2022-04-05
Corpi minati, lingue mozzate. Nella macelleria di Bucha i cani divorano i soldati morti
(Credit: Niccolò Celesti)
Il sobborgo di Kiev è disseminato di cadaveri straziati o sepolti in fosse comuni, da cui affiorano braccia e mani. Tra blindati distrutti, macerie e i resti dei russi carbonizzati.Niccolò Celesti da Bucha«Sveva voin», «Guerriero del giorno». Ci spiegano alcuni militari e civili che sono le scritte che i volontari usano come slogan, chi «Ucraina libera», chi «Un aiuto per tutti». Indossa anche il classico gilet fosforescente stradale che abbiamo visto molte volte addosso ai volontari che rischiano la vita fra le bombe, portando aiuti ed evacuando civili.Lo troviamo all’interno di un magazzino, dopo che un signore ci aveva detto di «andare a vedere cosa hanno fatto i russi». Quando entriamo, passando da una vetrata andata in frantumi, il corpo giace irrigidito, il casco è allacciato, la bocca spalancata. I denti non si vedono, sugli occhi ha una benda completante intrisa di sangue, così come c’è sangue rappreso sotto la sua testa. Sotto la benda pare non avere gli occhi. Alcuni poliziotti che arrivano poco dopo sul posto ci dicono che potrebbe essere morto dissanguato proprio per l’asportazione di lingua e bulbi oculari. I poliziotti ci fanno cenno di allontanarci dal corpo, lo analizzano e poi indietreggiano improvvisamente: «Può avere una bomba, fuori tutti!», gridano. Prendono un arpione attaccato a un filo che usano per trascinare i feriti in battaglia, per aprire botole e porte che possono essere minate e per spostare i morti o gli involucri di ogni tipo a cui spesso vengono attaccate mine o bombe di vario tipo. Lo agganciano e poi srotolano la cima fino a fuori dalla struttura al riparo. Tirano il corpo. Non succede niente, l’allarme è rientrato. Arriva una squadra di militari del 206° battaglione. Parlano davanti al corpo. Alcuni di loro hanno le facce sconvolte. Intorno sono tutti sbigottiti, ma non è quel singolo corpo a fare questo effetto, è tutta la città, con le scoperte che vengono fatte di ora in ora, tra le macerie, negli scantinati dei palazzi, negli appartamenti, sulle strade: centinaia di corpi raccolti con le mani legate e i proiettili nel cranio, decine di racconti di persone che hanno visto giustiziare anziani seduti sulle panchine da carristi durante la fuga. Ma non è solo questo. sangue e spazzaturaÈ il puzzo di sangue, di polvere da sparo, di spazzatura, è il puzzo della paura, che dicono si senta anche quello. Centinaia di cani abbandonati vagano in giro alla ricerca del padrone e di cibo. Le macerie sono dappertutto. Per strada ci sono ancora corpi abbandonati, nonostante nei giorni scorsi siano stati recuperati più di 410 cadaveri. La maggior parte di questi cadaveri sono dei soldati russi che vengono lasciati ai cani o che, comunque, verranno raccolti per ultimi, dopo le altre urgenze, che ora sono i morti ucraini, il cibo, l’acqua, i sopravvissuti che come zombie camminano per strada con le facce sconvolte. A un posto di blocco i militari ci segnalano, dietro a una chiesa, una fossa comune, fatta scavare dal prete perché non sapeva più dove mettere i corpi riversi per le strade del quartiere. Ci sono due strati di cadaveri. Dal primo strato, il più profondo, emergono mani e braccia, sono corpi vestiti in abiti civili e sono quelli buttati lì durante l’occupazione dei russi; poi ci sono vari cadaveri racchiusi nei sacchi neri. Ci dicono che forse ci sono altre fosse comuni. La macchina di chi ci accompagna si fa strada tra le macerie, le buche dei colpi di mortaio, le carcasse di carri armati e veicoli russi, le macchine dei civili schiacciate dai carri e le munizioni inesplose. Molte parti della città sono chiuse, ci sono mine dappertutto e se ne sentono le detonazioni che speriamo siano effettuate dall’esercito. Svoltata una curva ci troviamo davanti al ponte che porta a Irpin. Eravamo sull’altro fronte, a 300 metri, durante la battaglia, lo scorso 13 marzo, quando morì il collega americano Brent Renaud. Ora siamo dall’altra parte e ci incamminiamo verso quella posizione dal lato opposto, quello che molti pensavano non sarebbe stato riconquistato dall’esercito ucraino. All’inizio del ponte un altro corpo, un signore dai capelli brizzolati giace sul fianco nel prato che costeggia il fiume Bucha, ha sul braccio una fascia bianca, come molti dei profughi che cercavano di attraversare il ponte durante i giorni del conflitto e che su quel ponte, in parte, hanno perso la vita, colpiti dai cecchini. carcassa «infiltrata»Molti sono convinti che quell’uomo, nonostante la fascia bianca, non sia un civile ucraino, ma piuttosto un soldato russo vestito in abiti civili. I militari russi di questa guerra indossano o sulle gambe o sulle braccia una fascia bianca come gli ucraini ne indossano una blu. Questo corpo è dunque ancora lì perché è sospettato di essere un soldato nemico. I tratti somatici degli abitanti di questi Paesi sono simili, a meno che i soldati non arrivino dalle zone nordiche o orientali della Russia. Nel dubbio, il morto rimane lì, sul ciglio di quello che per molto tempo è stato uno dei fronti più caldi del conflitto. Proseguendo verso Irpin, dunque, si incontrano i resti di un carro armato, un soldato russo sciolto sull’asfalto. Di lui rimane solo un pezzo della maglietta blu e bianca a righe classica di quell’esercito, fusa insieme a ciò che rimane del giubbotto antiproiettile, il casco in brandelli e l’ombra del corpo spalmato sull’asfalto. Le munizioni sono dappertutto, intorno non ce più niente. Di un grande centro commerciale non rimane più nulla, solo lo scheletro. Tra le macerie si intravedono decine di mine anticarro, disinnescate e abbandonate su un lato dagli ucraini. A pochi metri da Irpin ci sono gli stessi corpi senza vita che giacevano lì già il 10 marzo: i tre carristi russi che erano rimasti uccisi nello scontro e che avevamo fotografato. Uno era bruciato e gli altri intatti, oggi sono tutti bruciati e per buona parte sono stati mangiati dai cani. Per Micha, il più giovane dei due soldati volontari che accompagniamo, quei corpi va bene che siano mangiati dai cani, anzi, dice è la giusta fine per chi è venuto a far male al loro Paese. «Pietà l’è morta», recitava un vecchio canto partigiano. Una frase mai così vera come in questa sporca guerra.
Jose Mourinho (Getty Images)