2019-05-30
La Chiesa deve arrendersi. «Dialoghiamo con Salvini»
A dirlo è il segretario di Stato, Pietro Parolin: «Il Papa continua a dirlo: dialogo, dialogo, dialogo». Lezione di realismo e presa d'atto del voto degli italiani. Non è più un'ossessione. Adesso che ha il 34% dei voti in tasca, Matteo Salvini torna ad essere un buon cattolico, al massimo un po' eccessivo per la continua esibizione di crocifissi che tolgono l'esclusiva alla sacra ditta. Sono i miracoli elettorali, la Chiesa ne conosce gli effetti da 2.000 anni ed è sempre pronta a trasformare uno sberlone in uno schiaffetto benedicente. Così il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, non ha alcun problema nel riposizionare l'orologio del campanile sull'ora del governo. «Il Papa continua a dirlo: dialogo, dialogo, dialogo. Dialoghiamo con tutti, perché non con Salvini?».Fino alla settimana scorsa sembrava che la Curia romana (e tutte le altre diocesi in fila indiana) fosse più in sintonia con il vecchio «resistere, resistere, resistere» di borrelliana memoria, quindi la conversione (a U) sulla strada del Carroccio sorprende. Ma Parolin va fino in fondo, e alla cerimonia del premio internazionale Economy and Society al palazzo della Cancelleria fa si che le sue parole non danzino a mezza altezza: «Il dialogo si fa soprattutto con quelli che non la pensano come noi e con i quali abbiamo qualche difficoltà e qualche problema. Io sono di questo parere e quindi anche con Salvini si deve dialogare». Il braccio destro di papa Francesco non può certamente essere equivocato; questa è la posizione ufficiale della Chiesa. Il suo pensiero è al tempo stesso sorprendente e in linea con lo stile millenario della casa del Signore. Lo stupore è nel notare che si avvicina a quello del cardinal Gerhard Müller, definito superficialmente l'avversario conservatore del pontefice, che in un'intervista al Corriere della Sera (sapientemente nascosta a fondo pagina) aveva molto criticato l'atteggiamento sprezzante e modaiolo di prelati e intellettuali cattolici aprioristicamente schierati contro la Lega. «Dire che Salvini non è cristiano perché è contro l'immigrazione è stato un errore», aveva spiegato l'ex prefetto del Sant'Uffizio. «Un'autorità ecclesiastica non può parlare in modo dilettantesco di questioni teologiche. E soprattutto non deve immischiarsi nella politica, quando ci sono un Parlamento e un governo legittimati democraticamente, come in Italia».Verrebbe da dire parole sante, ma ufficialmente nessuno dell'establishment vaticano prima di Parolin le aveva avallate. Anzi era un tuonare temporalesco, un vade retro Satana (citazione dalla copertina di Famiglia Cristiana) da parte del clero progressista, quello della mistica dell'accoglienza diffusa, del presepe nel gommone, della tonaca antifascista, della disobbedienza civile del cardinal Bolletta nel centro sociale abusivo, del Pd unica ancora di salvezza contro i barbari. Era il mondo anti Salvini teorizzato dal direttore di Civiltà Cattolica, e ascoltato suggeritore del Papa, Antonio Spadaro, e (con qualche distinguo più politically correct) dal presidente della Conferenza episcopale, cardinal Gualtiero Bassetti. Era l'appiattimento sui temi dell'Europa rigorista e globalista, benedetta da Spadaro in una serie di articolesse pro Jean Claude Juncker, l'ultima delle quali arrivata a occupare la homepage del sito di Civiltà Cattolica il Venerdì santo, giorno in cui sarebbe anche accaduto qualcosa di più cristianamente decisivo. Se Parolin è il braccio destro di Jorge Bergoglio, Spadaro è quello sinistro, quindi non è semplicissimo avere anche oggi la certezza del pensiero del Papa. Perché dopo il voto proprio Spadaro, travolto da insopprimibile rosicamento, pur di demonizzare Salvini se l'è presa con la sua libreria. E agganciandosi a una foto del vicepremier ha twittato: «Ecco che fine ha fatto l'immagine di Gesù, tra un tapiro e un cappello Make America great again. Nel deposito dei simboli utili selezionati a festeggiare il proprio successo». Seguito a ruota dalla starlette televisiva don Dino Pirri: «Domani alle 12 Salvini si affaccerà dal balcone per la preghiera dell'Angelus». Indignato come un elettore prodiano della Margherita, neanche fosse un Marattin qualsiasi. Sull'uso salviniano dei simboli cristiani, il cardinal Parolin ha avuto qualcosa a che ridire, ma con meno veemenza rispetto ai suoi pasdaran: «Credo che a usare i simboli religiosi per manifestazioni di parte come sono i partiti c'è il rischio di abusare di questi simboli. Da parte nostra non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questa realtà». Un invito alla sobrietà, niente di più e niente di meno. Ma l'eminenza si è ben guardata dal gridare allo scandalo come curiosamente ha fatto l'esercito degli atei zingarettiani, anche perché la Chiesa si è vista appaiare per mezzo secolo ad ogni corrente democristiana senza battere ciglio. E mai ha usato il tema - come invece fa credere La Repubblica nella scaltra titolazione «Aperti al dialogo ma stop agli abusi di simboli religiosi» - per contrapporlo al dialogo. I preti di solito non ricattano, o almeno non lo fanno così ingenuamente.Sulle elezioni, il segretario di Stato prende atto del risultato con spirito costruttivo: «Credo che si debba guardare avanti nel senso di continuare a dialogare per costruire l'Europa che tutti vogliamo, anche con tutte queste tendenze di ripiegamento su sé stessi e di messa in discussione del progetto. Io sarei per una visione positiva e incoraggiante: questa è la realtà, però possiamo costruire ancora». Traduzione dalla sacrestia: non buttiamoli a mare, questi leghisti. Sennò in chiesa chi ci viene? Gad Lerner?
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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