2018-07-14
Controlli a rilento sui pensionamenti. La scuola rischia di iniziare nel caos
Pioggia di domande all'Inps dal personale docente e non docente. Si liberano 35.000 posti, ma le verifiche dei requisiti procedono con il freno tirato. A settembre molte cattedre potrebbero essere ancora scoperte.Mentre il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti cita la gioia d'imparare predicata dalla scrittrice marxista Simone Weil, il nuovo anno scolastico si prepara a esordire nel caos. Un esercito di professori abbandona le cattedre per godersi la pensione. E sostituirli non sarà impresa facile, complice la pastoia burocratica dell'Inps che complica la staffetta.Sono infatti quasi 35.000 le domande di pensionamento già presentate, a fronte delle 20.000 inoltrate negli anni scorsi. Quella che si sta consumando in queste settimane sembra a tutti gli effetti una fuga dalla scuola italiana. Messa in atto da docenti e personale Ata, quindi bidelli e amministrativi, spaventati da un futuro incerto. Per la precisione hanno fatto richiesta 25.000 insegnanti, 300 dirigenti scolastici, 8.000 ausiliari, tecnici e amministrativi. Se tutte le domande fossero accolte, si aprirebbe per moltissimi precari la possibilità di stabilizzare la propria posizione. Ma le nuove procedure attraverso le quali l'Inps è chiamato a controllare i requisiti sono più complesse e cervellotiche di quanto si possa immaginare: invece che sveltire le verifiche, le rallentano. E gli inevitabili ritardi rischiano di mettere in ginocchio tutto il sistema: se le risposte dell'ente di previdenza non dovessero infatti arrivare entro il 31 agosto, migliaia di cattedre potrebbero rimanere vuote. La legge indica infatti proprio quella data come termine ultimo per inoltrare l'incarico ai nuovi professori. Procedere a partire dal primo settembre sarebbe a tutti gli effetti impossibile, con il risultato di bloccare le nuove assunzioni e i trasferimenti richiesti per il prossimo anno scolastico.CHI HA FATTO RICHIESTA A beneficiare della possibilità di andare in pensione sono i docenti e il personale Ata classe 1951, ovvero chi abbia raggiunto i 67 anni di età o i 41 anni e 10 mesi di contributi. Fra queste persone ce ne sono moltissime rimaste bloccate in passato dalla riforma Fornero e adesso, finalmente, entrate nella lista di chi può lasciare il lavoro maturando la pensione. Proprio questo è uno dei motivi alla base del boom di domande, aumentate di 15.000 unità dal 2017. E il numero, secondo i calcoli relativi all'anzianità del personale in servizio, potrebbe continuare a crescere anche nei prossimi tre anni. BUROCRAZIA IN AFFANNO Il rispetto dei requisiti viene controllato dall'Inps, una novità rispetto al passato, quando la funzione era svolta dagli Uffici scolastici regionali. L'istituto però si trova davanti un problema quasi insormontabile: la difficile comunicazione fra la propria banca dati e quella dei singoli Uffici scolastici regionali. Il risultato è che un dipendente potrebbe avere tutti i requisiti per andare in pensione dal punto di vista del Miur, ma potrebbe non essere «pensionabile» per l'Inps, nel caso in cui quest'ultimo non avesse ricevuto tutti i documenti necessari per avallare la richiesta. Per cercare di tamponare la situazione Bussetti ha attivato un percorso di collaborazione per «velocizzare il dialogo tra uffici territoriali del Miur e quelli dell'ente previdenziale e far parlare tra loro i rispettivi sistemi informativi, agevolando l'inserimento e il reperimento di quelle informazioni che consentono di accertare il diritto alla pensione del personale docente», come spiega in una nota lo stesso ministero di viale Trastevere. L'attenzione è rivolta principalmente a quei docenti che abbiano incontrato difficoltà nella ricostruzione della carriera e per i quali risulti una non coincidenza tra il servizio prestato negli anni Settanta e Ottanta come supplenti e quello risultante dagli archivi dell'Inps.NOMINE BLOCCATE Ma mentre si aspettano i primi risultati di questo accordo, la scuola italiana rischia di debuttare nel caos. Con migliaia di cattedre vuote e posti vacanti. Al momento non è chiaro nemmeno quanti dipendenti andranno effettivamente in pensione, visto che il controllo dei requisiti non è stato completato. Il ministero perciò non può far partire le nuove assunzioni, né tantomeno i trasferimenti richiesti per il prossimo anno. Insomma, migliaia di insegnanti giovani potrebbero dover aspettare ancora la propria stabilizzazione, nonostante molte posizioni siano già virtualmente libere. Mentre chi abbia chiesto di cambiare scuola o città potrebbe restare deluso. Da parte sua il Miur cerca di tranquillizzare tutti: la scuola ricomincerà a settembre senza affanni. Nel caso in cui i ritardi si dovessero accumulare fino a sforare il termine, le cattedre vacanti saranno coperte dall'assunzione di supplenti con incarico annuale. Ma è chiaro che si tratterebbe solo di una toppa.PRIME REAZIONI Da parte loro, i sindacati hanno già annunciato una serie di mobilitazioni, la prima si è svolta giovedì 12 luglio con un presidio davanti agli uffici dell'Inps a Roma. Le principali sigle spiegano quanto sia «inaccettabile il grave ritardo nella determinazione del diritto alla pensione». Lanciano un allarme anche gli Uffici scolastici regionali: «Se non mandiamo in pensione chi ne ha diritto, saltano le assunzioni e i trasferimenti per il prossimo anno». Intanto sull'inizio della scuola pesa un altro problema non risolto: la questione dei diplomati magistrali. Se il governo gialloblù non riuscirà a porre rimedio attraverso un provvedimento di legge, 5.000 maestre assunte in ruolo potrebbero essere retrocesse a supplenti. Per adesso nel decreto Dignità è stata inserita una proroga di 120 giorni, che però non basta per assicurare la copertura del prossimo anno.
Jose Mourinho (Getty Images)