norme anti frodi come quelle introdotte con l’ultimo decreto legge e con la legge di bilancio sicuramente complicano la vita al 99% degli operatori onesti, mentre è dubbio se riescano a scoraggiare chi intende fare soldi a spese della collettività».
Il settore immobiliare che con le ristrutturazioni poteva acquisire un maggior valore ha perso l’occasione di recupero?
«Con gli interventi sugli immobili la crescita è per tutta l’economia, non solo per il settore immobiliare. Così come, di converso, se il comparto immobiliare viene eccessivamente colpito con tasse e soffocato con norme vincolistiche, le conseguenze negative si riverberano sull’intera economia. Il recente rapporto Istat-Bankitalia sulla ricchezza dei settori istituzionali in Italia ha confermato che il valore degli immobili è in calo dal 2012».
Casualmente, è il primo anno di applicazione dell’Imu…
«Appunto, una patrimoniale da 22 miliardi di euro l’anno. L’ennesima prova, se ancora ve ne fosse bisogno, dei danni che da 10 anni sta provocando questa ipertassazione sul mattone, che il governo vorrebbe addirittura aumentare attraverso la revisione del catasto: lo ha messo nero su bianco nella relazione del Mef che accompagna il disegno di legge delega sulla riforma fiscale. Opportunamente, i tre partiti del centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) hanno chiesto con forza che la parte sul catasto venga stralciata dalla riforma fiscale. Voglio sperare che le divergenze di questi giorni non facciano cambiare idea a qualcuno: le decine di milioni di proprietari di casa se ne ricorderebbero».
«Il governo ha agito in fretta poi ci ha messo una pezza. Risultato: imprese nel caos»

Il membro del Consiglio nazionale degli ingegneri, Remo Giulio Vaudano (YouTube)
«Quando ci sono sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, il risultato non può che essere la confusione»: è lo scenario paventato da Remo Giulio Vaudano, membro del Consiglio nazionale degli ingegneri e delegato per il settore energia, impianti e sostenibilità. «L’operazione partita per rilanciare l’economia attraverso un settore chiave come quello dell’edilizia, e di migliorare e rivalutare il patrimonio immobiliare piuttosto vetusto, rischia di trasformarsi in una grande illusione che ha creato tante aspettative destinate a essere deluse».
Vuol dire che nella fretta di partire, nonostante le buone intenzioni, è stata partorita una norma incompleta che ora richiede aggiustamenti progressivi?
«Guardando all’iter del bonus emerge l’incertezza del legislatore ma anche una serie di resistenze che determinano provvedimenti che si susseguono con l’effetto di un bastone tra le ruote».
Quali provvedimenti ostacolano il funzionamento del decreto?
«Prendiamo il decreto antifrode. Parte da un principio condivisibile, quello di colpire le operazioni truffaldine. Ma il risultato è che per colpirne alcuni si rischia di introdurre meccanismi che penalizzano la generalità delle imprese».
Anche la limitazione della cessione dei crediti?
«È qui che volevo arrivare. Il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, finalizzato a porre un freno alle truffe e ai tentativi di riciclaggio emersi a seguito dell’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, sta mettendo gli operatori di fronte a scelte complesse e rischia di bloccare il settore. Mi chiedo se un rischio del genere non poteva essere previsto e contrastato sin dall’inizio, e se non si possono disporre controlli mirati invece di penalizzare tutti come sta accadendo».
Quali sono le conseguenze dei limiti alla cessione dei crediti?
«Banche e intermediari finanziari si trovano nell’impossibilità di cedere a loro volta i crediti acquistati. Questo paletto ha già fatto aumentare gli oneri che le banche chiedono per la cessione del credito. Abbiamo già notizie di incrementi delle commissioni praticati dalle banche di 3-4 punti. Non voglio colpevolizzare gli istituti di credito che hanno reagito con meccanismi di mercato di fronte alla limitazione della possibilità di commercializzare i crediti d’imposta. E se aumentano le condizioni bancarie, sono penalizzate soprattutto le piccole imprese che praticano lo sconto in fattura ai propri committenti, per poi cedere il credito maturato, a soggetti terzi. Ma non finisce qui. Sta arrivando un’altra modifica».
Di cosa si tratta?
«Entro il 9 febbraio va emanato un decreto che fisserà i valori massimi per gli importi di alcuni lavori. Oggi i limiti sono calcolati utilizzando i prezzari regionali o altri prezzari ufficiali. Si tratta di capire come sarà il tetto. Il problema grosso è che ogni mese abbiamo una norma che modifica la legge originaria a cui seguono i numerosissimi pareri interpretativi degli enti preposti ai controlli, cioè Enea e Agenzia delle entrate. Questo clima di incertezza legislativa crea affanno e disillusione in chi deve investire. Chi vuole ristrutturare ora ci pensa tre volte perché non ha uno scenario certo davanti a sé. Un condominio ha tempi lunghi di decisione, durante i quali le norme potrebbero cambiare, come in effetti è successo. Per un anno c’è stato il blocco delle assemblee per la pandemia. Chiediamo di avere certezze».
Pesa anche l’eccesso di burocrazia?
«Direi più l’eccesso normativo. Si ha l’impressione che il legislatore abbia agito di fretta e poi, man mano che sorgevano i problemi ha cercato di farvi fronte con modifiche. Inoltre l’operazione è stata compressa in pochi anni, nonostante la deroga della scadenza per i condomini al 31 dicembre 2023. Meglio sarebbe se il provvedimento diventasse strutturale. Tanto più a fronte del rincaro dei materiali che sta incidendo sui lavori. Si sta creando un effetto imbuto tra maggiori oneri finanziari e aumenti delle materie prime».
Il bonus del 110% rischia di essere una bella illusione che si trasforma in delusione?
«Non bisogna perdere la fiducia, ma è innegabile che ci sia un po’ di sconforto. La scadenza ravvicinata della fine del bonus ha creato molti problemi, inclusa la difficoltà a reperire gli operatori. E quando la domanda è superiore all’offerta i prezzi salgono. Oggi è difficile trovare un’impresa o un artigiano disponibile. A questo si aggiunge il rincaro delle materie prime per cause internazionali ben note. Se aggiungiamo l’instabilità normativa è lecito temere che il settore possa bloccarsi».
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Intoppi burocratici, abusi favoriti dai mancati controlli, continue modifiche alle norme per tentare di correggere le storture. Gli incentivi dovevano rilanciare l’edilizia. Invece la affossano.Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa: «Molti perderanno gli anticipi e aumenterà il contenzioso. Le frodi sono inaccettabili ma le verifiche dovevano partire subito, non dopo due anni».Il delegato del Consiglio degli ingegneri, Remo Giulio Vaudano: «La raffica di novità legislative ha l’effetto di bastoni tra le ruote per le ditte oneste. La limitazione ai crediti è il colpo di grazia».Lo speciale contiene tre articoli.L’ultima doccia gelata è arrivata un paio di settimane fa. Proprio mentre il settore dell’edilizia non vive la sua stagione migliore, tra rincari e carenza delle materie prime, allungamento dei tempi delle consegne e mancanza di manodopera. L’operazione del bonus 110%, che avrebbe dovuto mettere il turbo alle opere trasformando il Paese in un enorme cantiere, rischia di arenarsi definitivamente e di lasciare con l’amaro in bocca chi aveva sperato in un utile veicolo per rilanciare l’edilizia, ammodernare un patrimonio immobiliare vetusto e di conseguenza dare una spinta all’economia. Non c’è niente da fare. Sembra che il legislatore non riesca fare a meno di mettere i bastoni tra le ruote alle imprese. Sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, sono un bel record. Ma il problema è uno solo: l’insipienza degli ultimi due governi. I due bonus edilizi più «pesanti», cioè quello per l’efficientamento energetico (110% dell’importo dei lavori recuperabile con crediti cedibili) e quello per le facciate (90%) furono lanciati dal Conte 2. Fin dall’inizio erano appesantiti da pratiche burocratiche, regole poco comprensibili e soprattutto non prevedevano controlli in tempo reale. Inevitabile il proliferare di truffe, che però sono emerse a distanza di mesi e per importi talmente enormi (alcuni miliardi di euro già accertati) che recuperarli appare impresa disperata.Pare addirittura che la guardia di finanza avesse già pronto il software per individuare le truffe quando il governo approvò il decreto Rilancio. Non si poteva eseguire i controlli prima di concedere i bonus anziché dopo? Ora con la pletora di correzioni alla normativa si tenta di metterci una pezza. Ma se il risultato è bloccare di nuovo l’attività edilizia, la toppa è peggio del buco.L’ultimo capolavoro di ingegneria legislativa è contenuto nel decreto legge Sostegni ter che ha sancito la fine della libera circolazione dei crediti fiscali. E non è detto che si tratti delle ultime modifiche: per la versione definitiva bisognerà attendere la conversione in legge. Ma di qui ad allora il settore rischia di sprofondare in un limbo. I cantieri aperti potrebbero fermarsi e quelli da avviare verrebbero congelati. Anche l’allungamento della scadenza, ora fissata per i condomini al 31 dicembre 2023, è un contentino che sa di presa in giro. Chiunque ha avuto a che fare con la ristrutturazione di un immobile o con le decisioni condominiali, sa bene che due anni in edilizia sono uno spazio temporale brevissimo. A questo si aggiunge la carenza di materie prime e di manodopera, oltre all’impennata dei rincari che rende obsoleti i preventivi nel giro di poche settimane. Mettere altri ostacoli, come interrompere la circolazione dei crediti derivati, non ci voleva.Cosa è accaduto? Siccome all’improvviso gli istituti preposti ai controlli si sono accorti del proliferare delle truffe, ecco che il governo ha pensato, come deterrente, di eliminare le cessioni multiple dei crediti. Il fornitore che fa lo sconto in fattura può cedere il credito solo una volta, mentre il committente che matura il diritto a detrarre può convertire la detrazione in un credito cedibile una sola volta. Questa decisione è piombata mentre era in corso la libera circolazione dei crediti e si stavano sviluppando i contratti. Risultato: blocco delle operazioni. Prima di intraprendere ogni attività di riqualificazione o di reperire nuove commesse, committenti e imprese preferiscono aspettare di vederci chiaro. Ed è il ragionamento che fanno anche le banche che avviano un’analisi dei crediti da acquistare per verificare se ci sono rischi nascosti. I tempi inevitabilmente si allungano.decisioni lumacaIl superbonus 110% inoltre è afflitto dal virus della iperburocrazia. Le tabelle dell’Enea, uno dei controllori insieme all’Agenzia delle entrate, mostrano che da settembre 2020 a oggi è stato completato solo il 69% dei lavori che avevano chiesto il bonus. E delle 95.000 pratiche, solo il 15% era di condomini. I tempi decisionali in un palazzo sono sempre molto lunghi e complicati, ma se ci si mette la burocrazia diventano da lumaca. L’elenco dei documenti da presentare è lunghissimo e fino a poco tempo fa se c’era qualche irregolarità da sanare (il che accade nell’80% degli immobili italiani) non si poteva andare avanti. Ora è possibile affrontare la sanatoria in un secondo momento. Così, sempre dalle tabelle dell’Enea, emerge che dall’estate scorsa a dicembre c’è stata una crescita esponenziale delle pratiche presentate. Su 97.000 progetti, 26.000 sono stati presentati a dicembre. È il segno che quando si snelliscono le norme il mercato risponde bene. Ora però le limitazioni alla cessione dei crediti rischiano di provocare un nuovo blocco. I paletti per evitare le truffe si potevano mettere sin dall’inizio o predisporre un sistema di monitoraggio più capillare. Peraltro i disonesti non si lasceranno scoraggiare dalle nuove limitazioni e troveranno il modo di aggirare l’ostacolo, per esempio cedendo il credito a un intermediario compiacente. Intanto però il resto del settore edile va in lockdown. Si salveranno le imprese molto capitalizzate o liquide, ma uno sguardo ai report delle forze dell’ordine mostra che quando le imprese oneste restano senza soldi, crescono quelle controllate dalla criminalità organizzata. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/cosi-bonus-viene-soltanto-male-2656574377.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-proprietari-puniti-come-sempre" data-post-id="2656574377" data-published-at="1644147114" data-use-pagination="False"> «I proprietari puniti come sempre» Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa (Ansa) All’ultima novità legislativa, il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, «il mercato immobiliare ha reagito malissimo e non poteva essere altrimenti»: lo dice il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. «Riguarda tutti gli incentivi immobiliari. Il solo fatto di cambiare le regole ogni due settimane, spesso retroattivamente, rappresenta un problema enorme per proprietari, amministratori di condominio, professionisti e imprese. Se poi le nuove regole sono sempre più restrittive delle precedenti, il disastro è inevitabile». Quali sono i rischi di questo modo di procedere schizofrenico che non dà certezze? «Più che rischi, ci sono certezze. Una è che le attività si blocchino, come già sta avvenendo, con conseguenze sull’economia. L’altra è che in molti, proprietari inclusi, perderanno denari. Un ulteriore effetto è il sicuro aumento del contenzioso. Se c’è una materia in cui servirebbe una tregua normativa, è proprio quella degli incentivi per gli interventi sugli immobili. Al contrario, ogni due settimane c’è una novità legislativa e ogni giorno almeno una risposta dell’Agenzia delle entrate a un quesito interpretativo». Quanto pesa l’eccesso di burocrazia nella concessione del bonus? «Il sistema previsto prima delle ultime modifiche funzionava, anche se poteva essere migliorato, per esempio reintroducendo la possibilità per il beneficiario di detrarre direttamente il credito in compensazione con le tasse. Se volesse fare qualcosa di utile, il Parlamento dovrebbe cancellare il divieto di ulteriore cessione del credito rispetto alla prima, che limita anche il credito d’imposta, per le locazioni non abitative nel settore turistico, appena rinnovato». Però c’è il problema delle frodi. «Che sono inaccettabili, ma i controlli a monte sono possibili e dovevano essere introdotti da subito. Se, al contrario, l’intento dei divieti fosse quello di arrivare ad affossare l’intero sistema degli incentivi, sarebbe più trasparente dirlo, anziché farlo di nascosto. Norme anti frodi come quelle introdotte con l’ultimo decreto legge e con la legge di bilancio sicuramente complicano la vita al 99% degli operatori onesti, mentre è dubbio se riescano a scoraggiare chi intende fare soldi a spese della collettività». Il settore immobiliare che con le ristrutturazioni poteva acquisire un maggior valore ha perso l’occasione di recupero? «Con gli interventi sugli immobili la crescita è per tutta l’economia, non solo per il settore immobiliare. Così come, di converso, se il comparto immobiliare viene eccessivamente colpito con tasse e soffocato con norme vincolistiche, le conseguenze negative si riverberano sull’intera economia. Il recente rapporto Istat-Bankitalia sulla ricchezza dei settori istituzionali in Italia ha confermato che il valore degli immobili è in calo dal 2012». Casualmente, è il primo anno di applicazione dell’Imu… «Appunto, una patrimoniale da 22 miliardi di euro l’anno. L’ennesima prova, se ancora ve ne fosse bisogno, dei danni che da 10 anni sta provocando questa ipertassazione sul mattone, che il governo vorrebbe addirittura aumentare attraverso la revisione del catasto: lo ha messo nero su bianco nella relazione del Mef che accompagna il disegno di legge delega sulla riforma fiscale. Opportunamente, i tre partiti del centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia) hanno chiesto con forza che la parte sul catasto venga stralciata dalla riforma fiscale. Voglio sperare che le divergenze di questi giorni non facciano cambiare idea a qualcuno: le decine di milioni di proprietari di casa se ne ricorderebbero». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/cosi-bonus-viene-soltanto-male-2656574377.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-governo-ha-agito-in-fretta-poi-ci-ha-messo-una-pezza-risultato-imprese-nel-caos" data-post-id="2656574377" data-published-at="1644147114" data-use-pagination="False"> «Il governo ha agito in fretta poi ci ha messo una pezza. Risultato: imprese nel caos» Il membro del Consiglio nazionale degli ingegneri, Remo Giulio Vaudano (YouTube) «Quando ci sono sette modifiche alla norma primaria nell’arco di 20 mesi, il risultato non può che essere la confusione»: è lo scenario paventato da Remo Giulio Vaudano, membro del Consiglio nazionale degli ingegneri e delegato per il settore energia, impianti e sostenibilità. «L’operazione partita per rilanciare l’economia attraverso un settore chiave come quello dell’edilizia, e di migliorare e rivalutare il patrimonio immobiliare piuttosto vetusto, rischia di trasformarsi in una grande illusione che ha creato tante aspettative destinate a essere deluse». Vuol dire che nella fretta di partire, nonostante le buone intenzioni, è stata partorita una norma incompleta che ora richiede aggiustamenti progressivi? «Guardando all’iter del bonus emerge l’incertezza del legislatore ma anche una serie di resistenze che determinano provvedimenti che si susseguono con l’effetto di un bastone tra le ruote». Quali provvedimenti ostacolano il funzionamento del decreto? «Prendiamo il decreto antifrode. Parte da un principio condivisibile, quello di colpire le operazioni truffaldine. Ma il risultato è che per colpirne alcuni si rischia di introdurre meccanismi che penalizzano la generalità delle imprese». Anche la limitazione della cessione dei crediti? «È qui che volevo arrivare. Il divieto di cedere i crediti d’imposta più di una volta, finalizzato a porre un freno alle truffe e ai tentativi di riciclaggio emersi a seguito dell’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, sta mettendo gli operatori di fronte a scelte complesse e rischia di bloccare il settore. Mi chiedo se un rischio del genere non poteva essere previsto e contrastato sin dall’inizio, e se non si possono disporre controlli mirati invece di penalizzare tutti come sta accadendo». Quali sono le conseguenze dei limiti alla cessione dei crediti? «Banche e intermediari finanziari si trovano nell’impossibilità di cedere a loro volta i crediti acquistati. Questo paletto ha già fatto aumentare gli oneri che le banche chiedono per la cessione del credito. Abbiamo già notizie di incrementi delle commissioni praticati dalle banche di 3-4 punti. Non voglio colpevolizzare gli istituti di credito che hanno reagito con meccanismi di mercato di fronte alla limitazione della possibilità di commercializzare i crediti d’imposta. E se aumentano le condizioni bancarie, sono penalizzate soprattutto le piccole imprese che praticano lo sconto in fattura ai propri committenti, per poi cedere il credito maturato, a soggetti terzi. Ma non finisce qui. Sta arrivando un’altra modifica». Di cosa si tratta? «Entro il 9 febbraio va emanato un decreto che fisserà i valori massimi per gli importi di alcuni lavori. Oggi i limiti sono calcolati utilizzando i prezzari regionali o altri prezzari ufficiali. Si tratta di capire come sarà il tetto. Il problema grosso è che ogni mese abbiamo una norma che modifica la legge originaria a cui seguono i numerosissimi pareri interpretativi degli enti preposti ai controlli, cioè Enea e Agenzia delle entrate. Questo clima di incertezza legislativa crea affanno e disillusione in chi deve investire. Chi vuole ristrutturare ora ci pensa tre volte perché non ha uno scenario certo davanti a sé. Un condominio ha tempi lunghi di decisione, durante i quali le norme potrebbero cambiare, come in effetti è successo. Per un anno c’è stato il blocco delle assemblee per la pandemia. Chiediamo di avere certezze». Pesa anche l’eccesso di burocrazia? «Direi più l’eccesso normativo. Si ha l’impressione che il legislatore abbia agito di fretta e poi, man mano che sorgevano i problemi ha cercato di farvi fronte con modifiche. Inoltre l’operazione è stata compressa in pochi anni, nonostante la deroga della scadenza per i condomini al 31 dicembre 2023. Meglio sarebbe se il provvedimento diventasse strutturale. Tanto più a fronte del rincaro dei materiali che sta incidendo sui lavori. Si sta creando un effetto imbuto tra maggiori oneri finanziari e aumenti delle materie prime». Il bonus del 110% rischia di essere una bella illusione che si trasforma in delusione? «Non bisogna perdere la fiducia, ma è innegabile che ci sia un po’ di sconforto. La scadenza ravvicinata della fine del bonus ha creato molti problemi, inclusa la difficoltà a reperire gli operatori. E quando la domanda è superiore all’offerta i prezzi salgono. Oggi è difficile trovare un’impresa o un artigiano disponibile. A questo si aggiunge il rincaro delle materie prime per cause internazionali ben note. Se aggiungiamo l’instabilità normativa è lecito temere che il settore possa bloccarsi».
Secondo i calcoli di Facile.it, il 2025 si chiuderà con un calo di circa 50 euro per la rata mensile di un mutuo variabile standard, scesa da 666 euro di inizio anno a circa 617 euro. Un movimento coerente con il progressivo rientro delle componenti di costo indicizzate (Euribor) e con l’aspettativa di stabilizzazione di breve periodo.
Sul versante dei mutui a tasso fisso, il 2025 è stato invece caratterizzato da un lieve aumento dei costi per i nuovi mutuatari, in larga parte legato alla risalita dell’indice IRS (il riferimento tipico per i fissi). A gennaio 2025 l’IRS a 25 anni è stato in media pari a 2,4%; nell’ultimo mese è arrivato al 3,1%. L’effetto, almeno parziale, si è trasferito sulle nuove offerte: per un finanziamento standard la rata risulta oggi più alta di circa 40 euro rispetto a inizio anno.
«Il 2025 è stato un anno positivo sul fronte dei tassi dei mutui: i variabili sono scesi a seguito dei tagli della Bce, mentre i fissi, seppur in lieve aumento, offrono comunque buone condizioni per chi vuole tutelarsi da possibili futuri aumenti di rata. Oggi, quindi, l’aspirante mutuatario può godere di un’ampia offerta di soluzioni: scegliere il tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», spiegano gli esperti di Facile.it
Guardando in avanti, un’indicazione operativa sui variabili arriva dai Futures sugli Euribor (aggiornati al 10 dicembre 2025): per il 2026 non vengono prezzate grandi variazioni. L’Euribor a 3 mesi, oggi sotto il 2,1%, è atteso su livelli simili anche nel prossimo anno.
«In questo momento il mercato non prevede ulteriori tagli da parte della BCE nel 2026 e al netto di qualche piccola oscillazione al rialzo verso fine anno, nei prossimi 12 mesi le rate dovrebbero rimanere tendenzialmente stabili», continuano gli esperti di Facile.it
Lo snodo resta l’inflazione: se dovesse tornare ad accelerare, non si potrebbero escludere nuove mosse restrittive della Bce, con un impatto immediato sugli indici e quindi sulle rate dei variabili. Più difficile, invece, «leggere» i fissi: finché i rendimenti dei titoli europei resteranno in salita, è complicato immaginare una traiettoria diversa per gli Irs e, a cascata, per i mutui collegati.
Per chi deve scegliere adesso, lo scenario è nettamente diverso rispetto a inizio anno. Nel 2025, il tasso variabile è tornato mediamente più conveniente. Secondo l’analisi** di Facile.it sulle migliori offerte online, per un mutuo da 126.000 euro in 25 anni (LTV 70%) i variabili partono da un TAN del 2,54%, con rata di 554,5 euro. A parità di profilo, i fissi partono da un TAN del 3,10%, con rata di 604 euro: circa 50 euro in più al mese.
«Scegliere oggi un tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», concludono gli esperti di Facile.it.
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Brahim Diaz esulta dopo aver segnato un gol durante la partita inaugurale della 35ª Coppa d'Africa tra Marocco e Comore allo stadio Prince Moulay Abdellah di Rabat (Getty Images)
Serve a spostare l’immaginario: non più periferia, non più frontiera, ma piattaforma. Il governo marocchino non lo nasconde. «La Coppa d’Africa è una prova generale per il Mondiale 2030 e un simbolo della nostra capacità di organizzare eventi globali con standard elevati», ha dichiarato recentemente un portavoce del governo di Rabat, sottolineando l’utilizzo dello sport come leva di soft power e di consolidamento di immagine internazionale. Il re Mohammed VI ha insistito pubblicamente sul ruolo dello sport come strumento di dialogo e cooperazione regionale, definendo iniziative come Afcon e il Mondiale 2030 parte integrante della «strategia marocchina di apertura e modernizzazione». Questa visione è stata ripresa anche dai media di Stato come elemento di legittimazione politica e di promozione dell’identità nazionale. I numeri aiutano a capire la traiettoria. Il Marocco conta oggi circa 37 milioni di abitanti e una crescita demografica relativamente contenuta dell’1 per cento annuo circa, molto più bassa rispetto a molte economie subsahariane.
Questo rallentamento demografico consente una pianificazione a medio-lungo termine più sostenibile. Sul piano economico, il pil ha superato i 140 miliardi di dollari nel 2023, con un pil pro capite attorno ai 3.700 dollari, superiore a molti Paesi dell’Africa subsahariana e stabile negli ultimi anni. Il calcio entra qui. La Coppa d’Africa diventa una vetrina perché cade in un momento preciso. Il Paese è nel pieno di un ciclo di investimenti pubblici legati a grandi eventi. Strade, aeroporti, linee ferroviarie ad alta velocità, stadi. Secondo stime ufficiali, tra infrastrutture sportive e opere collegate il Marocco ha messo sul piatto investimenti nell’ordine di oltre 21 miliardi di dirham — quasi 2 miliardi di euro — per modernizzare stadi e città in vista di Afcon 2025 e del Mondiale 2030. Questa spinta è percepita anche a livello diplomatico.
Nel corso degli ultimi anni Rabat ha promosso nuove alleanze economiche in Africa occidentale, con piani di investimento in energia, telecomunicazioni e infrastrutture. La Coppa d’Africa è intesa come un elemento di “soft power” che attraversa i confini: non solo uno spettacolo sportivo, ma un’occasione per creare reti di relazioni, far visita a delegazioni internazionali e mostrare un’immagine di stabilità e apertura. Il messaggio è rivolto prima di tutto al continente africano. Il Marocco si propone come modello alternativo: africano per storia e geografia, ma sempre più occidentale per governance, modelli economici e partner strategici. “Lo sport è parte integrante della nostra politica estera e interna”, ha detto un consigliere politico marocchino parlando della Coppa d’Africa come di un evento che rafforza l’influenza regionale di Rabat. La Coppa d’Africa serve anche a rafforzare una narrativa interna. Il Paese viene da anni di riforme graduali, non sempre popolari, tra cui la promozione di miglioramenti nei servizi pubblici. Il consenso passa anche dalla capacità di offrire orgoglio nazionale e visibilità internazionale.
Dopo il quarto posto al Mondiale 2022, la nazionale è diventata un moltiplicatore emotivo, un simbolo di successo collettivo. Ma non mancano le critiche. In un anno segnato da proteste giovanili e richieste di maggiori investimenti in sanità ed educazione, alcuni osservatori ricordano che infrastrutture sportive e servizi sociali competono per risorse limitate. «Vogliamo ospedali, non stadi» è stato lo slogan di manifestazioni che hanno investito diverse città marocchine nei mesi scorsi, sottolineando il rischio di disallineamento tra spesa per eventi e bisogni sociali. Nel contesto internazionale il torneo assume un ulteriore significato. La Coppa d’Africa 2025 arriva pochi anni prima del Mondiale 2030, che il Marocco ospiterà insieme a Spagna e Portogallo. Non come semplice partecipante, ma come Paese co-organizzatore, una delle prime volte che un Paese africano riveste questo ruolo congiunto nel calcio globale. Il Marocco conta di vincere la Coppa D'Africa. Il risultato sportivo conterà. Ma conterà meno del messaggio lasciato. Rabat vuole usare il calcio per ribadire che il centro può spostarsi, che l’Africa non è solo luogo di risorse e problemi, ma anche piattaforma, regia e snodo geopolitico. E nel 2030, quando il mondo guarderà lo stesso pallone rimbalzare tra Europa e Africa, quella storia sarà già stata scritta.
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Chen Zhi
Dall’immobiliare al fintech, fino al cuore delle truffe online: a 37 anni il fondatore del Prince Group è accusato da Stati Uniti e Regno Unito di aver costruito dalla Cambogia un impero criminale basato su frodi digitali, riciclaggio e sfruttamento di manodopera. Tra cittadinanze comprate, rapporti con il potere politico e miliardi congelati in criptovalute, il ritratto di un magnate oggi scomparso dai radar.
A trentasette anni appena compiuti, Chen Zhi viene indicato dagli inquirenti come l’architetto occulto di una gigantesca macchina di frodi digitali, descritta come un sistema criminale costruito sullo sfruttamento sistematico delle vittime. L’aspetto giovanile, il volto quasi infantile e la barba curata contrastano con l’immagine dell’uomo che, in pochissimo tempo, avrebbe accumulato una ricchezza smisurata. Nell’ottobre scorso il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti lo ha formalmente incriminato, accusandolo di aver orchestrato dalla Cambogia un colossale schema di truffe in criptovalute, capace di sottrarre miliardi di dollari a persone sparse in tutto il mondo. Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro americano ha annunciato il sequestro di circa 14 miliardi di dollari in bitcoin riconducibili, secondo le autorità, alla sua rete: il più imponente congelamento di asset digitali mai registrato. Sul sito ufficiale del suo conglomerato, la Cambodian Prince Group, Chen Zhi viene presentato come un imprenditore rispettato e un benefattore di primo piano, capace di trasformare l’azienda in uno dei gruppi più influenti del Paese, allineato – si legge – ai parametri internazionali. Interpellata per un commento, la società non ha rilasciato dichiarazioni. Resta dunque aperta la domanda centrale: chi è davvero Chen Zhi, l’uomo che secondo le accuse avrebbe costruito un impero fondato sulle truffe online?
Originario della provincia cinese del Fujian, nella parte sud-orientale del Paese, Chen Zhi avrebbe mosso i primi passi imprenditoriali nel settore dei giochi online, con risultati tutt’altro che eclatanti. Tra il 2010 e il 2011 si trasferì in Cambogia, inserendosi in un mercato immobiliare allora in piena ebollizione. Il suo arrivo coincise con l’esplosione di una bolla speculativa alimentata dall’afflusso di capitali cinesi e dalla disponibilità di ampie porzioni di territorio sottratte alle comunità locali e finite nelle mani di figure politicamente ben introdotte. Una parte consistente di quei fondi derivava dall’espansione internazionale dei progetti infrastrutturali cinesi legati alla Belt and Road Initiative, mentre altri capitali provenivano da investitori privati alla ricerca di sbocchi meno costosi rispetto al mercato immobiliare cinese, ormai surriscaldato. A questo si aggiunse l’aumento vertiginoso del turismo proveniente dalla Cina.
Phnom Penh cambiò volto in pochi anni: il profilo urbano, un tempo dominato da edifici coloniali bassi e color ocra, lasciò spazio a una distesa di torri in vetro e acciaio. Ancora più drastica fu la metamorfosi di Sihanoukville, ex località balneare tranquilla, trasformata in un polo di casinò, hotel di lusso e complessi residenziali. Qui confluirono non solo turisti e investitori, ma anche giocatori d’azzardo, spinti dal divieto di gioco vigente in Cina. In questo contesto, la rapida ascesa di Chen Zhi apparve fuori scala. Nel 2014 ottenne la cittadinanza cambogiana, rinunciando a quella cinese, un passaggio che gli consentì di intestarsi direttamente terreni e proprietà, a fronte di un contributo minimo di 250 mila dollari allo Stato. L’origine dei suoi capitali rimase però opaca. Nel 2019, aprendo un conto bancario sull’Isola di Man, dichiarò di aver ricevuto due milioni di dollari da uno zio non meglio identificato per avviare la sua prima operazione immobiliare. Nessuna prova documentale è mai emersa a sostegno di questa versione.
Il Prince Group nacque ufficialmente nel 2015, quando Chen Zhi aveva soltanto 27 anni, con un focus iniziale sul real estate. Tre anni dopo ottenne una licenza bancaria per creare la Prince Bank. Nello stesso periodo acquisì la cittadinanza cipriota, in cambio di un investimento di almeno 2,5 milioni di dollari, aprendo così le porte dell’Unione Europea. Successivamente ottenne anche il passaporto di Vanuatu. Nel giro di pochi anni il gruppo si espanse in settori sempre più diversi: compagnie aeree, centri commerciali di fascia alta, hotel a cinque stelle e progetti faraonici come la cosiddetta “Baia delle Luci”, una eco-città dal valore stimato di 16 miliardi di dollari. Nel 2020 Chen Zhi ha ricevuto dal sovrano cambogiano il titolo onorifico di “Neak Oknha”, il più elevato riconoscimento del Paese, riservato a chi effettua donazioni significative al governo.
In quella fase, ha consolidato relazioni politiche di altissimo livello: consigliere del ministro dell’Interno Sar Kheng, partner d’affari del figlio Sar Sokha, e collaboratore diretto di Hun Sen e, successivamente, di Hun Manet dopo la sua ascesa alla guida del governo nel 2023. I media locali lo hanno celebrato come mecenate, lodando il finanziamento di borse di studio e le donazioni durante l’emergenza Covid. Nonostante ciò, Chen Zhi è rimasto una figura schiva, poco incline alle apparizioni pubbliche. Secondo il giornalista Jack Adamovic Davies, autore di una lunga inchiesta su di lui, chi lo ha incontrato lo descrive come una persona pacata, educata e capace di esercitare un’autorità silenziosa. Una discrezione che, col senno di poi, potrebbe aver contribuito a schermarlo da attenzioni indesiderate. Il punto di svolta arriva nel 2019, con il crollo della bolla immobiliare a Sihanoukville. Il settore del gioco d’azzardo online attirò organizzazioni criminali cinesi, scatenando violenti conflitti tra bande e allontanando i turisti. Sotto la pressione di Pechino, il governo cambogiano vietò il gioco online nell’agosto di quell’anno. Centinaia di migliaia di cittadini cinesi lasciarono la città, e interi complessi residenziali rimasero vuoti. Eppure, nonostante il tracollo, Chen Zhi ha continuato ad comprare beni di lusso e a espandere il proprio raggio d’azione. Secondo le autorità occidentali, avrebbe investito decine di milioni in immobili a Londra, New York, jet privati, yacht e opere d’arte, tra cui un dipinto attribuito a Picasso.
Per Stati Uniti e Regno Unito, l’origine di questa ricchezza risiede nell’industria criminale più redditizia dell’Asia contemporanea: la frode online, alimentata da traffico di esseri umani e sofisticati sistemi di riciclaggio. Le sanzioni imposte colpiscono oltre cento società e numerosi individui legati al Prince Group, descrivendo una rete globale di società di comodo e portafogli digitali usati per occultare i flussi finanziari. Al centro delle accuse figurano complessi come il Golden Fortune Science and Technology Park, vicino al confine vietnamita, dove – secondo testimonianze raccolte – lavoratori provenienti da diversi Paesi sarebbero stati trattenuti con la forza e costretti a perpetrare truffe informatiche. Oggi, dopo l’annuncio delle sanzioni, banche e governi regionali prendono le distanze dal gruppo. Le autorità cambogiane cercano di rassicurare i risparmiatori, mentre Singapore e Thailandia avviano verifiche sulle attività locali. Resta però difficile immaginare un netto distacco dell’élite di Phnom Penh da un uomo con cui i legami sono stati così stretti per anni. Di Chen Zhi, intanto, si sono perse le tracce. L’uomo che fino a poco tempo fa figurava tra i più influenti del Paese sembra essersi dissolto, lasciando dietro di sé un intreccio di potere, denaro e accuse che ora scuote l’intera Cambogia.
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iStock
Sempre la storia dimostra che questo tipo di progresso tecnologico è spesso seguito dallo sviluppo di contromisure, non a caso stiamo assistendo alla comparsa di armi anti-drone, queste sia di tipo convenzionale, con un proiettile che viene sparato contro di essi, ma anche del tipo a energia concentrata, ovvero laser. L’evidenza però è che l'uso dei droni abbia cambiato la natura della guerra, con la zona in cui le forze di terra sono vulnerabili ad attacchi letali da parte di mezzi a pilotaggio remoto che si estende tra dieci e sedici chilometri dietro la linea del fronte. Ciò ha reso trincee, posizioni fortificate e veicoli blindati molto più vulnerabili di quanto non lo fossero in precedenza, costringendo l’industria a sviluppare nuovi tipi di protezioni da installare a bordo. Così se inizialmente i droni hanno dimostrato il loro valore nelle operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, poi in quello di effettori d’attacco, ora costituiscono anche una forza di difesa restando comunque utili per la raccolta di informazioni in tempo reale e per fornire consapevolezza della situazione del campo di battaglia, come anche a supporto della pianificazione e del comando, nel controllo e nella comunicazione come nell'avvistamento dell'artiglieria.
Un colpo deve costare meno di un proiettile
Uno dei problemi da risolvere per praticare un vero contrasto ai droni sono i costi: un sistema laser, oltre che costoso è anche difficilmente trasportabile e resta comunque vulnerabile a eventuali attacchi, dunque in Ucraina vengono usate le infinitamente più economiche reti che riducono l'efficacia dei droni imbrigliandone le eliche. La Marina britannica ha recentemente annunciato che impiegherà un'arma a energia diretta denominata DragonFire, sistema che come detto, sebbene presenti delle limitazioni, come il costo iniziale, le dimensioni, la necessità di alimentazione elettrica e il fatto di dover avere il bersaglio in vista per colpirlo, a ogni colpo costa soltanto l’equivalente di 12 euro. L’alternativa è usare la radiofrequenza, ovvero un’onda radio, che però in quanto a limitazioni si discosta di poco dall’altro: presenta l’indubbio vantaggio di poter colpire più bersagli contemporaneamente, ma non può distinguere tra i bersagli che ingaggia quali sono amici e quali nemici. Tradotto: nessun mezzo amico può volare quando viene usato tale sistema. Non si risolve il problema neppure con effettori come piccoli missili, che costerebbero più di altri droni: esistono, sia chiaro, ma se per neutralizzare un oggetto del valore di qualche migliaio di dollari se ne impiega uno che costa qualche milione, come è avvenuto nel Mar Rosso durante i primi attacchi dei ribelli Houthi alle navi commerciali, le contromisure si rivelano insostenibili.
Un nuovo problema, costruirli in fretta
A parte l’Ucraina, l’Iran e la Cina, nessuna altra nazione è in grado di produrre droni in modo sufficientemente rapido e puntuale per usarli in modo massiccio. Inoltre, l’evoluzione dei droni stessi è tanto rapida che nessuna forza armata può permettersi di tenere in magazzino un arsenale di unità che invecchierebbero in pochi mesi. Ciò ha creato una vulnerabilità critica nelle catene di approvvigionamento delle componenti dei droni, in particolare la dipendenza dell'Occidente da parti e materiali di origine cinese che presentano ovvi rischi per continuità di fornitura, possibili intrusioni software e quindi pericolo per conflitti futuri.
Un rebus tra materiali, costi e normative green
Per risolvere la situazione occorre una nuova corsa alla produzione protetta basandola sulla cooperazione internazionale, costruendo solide alleanze per la produzione di droni tra i membri della Nato concentrandosi sulla produzione coordinata e sempre sull'innovazione. Il tutto per realizzare catene di approvvigionamento sovrane: investire nella produzione nazionale di componenti critici, inclusi semiconduttori e sensori, per ridurre la dipendenza da materiali di origine asiatica. Ciò perché oltre Pechino, si è anche persa la certezza della continuità di produzione proveniente da Taiwan. Un altro metodo è standardizzare la produzione di droni concentrandosi sulla produzione scalabile. La chiamano resilienza ma si tratta di sicurezza della catena di approvvigionamento, partendo dal disporre di una riserva di terre rare e di materiali definiti critici. Questa strategia è però resa ancor più difficile dall’applicazione di severe direttive ecologiche da parte dell’Unione europea e degli Usa, dove già talune produzioni non possono essere più fatte con taluni materiali, con il risultato che un numero significativo di componenti risulta oggi non rispondente alle caratteristiche di quelli precedenti. Lo sa bene chi progetta, sempre più in lotta con dichiarazioni per le normative Reach, che comprende migliaia di sostanze chimiche in vari prodotti inclusi abbigliamento, mobili, ed elettronica), e RoHs, la specifica per i dispositivi elettrici ed elettronici che limita le sostanze pericolose come piombo, mercurio, cadmio e altre per proteggere l’ambiente. E si sa che la guerra non è certo ecologica.
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