2025-02-25
Il giurista guru della sinistra: «No all’autarchia delle toghe, meglio le carriere separate»
Franco Cordero (Imagoeconomica)
Franco Cordero, arcinemico del Cav, scriveva: «Il pm non è giudice. Un solo corpo è l’eredità del processo fascista». L’Anm intanto dà le istruzioni per lo sciopero.È quasi tutto pronto per il gran giorno. L’Associazione nazionale magistrati ha preparato «le istruzioni per l’uso» destinate alle toghe che il 27 febbraio sceglieranno di scioperare e anche il testo che le stesse potranno inserire nei verbali d’udienza per motivare la loro astensione senza doversi spremere troppo le meningi. Il passaggio più significativo della «giustificazione» preconfezionata riguarda la separazione delle carriere inserita nella riforma costituzionale approntata dal governo. A giudizio del sindacato delle toghe, con la nuova legge, il pubblico ministero, che nell’attuale sistema «rimane aperto al dubbio sull’innocenza dell’imputato», sarà, invece, «attratto nella sfera di un altro potere, come accade in tutti gli ordinamenti che prevedono il pm separato, senza poter svolgere il suo lavoro serenamente, condizionato dalle direttive dell’esecutivo e dall’impossibilità di disporre pienamente della polizia giudiziaria». Ovviamente, per l’Anm, «i primi a rimetterci saranno i cittadini».Ma davvero siamo alla vigilia del diluvio universale? Qualche giurista ne dubita. E forse il primo a farlo è stato uno dei più grandi, il professor Franco Cordero. Che con i suoi testi ha formato generazioni di magistrati. Prima di abbeverarci al suo pensiero, è necessario, però, fare un breve excursus storico.Nel vecchio codice fascista, firmato da Alfredo Rocco e in cui vigeva il più perfetto sistema inquisitorio, il pm era una specie di giudice: poteva arrestare (i famosi mandati di cattura), intercettare in via d’urgenza e interrogare. Con queste attività formava le prove, che indirizzavano il procedimento e venivano richiamate nelle sentenze di condanna. Era la cosiddetta «istruzione sommaria», propedeutica al rinvio al giudizio o all’approfondimento («istruzione formale») del giudice istruttore (una specie di super pm). In quel sistema l’inquirente formava la prova nel chiuso della sua stanza.Ma nel 1989, in un’ottica garantista, viene introdotto il codice Vassalli e la prova da quel momento deve essere acquisita durante il dibattimento. Il nuovo sistema toglie poteri al pm e lo fa diventare una delle parti del processo, alla pari dell’avvocato e dell’imputato. Di fronte a una novità di tale portata non si capisce perché il sostituto procuratore sia rimasto nella stessa parrocchia dei giudici e ne condivida ordinamento e stato giuridico.E non lo capiva neppure colui che è stato probabilmente il più grande esperto di procedura penale che questo Paese abbia avuto, il succitato Cordero, scomparso nel 2020 all’età di 91 anni, per circa tre lustri firma di Repubblica, campione del pensiero progressista, giuridico e non. Al punto da aver marchiato a fuoco Silvio Berlusconi con l’appellativo di «Caimano» (ma anche di «B.», «Re Lanterna», «Silvius Magnus fraudolentus»). Insomma un uomo non sospettabile di simpatie per la destra. Anzi un fiero oppositore di questa.Eppure, al giurista cuneese, quel pm che, nonostante la riforma, continuava a nascondersi in mezzo ai giudici non piaceva proprio.Come lascia ben intendere nel suo manuale di procedura penale, un testo che ha fatto da pietra angolare nella formazione della maggior parte dei magistrati e in cui si parlava di «metastasi inquisitorie».Cordero, nel capitolo sui soggetti del processo, ha dedicato al ruolo del pm qualche importante riflessione.Anche se le toghe che oggi sbraitano contro la riforma Nordio sembrano aver dimenticato tale lezione, soprattutto quando denunciano il rischio che gli inquirenti finiscano nella sfera d’influenza della politica come succede, per esempio, negli Stati uniti d’America. Una possibilità che Cordero riteneva meno preoccupante dell’autarchia delle toghe. Anche in considerazione della vastità dell’«area del penalmente rilevante». Una riserva venatoria in cui i pm sono predatori con molte munizioni e poche limitazioni e in cui i presunti guardacaccia (i giudici) fanno parte della stessa famiglia.Avverte l’insigne giurista: «L’esito delle notitiae criminis, poi, dipende da tante variabili, incluso l’impegno spesovi da chi se ne occupa; esistono priorità: e qui appare inevitabile una politica».Ed eccoci al paragrafo clou, quello sulla «politica del pubblico ministero», dove si legge che «tutto sommato, il “parquet” (l’ufficio del procuratore in Francia, ndr) a vertice ministeriale, esposto a censura parlamentare, è più trasparente dell’autarchia togata».Qui Cordero, a sostegno della propria tesi, «postula», per dirla con le sue parole, «l’azione obbligatoria (articolo 112 della Costituzione): ordini illegali dall’esecutivo (in senso lassistico o persecutorio), non esimono dalla responsabilità chi li esegua».Traduciamo: se il ministro dovesse chiedere al pm, sottoposto al suo controllo gerarchico, di agire contro l’avversario politico o, al contrario, di non procedere contro un alleato, il sostituto procuratore si prenderebbe la grave responsabilità di non rispettare l’obbligatorietà dell’azione penale e ne pagherebbe le conseguenze, poiché l’unico vero controllo sarebbe esercitato, fascicolo per fascicolo, da un giudice terzo e separato.La lezione di Cordero non è finita: «Ripetiamolo: il pubblico ministero non è giudice, l’appartenenza dei due allo stesso “corpo” appariva congeniale al processo “misto”».Ma non a quello di oggi.La commistione dei ruoli era prevista dal codice fascista (influenzato dalla procedura medioevale e dall’Inquisizione cattolica) all’interno di un sistema giudiziario molto diverso dall’attuale. Eppure, 100 anni dopo la riforma introdotta da Rocco, la maggioranza dei magistrati sembra non voler rinunciare alle porte girevoli tra le diverse carriere.Cordero ricorda come queste si intersecavano, rimarcando lo strapotere che avevano (e in fondo hanno) i pm: «Capitava che N, fino ad allora giudice, diventasse capo della Procura, indi presiedesse il tribunale e, a tempo debito, salito alla Procura generale, con un passo sul fianco diventasse presidente della Corte. In Cassazione, quali consiglieri e presidenti, emergevano i saliti dall’apparato requirente: chi avesse esordito come pubblico ministero, tendeva a restarlo, gratificato da chance migliori rispetto al giudice medio». I lettori pensino a quanti pm, anche dopo l’introduzione del codice Vassalli, si siano lanciati con successo in politica (Antonio Di Pietro, Piero Grasso, Michele Emiliano, Luigi De Magistris, Antonio Ingroia, Gianrico Carofiglio, Roberto Scarpinato, Federico De Raho, solo per citarne alcuni).Il professor Cordero, nel suo testo, rammenta altri privilegi del vecchio inquirente: «Governando una ragguardevole aliquota dei posti vacanti, il parquet sceglieva i suoi. Eclettismo normale in quel sistema a forte residuo inquisitorio».Ma se nel 1941 la mobilità da una funzione all’altra era piuttosto bloccata, dal 1951 diventa «illimitata». Ai tempi del fascismo «le metamorfosi erano ammesse solo su “ragioni di salute debitamente accertate o, in via eccezionale”, esistendo “gravi e giustificati motivi”; e occorrevano “speciali attitudini” al giudice che volesse diventare pubblico ministero (non richieste nel caso inverso, sul presupposto che ogni requirente sappia giudicare: temporibus illis, l’Autorità, metafisicamente intesa, prediligeva gli uomini del re)». E anche oggi sembra che i pm si sentano tali: intangibili le loro prerogative, al di sopra di tutto.Perlomeno a giudizio di molti.Eccoci così alle conseguenze nefaste. Le chat di Luca Palamara mostrano in modo plastico come i pm provino a scegliersi i giudici.Addirittura Paolo Abbritti, oggi chiamato a fare il direttore generale del ministero della Giustizia per i servizi applicativi del Dipartimento per l’innovazione tecnologica (è una specie di ingegnere mancato del settore informatico) chiedeva all’ex presidente dell’Anm di scegliere come presidente dell’unica sezione penale di Perugia Carla Maria Giangamboni e altri due «colleghi giudici» come presidenti della sezione civile. Una nomina che può offrire ulteriori argomenti ai fautori della separazione delle carriere.Il 12 marzo 2018 Palamara, all’epoca kingmaker indiscusso delle carriere delle toghe, scrive al fido Abbritti, suo compagno di corrente e giovane rampante: «Mi ricordi nomi pst (presidenti di sezione del Tribunale, ndr)». E Abbritti risponde: «Giardino (indipendente, ma eccezionale) per sezione fallimentare, Matteini (Unicost) pst civile ordinario, Giangamboni (Area), pst penale».Da notare che a quel tempo Palamara e l’Unicost (di cui Abbritti era esponente emergente) stava flirtando con le correnti progressiste e insieme governavano il Csm. Salta all’occhio anche quell’«Indipendente, ma eccezionale», come se l’indipendenza rispetto alle correnti fosse un difetto da bilanciare.La Giangamboni è stata promossa e, da allora, nei processi si è trovata di fronte chi aveva così fattivamente contribuito al suo scatto di carriera.A patto che lo sapesse, non deve essere stato facile.Persino l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, l’11 febbraio 2017 scriveva a Palamara: «Ti ricordi la Consiglio». Risposta dell’allora membro del Csm: «Ti confermo pst Palermo». La separazione delle carriere e dei relativi Csm impedirà che si vengano a ripetere situazioni del genere.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.