2024-10-15
Corte «imparziale»? Vuol dire «di sinistra»
Il presidente della Consulta, Giuliano Amato (Imagoeconomica)
Temendo che un blitz (finora non riuscito) di Fratelli d’Italia, Lega e forzisti sulle nomine interrompa l’egemonia progressista, Giuliano Amato scopre che la Consulta non deve essere politicizzata e Massimo Villone (ex Ulivo) che i giudici sono solo «uomini con le loro opinioni».Bastava poco, in realtà, perché i giuristi iniziassero a preoccuparsi della politicizzazione della Consulta e della parossistica mitizzazione dei suoi giudici. Bastava che, al governo, andasse la destra. E infatti, dopo il monito del presidente emerito, Giuliano Amato («La Corte non può essere lottizzata»), è arrivato l’ex senatore dell’Ulivo, Massimo Villone, a sdoganare persino la divulgazione delle cosiddette opinioni dissenzienti. Ossia, le tesi espresse in camera di consiglio, difformi rispetto al verdetto finale del collegio. L’esperto ha avanzato la proposta in un’intervista a quella stessa Repubblica sulle cui colonne, qualche mese fa, Liana Milella bacchettava l’ex numero due della Consulta, Nicolò Zanon, per l’abitudine di rivelare le dissenting opinion tramite podcast e interviste. La toga in quota centrodestra ha poi raccolto alcuni pareri disallineati, anche sulla delicatissima materia degli obblighi vaccinali in era Covid, in un libro. La firma del quotidiano di largo Fochetti aveva paventato un’erosione della reputazione dell’organo di garanzia: «Se tutti i giudici costituzionali, dopo aver sottoscritto le decisioni, lasciano la Corte e le criticano svelando i contrasti, di fatto incrinano, per non dire compromettono, l’autorevolezza e il prestigio della Corte stessa». Della quale bisognava dare, invece, un’immagine monolitica, ieratica. Funzionale - sospettiamo - a rendere incontestabili le sentenze che, sempre più spesso, sono state il prodotto dell’orientamento progressista della maggioranza dei suoi componenti.Ma la musica sta cambiando, perché, ammesso non continuino a sabotarsi da soli, Fdi, Lega e Forza Italia potrebbero strappare un 3-1 nella prossima tornata di nomine alla Consulta. Piazzando, in una fase cruciale per il cammino delle riforme istituzionali, il consigliere del premier, Francesco Saverio Marini, uno dei padri del premierato, e altri due tecnici d’area, in sostituzione degli uscenti Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Di qui, le intemerate di Amato e Villone, promotore del referendum contro l’autonomia differenziata.Il primo ha scoperto che la Corte dovrebbe «fare in modo di sottrarsi all’accusa di essere schierata politicamente». Il secondo ha ribadito che essa «dovrebbe essere tenuta fuori dalla mischia politica», mentre la pubblicazione delle opinioni dissenzienti dei giudici «sarebbe un fatto di trasparenza, tanto gli addetti ai lavori le conoscono lo stesso». Toh: all’improvviso, sono caduti antichi tabù. Di punto in bianco, si avverte il pericolo che l’organo venga politicizzato o assoggettato a logiche di spartizione, «come la Rai» (Amato). Si starebbe configurando, anzi, un vero «tradimento delle procedure previste», giacché la maggioranza rifiuta la logica della «condivisione» - tradotto: non chiede a Elly Schlein il permesso di promuovere figure gradite. Intanto, svelare i segreti (di Pulcinella…) della camera di consiglio, vizio capitale secondo Repubblica, sempre su Repubblica è diventato un orizzonte di civiltà. Dei giudici, adesso, è lecito dire che «sono uomini, con le loro convinzioni, che incidono anche sui giudizi riguardanti la conformità (di leggi e atti aventi forza di legge, ndr) alla Costituzione» (Villone).Con il consueto acume, il dottor Sottile è andato al nocciolo della questione. Alludendo ad alcuni articoli comparsi sulla Verità, Amato ha voluto ricordare la ratio della Corte costituzionale: assicurare che «al di sopra della maggioranza ci sia un organo di garanzia». Per quanto investita di un mandato popolare, nessuna parte politica deve poter violare i diritti fondamentali di minoranze a lei ostili. La scorsa primavera, l’ex presidente del Consiglio aveva definito la Consulta «il contraltare della maggioranza». L’altro ieri, ha evocato il timore che «le maggioranze politiche dichiarino guerra alle corti proprio perché tutelano i diritti di quegli irregolari che non sono amati dalle destre populiste: migranti, omosessuali, carcerati».Concordiamo: il consenso democratico non è una licenza di uccidere. Peccato, però, che l’urgenza di un «contraltare alla maggioranza» s’avverta solamente quando la maggioranza è di destra. Come mai, in America, Joe Biden sogna di eliminare il mandato a vita dei componenti della Corte suprema, proprio ora che ce ne sono di più di nomina repubblicana? Stranamente il New York Times, all’opposto dei giornali progressisti italiani che sperano di sventare l’assalto al fortino, si mette a criticare lo strapotere della Corte, chiedendo che il pallino torni in mano al Congresso, emanazione della volontà popolare. Sarà mica che, nella testa di qualcuno, le corti diventano politicizzate e i giudici fallibili solo quando finisce l’egemonia della sinistra?