2025-07-09
La Corte sbaglia, non serve una legge
Il centro migranti di Gjadër, in Albania (Getty Images)
Nel suo attacco ai Cpr, la Consulta ignora il Testo unico sull’immigrazione. Chi invece parla di «disumanità» o di «incostituzionalità» non ha letto la sentenza.C’è chi, come monsignor Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, ha attribuito alla Corte costituzionale il presunto merito di avere fatto emergere, con la sentenza n. 96/2025, la «disumanità dei Cpr», cioè dei Centri di permanenza per i rimpatri degli stranieri irregolarmente giunti nel territorio dello Stato e non aventi titolo per rimanervi. E c’è chi, come Massimo Villone, sul Fatto Quotidiano del 6 luglio e Salvatore Curreri sull’Unità del giorno precedente, critica invece la Corte per non avere avuto il «coraggio» di dichiarare incostituzionale tutta la vigente disciplina in materia di trattenimento degli stranieri nei suddetti centri. Come noto ai lettori della Verità, i giudici costituzionali hanno evidenziato un contrasto con l’articolo 13, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui lo stesso esige che qualsiasi tipo di restrizione della libertà personale possa avvenire, oltre che «nei casi», anche «nei modi» prescritti direttamente «dalla legge»; modi la cui determinazione, secondo la Corte, sarebbe invece affidata, nella materia in questione, «pressoché esclusivamente a fonti subordinate e ad atti amministrativi». Ad avviso dei suddetti critici, la ritenuta complessità della materia non sarebbe stata una buona ragione - come invece ritenuto dalla Corte - per demandare a un auspicato intervento del legislatore la regolamentazione, con «legge», delle modalità del trattamento degli stranieri nei Cpr, lasciando nel frattempo sopravvivere la vigente, incostituzionale disciplina.Diciamo subito, a confutazione di quanto affermato da monsignor Perego, che la Corte non ha affatto inteso sostenere che gli stranieri trattenuti nei Cpr siano, di fatto, sottoposti a trattamenti «disumani». La ragione della ritenuta incostituzionalità della vigente disciplina è stata, infatti, ravvisata nel solo fatto che essa sarebbe costituita da atti normativi non aventi natura formale di «leggi», come invece richiesto dall’articolo 13, secondo comma, della Costituzione. Quanto, poi, all’accusa di «scarso coraggio» che la Corte avrebbe dimostrato, ben potrebbe, di contro, apprezzarsi il fatto che, almeno stavolta, essa si sia astenuta dall’assumere indebitamente le funzioni del legislatore, come sarebbe avvenuto se, per riempire il vuoto prodotto dalla dichiarata incostituzionalità la disciplina vigente, avesse dovuto crearne un’altra.Ma è proprio la ritenuta incostituzionalità della suddetta disciplina quella che andrebbe, invece, esaminata criticamente. La stessa Corte afferma che, ai fini del rispetto dell’articolo 13 della Costituzione, è sufficiente che i «modi» della privazione della libertà siano determinati dalla legge «almeno nel loro nucleo essenziale». E tale «nucleo essenziale» ben avrebbe potuto ritenersi costituito dall’articolo 14, comma 2, del Testo unico sull’immigrazione, affermandosi in esso che allo straniero trattenuto nel centro «sono assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo stato, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità». Ed è, inoltre, «assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno». Ma la Corte è stata di diverso avviso, avendo ritenuto che dovessero aggiungersi altre e più specifiche previsioni aventi natura di legge o di atto «avente forza di legge». Il che, secondo la Corte, non poteva dirsi per un semplice regolamento di attuazione, quale costituito, nella specie, dal dpr n. 394/1999 che, all’articolo 21, definisce appunto le «modalità del trattamento» degli stranieri trattenuti nei Cpr.Anche sotto questo profilo, però, la pronuncia in discorso appare tutt’altro che persuasiva, alla luce del principio più volte affermato dalla stessa Corte (da ultimo, la sentenza 207/2024) secondo cui anche le «previsioni di rango subprimario» - quali, appunto, i regolamenti di attuazione - possono rientrare tra gli «atti aventi forza di legge», tanto da consentire che il loro contenuto sia «sottoposto al vaglio di legittimità costituzionale», purché sussista la duplice condizione che «contribuiscano a chiarire il contenuto prescrittivo della disposizione legislativa della quale costituiscono specificazione, e siano impugnate contestualmente a quest’ultima». Nel nostro caso il dpr n. 394/1999 non era stato oggetto di specifica impugnazione ma sarebbe stato comunque necessario verificare la sussistenza o meno della prima delle suddette condizioni perché, una volta ritenuto in ipotesi che la norma regolamentare in questione costituisse una necessaria «specificazione» di quella primaria, ne sarebbe dovuta derivare la sua equiparabilità alla legge formale, con conseguente esclusione della pretesa violazione dell’articolo 13, secondo comma, della Costituzione. E che di «specificazione» si trattasse appare ben sostenibile, stabilendosi nell’articolo 21 del citato dpr n. 394/1999 che agli stranieri trattenuti nei centri siano garantiti «i diritti fondamentali della persona», e, più in dettaglio: la libertà di colloqui interni e con visitatori esterni, ivi compresi i difensori e i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, la libertà di culto, il diritto all’assistenza sanitaria. Previsioni, queste, rispetto alle quali si sarebbe dovuta ritenere del tutto residuale e, pertanto, irrilevante, quella dell’attribuzione al prefetto, ai sensi del comma 8 dello stesso articolo 21, della competenza a dettare le ulteriori disposizioni finalizzate soltanto a «garantire la regolare convivenza all’interno del centro». In conclusione, quindi, almeno in questo caso, se il legislatore facesse orecchio da mercante alla richiesta di intervento avanzata dalla Corte, ne avrebbe, a stretto rigore, tutte le ragioni.Pietro Dubolino, Presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione
Il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara (Ansa)
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