2022-11-28
«Così avanza l’islam radicale. L’Europa deve aprire gli occhi»
L’ex parlamentare Souad Sbai: «Le moschee? Il problema non sono i muri ma chi ci va a predicare. Diritti umani in Qatar? Gli emiri comprano tutto, pure il silenzio complice dell’Occidente».«Per anni abbiamo ignorato il totale disinteresse del Qatar nei confronti dei diritti umani, il disprezzo con cui tratta le donne, le condizioni umilianti che impone ai lavoratori, prossimi alla schiavitù. Quando si è trattato di difendere i diritti della comunità Lgbt, invece, si è accesa la polemica». Souad Sbai, già parlamentare con il Popolo delle libertà e oggi presidente di Acmid donna onlus, sa che si tirerà dietro non poche critiche?«C’è sempre una certa resistenza quando si tira in ballo il mondo gay, ma è la realtà: non appena gli emiri hanno espresso posizioni esplicite contro l’omosessualità, c’è stata la levata di scudi. Avrei voluto vedere altrettanta solerzia nel sostenere la causa delle donne e invece ho trovato solo silenzio. Durante la cerimonia di apertura della manifestazione, ho visto una giusta attenzione alla disabilità, la solita ostentata presenza maschile, ma non una sola donna a cui sia stata data la possibilità di parlare, di descrivere le condizioni di vita imposte dagli emiri». Il gesto della nazionale tedesca, i cui giocatori si sono coperti la bocca in segno di protesta contro il «bavaglio» voluto dalla Fifa, rivela un’ipocrisia di fondo, secondo lei? «Troppo tardi e troppo poco», hanno scritto alcuni giornali in Germania. «Quando di mezzo ci sono i soldi e tante persone a libro paga, il processo di indignazione si sgonfia».Secondo un editoriale comparso sul settimanale britannico The Economist, le critiche occidentali di assegnare i Mondiali di calcio al Qatar sanno di cieco pregiudizio. Che cosa pensa al riguardo?«C’è un passaggio fondamentale, che è bene non dimenticare: l’assegnazione dei Mondiali di calcio non è frutto del caso, di un sorteggio fortunato. Ci sono politici e società oliati con ingenti finanziamenti, ci sono gli intrecci economici che hanno coinvolto i massimi livelli della Fifa (Blatter) e della Uefa (Platini), ma anche leader politici come Sarkozy. Se il Qatar fosse stato un Paese povero, il Mondiale di calcio sarebbe stato un successo. Ma il Qatar compra tutto con i soldi, anche il silenzio. E l’indignazione viene meno».A proposito di soldi, lei ha denunciato più volte il processo di «islamizzazione dolce», che in realtà tanto dolce non è. «L’ho detto in tutte le forme e continuo a ripeterlo: l’Europa deve aprire gli occhi sul radicalismo che avanza. A differenza nostra, i Paesi arabi hanno capito il gioco della Fratellanza musulmana, che si serve del nostro concetto di democrazia per crescere».Il neo presidente del centro culturale islamico di Bergamo è convinto che, grazie al sostegno della Qatar Charity, si riuscirà a completare la costruzione della moschea. E anche a Firenze l’imam Izzedin Elzir, consigliere dell’Ucoii, vuole realizzare il prima possibile un nuovo spazio di preghiera per i fedeli islamici. «Non mi spaventano le mura delle moschee, ma chi quelle mura le finanzia. E chi c’è dentro. La libertà religiosa è sacrosanta, ben vengano quelli che entrano solo per pregare. Mi viene il terrore quando penso alla provenienza delle sovvenzioni e a chi gestisce quelle strutture: imam fai da te, pieni di odio verso l’Occidente e gli occidentali. Ignoranti che cercano di radicalizzare intere comunità. È già successo in altri Paesi, come la Francia, il Belgio e la Germania: le città hanno cambiato volto, riempiendosi di soli negozi arabi, dove le bambole sono senza volto. Io non voglio che succeda anche in Italia. Il problema non è costruire o non costruire, ma controllare chi intende farlo e imporre il rispetto delle regole».La polizia del Qatar sequestra magliette e striscioni in favore delle proteste contro il regime in Iran, tanto da avallare l’ipotesi che nel servizio di sicurezza messo a punto per i Mondiali ci siano le tracce della polizia morale di Teheran. La nazionale di calcio iraniana, dopo le minacce, è tornata a cantare l’inno nazionale, seppur a mezza bocca, scatenando la reazione degli attivisti anti-regime: «Traditori», li hanno definiti. «La decisione di non cantare l’inno prima dell’esordio al Mondiale è un gesto di grande impatto. Con gli occhi di tutto il mondo addosso, la nazionale iraniana ha avuto la forza di dire no al regime estremista degli ayatollah, che da 40 anni sta distruggendo un intero Paese, negando la libertà di espressione. Quel silenzio fa venire la pelle d’oca».Eppure molti degli iraniani in piazza vedono quel gesto come una «furbata»: avrebbero fatto meglio a rifiutarsi di scendere in campo. Come interpreta questa posizione?«Chi non canta l’inno nazionale rischia l’arresto in Iran. Voria Ghafouri, star del calcio a Teheran, è finito in carcere con l’accusa di aver insultato la reputazione della nazionale e di aver fatto propaganda contro lo Stato. Arrestato davanti al figlio di 10 anni. Non vedo ipocrisia nel comportamento dei calciatori iraniani impegnati in Qatar, semmai ritengo che la protesta non sia sufficientemente supportata: sono abbandonati a loro stessi». Cosa pensa delle proteste che in Iran proseguono nonostante la dura repressione? Il Consiglio Onu per i diritti umani ha deciso di avviare un’inchiesta sulla risposta delle autorità: oltre 14.000 persone sono state arrestate, tra cui molti bambini. «In Iran è in corso una vera rivoluzione culturale contro l’estremismo degli ayatollah e dei pasdaran. Ci sono state numerose altre proteste e tentativi di rivolta in passato, ma mai come in questo caso c’è stata una vera rottura con i capisaldi ideologici del regime, simboleggiati dal velo obbligatorio, che tante donne di sinistra in Italia hanno indossato con ignoranza».A chi si riferisce?«A Laura Boldrini, per esempio. Ma anche all’ex ministro Federica Mogherini, alle molte giornaliste che si sono inchinate davanti ai vari ayatollah. A chi ha scritto libri in favore di un velo che umilia la figura femminile e che nulla ha a che vedere con la religione. I più radicali lo vogliono imporre solo per annientare le donne».Ritiene che le proteste abbiano la forza di capovolgere il regime?«La società iraniana è spaccata, agli occhi delle generazioni più giovani il regime non ha più legittimità e non può far altro che ricorrere alla repressione più feroce per restare in piedi. Tuttavia, in Italia - e in Occidente in generale - si presta poca attenzione a quanto sta accadendo in Iran, la guerra in Ucraina attira maggiormente l’attenzione dei media. Da parte dei paesi occidentali, poi, non c’è un vero interesse a favorire un cambiamento di regime, per evitare contraccolpi nei vari scenari di crisi in Medio Oriente (Iraq, Yemen, Libano, Siria) e per via del programma nucleare iraniano».Il presidente dei vescovi italiani, cardinale Matteo Zuppi, auspica una soluzione al tema della cittadinanza: cosa pensa della possibilità di riconoscere lo ius culturae a chi è nato in Italia?«Nella mia esperienza in Parlamento, ho avanzato una proposta di legge sulla cittadinanza: chi è nato in Italia può chiederla una volta conseguito il diploma di maturità. È giusto riconoscerne il diritto a chi vuole vivere in questo Paese: non si può parlare italiano, vivere secondo la cultura italiana, sognare in italiano e poi mettersi in fila per il permesso di soggiorno. Tuttavia, la cittadinanza non deve trasformarsi in un mercato: bambine che diventano italiane solo per sposare un lontano cugino e portarlo qui. Non deve essere un affare, per questo è bene che ci siano regole ben precise».C’è chi ha chiesto di riconoscere una cittadinanza postuma a Saman Abbas, la giovane di Novellara che avrebbe voluto vivere all’occidentale, ma le è stato impedito dalla famiglia pakistana. La petizione ha superato le 10.000 sottoscrizioni in appena 24 ore.«Il mio ufficio è pieno di giovani ragazze che vogliono vivere all’occidentale. Saman ha pagato la concezione patriarcale dell’islamismo, che prolifera proprio in quelle moschee che sfuggono a ogni controllo. Le famiglie che vengono in Italia dovrebbero essere obbligate a frequentare classi in italiano, i giovani devono completare il processo di scolarizzazione, mentre invece osserviamo numeri in peggioramento, specie per le bambine. Alla sinistra fa comodo avere immigrati che non sanno una parola di italiano, in modo da poterli manovrare come meglio credono».Che impressione le fanno le parole del padre di Saman, Shabbar, secondo cui la giovane sarebbe ancora viva?«Quell’uomo è un criminale, può dire ciò che vuole. Io spero solo che il governo pakistano ci consegni un delinquente che ha fatto a pezzi una povera ragazza. Estradarlo sarebbe un segnale forte contro chi pensa di venire in Italia, uccidere seguendo i principi più oscurantisti dell’islamismo e poi farla franca».
Una riunione del Csm (Imagoeconomica)
Valerio de Gioia (Imagoeconomica)