2024-10-07
«Contributo di solidarietà soltanto dalle grandi aziende»
Il sottosegretario leghista Massimo Bitonci: «Nessun aumento della tassazione per cittadini e piccole imprese. I Comuni dovrebbero vendere le partecipazioni nelle società quotate».Massimo Bitonci, sottosegretario alle Imprese e Made in Italy, anche lei, rispetto alla manovra di bilancio, è sereno come Pirlo in Champions, per dirla con le parole del ministro Giancarlo Giorgetti?«Posso dire serenamente che la Lega resta e resterà contraria a qualsiasi aumento della tassazione per i cittadini. Non fa parte del nostro dna».Però la frase del ministro sui «sacrifici per tutti» ha fatto discutere.«Conosco bene il ministro, e per come quella frase è stata riportata mi è subito sembrata un po’ troppo perentoria. Infatti bastava aspettare un quarto d’ora: è subito arrivato il chiarimento».Alcune cose però vanno ancora chiarite. Si dice che il grosso delle risorse arriverà dai tagli alla spesa pubblica. E intanto Matteo Salvini dichiara che «tasseremo chi guadagna miliardi». Ci aiuta a capire chi sarà interessato dal famigerato «contributo di solidarietà»? Nel mirino ci sono anche le piccole imprese?«Assolutamente no, al contrario. Il contributo verrà richiesto a quelle grandi realtà che hanno registrato margini non per le loro capacità, ma per fattori esterni indipendenti dalla gestione. Parlo ad esempio delle banche, che hanno visto lievitare gli utili grazie al differenziale dei tassi tra prestiti e depositi. E parliamo di utili miliardari».Siete davvero decisi a tassare le banche, mettendo in conto la rivolta di Forza Italia?«Sarebbe un errore contestare una scelta simile. Non stiamo parlando dei guadagni di un artigiano che ha fatto gli straordinari, o di un’impresa che ha innovato. Sono guadagni dovuti a situazioni esogene. Penso anche a grosse multinazionali dell’energia, che hanno realizzato profitti molto alti in questi anni. Da loro ci si aspetta certamente un contributo».Il discorso vale anche per le aziende della Difesa che hanno visto crescere i loro bilanci?«Certo, e probabilmente Giorgetti, quando parlava di “sacrifici”, si riferiva anche alle società pubbliche».Quali?«Le società pubbliche di diritto privato producono utili, e magari un sacrificio sarà chiesto anche a loro».È così che reperirete i 5-10 miliardi che occorrono per far quadrare i conti?«Continuo a pensare che gli spazi di bilancio, soprattutto sui ministeri, ci sono. E non parlo dei fondi per gli investimenti, ma del taglio degli sprechi, della razionalizzazione. Nell’organizzazione degli uffici e del personale si può fare economia».Una nuova spending review?«Sì, ma stavolta seria. Che tocchi anche i fabbricati pubblici. Negli anni è stata fatta una politica di dismissione riguardante i beni della Difesa, come le caserme, oggi si può proseguire. Immagino anche l’alienazione di società non strategiche, o la vendita di quote dove lo Stato mantiene comunque una forma di controllo».Per esempio?«C’è già un ragionamento su Poste, considerando che lo Stato può mantenere il controllo privatizzandone una parte. Stesso dicasi per Mps. Questo non vuol dire svendere, ma diminuire la partecipazione. Anche gli stessi Comuni possono fare la loro parte».In che modo?«È inutile che i Comuni continuino a detenere quote di partecipazione in società che sono quotate in Borsa. Faccio l’esempio del Comune di Padova, dove sono stato sindaco: l’ente possiede una quota di Hera, azienda energetica, ma non sa che cosa farsene. La sua fetta di proprietà è risibile, ma ha un valore monetario importante».Quindi si immagina una politica di privatizzazione degli asset degli enti locali?«L’idea è dismettere una parte delle partecipazioni delle amministrazioni locali e reinvestire i proventi per i servizi ai cittadini: in questo modo, la quota di spesa chiesta dai territori al governo si alleggerirebbe. E il bilancio nazionale ne gioverebbe».Questo non rischia di causare problemi agli enti locali?«Il fondo perequativo negli anni è diminuito. Ma la sostenibilità del bilancio pubblico riguarda tutti. Nelle maglie di alcune grandi città ci sono a bilancio società non strategiche che si possono privatizzare, anche per garantire a queste aziende una maggiore efficienza».Che tipo di aiuti prevede per le piccole aziende, con il diesel che sta aumentando e le scadenze green europee all’orizzonte?«Finalmente ad agosto è partito il progetto “transizione 5.0”, che ammonta a 6,3 miliardi di euro. Sommati ai provvedimenti precedenti, arriviamo quasi a 13 miliardi. Sono fondi del RePower Eu rimodulati per le imprese. L’Europa ci ha posto tutta una serie di vincoli, ma li abbiamo superati».Come si accede a questi fondi?«I finanziamenti riguardano l’acquisto di macchinari e pannelli fotovoltaici prodotti a casa nostra, in Europa. Il credito di imposta, che può arrivare al 63%, è legato alla riduzione del consumo di energia».Ieri a Pontida avete riunito la destra europea. Il nemico è la nuova giunta «green» di Von der Leyen?«Io sono convinto che in Europa nascerà una maggioranza alternativa contro i provvedimenti “green” più insensati. Non solo la destra, ma anche altre componenti del Parlamento di Strasburgo sono disposte a combattere».In particolare, su quale fronte?«Anzitutto sui carburanti e le scadenze per i motori termici. Temi su cui il governo chiederà di introdurre il concetto di neutralità tecnologica. Non esiste solo l’elettrico, ma anche il biocarburante, l’idrogeno, i carburanti sintetici. L’Italia è uno dei maggiori produttori al mondo sui biocarburanti, e non si capisce perché l’Europa debba penalizzarci».Dunque pensa che il vento sia cambiato?«Sì, e non solo a livello politico, ma anche industriale. La crisi della Volkswagen, che ha annunciato 30.000 licenziamenti, sta aprendo gli occhi anche alle case automobilistiche».In che senso?«All’inizio erano quasi tutte favorevoli all’elettrico, ma adesso sono sotto scacco. In Italia la vendita di veicoli elettrici è ferma al 3% del mercato. Inutile imporre leggi dall’alto: la gente la macchina elettrica non la vuole».Dunque?«Bisogna immediatamente correre ai ripari, considerando che grazie al governo giallo rosso abbiamo perso il controllo su Stellantis. E nel frattempo il vasto comparto della componentistica, che dà lavoro a 126.000 persone, è potenzialmente in pericolo».Sia sul fronte europeo, sul tema dei rapporti con i partiti di destra, sia sul versante interno, vi siete scontrati con Forza Italia. Che sta succedendo nella coalizione? Passerete l’intera stagione a logorarvi tra di voi?«Ho la sensazione che Forza Italia stia cercando spazi. Il loro obiettivo non è smarcarsi dal governo, ma semplicemente fare rumore per ravvivare i sondaggi e ottenere consenso. Non a caso, ogni volta che fanno una uscita polemica, poi arriva immediatamente la retromarcia. Sullo ius scholae della sinistra alla fine hanno votato con il governo».Ma la proposta per rivisitare le leggi sulla cittadinanza è sul tavolo. Si chiama «ius Italiae» e verrà depositata nei prossimi giorni. È immaginabile un’apertura della Lega su questi temi?«Quando si parla di cittadinanza per i diciottenni mi faccio sempre la stessa domanda: perché i genitori non l’hanno mai chiesta per i figli minori, visto che dopo soli 10 anni avrebbero potuto? Nessuno sa darmi una risposta. Forse molti immigrati semplicemente non ritengono utile avere la cittadinanza».Dunque?«Dunque certe proposte non hanno senso. Ricordiamoci i dati: l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di cittadinanze accordate. Non vedo il bisogno di cambiare le regole».Anche sull’autonomia ci sono degli attriti. Le Regioni del Nord accelerano con la richiesta di acquisire materie di competenza. Ma anche nel centrodestra si sollevano dubbi, soprattutto sul commercio estero.«Su questo il governatore Zaia è stato chiaro. Nessuno vuole sottrarre il commercio estero allo Stato. Parliamo di competenze complementari, ogni Regione potrà dare un impulso positivo al made in Italy. Lo scorso anno abbiamo superato i 700 miliardi di export, nel primo quadrimestre di quest’anno abbiamo superato il Giappone. Ricordiamoci che le Regioni dispongono, ognuna in settori specifici, di reti di impresa importanti. Perché non sfruttarle, cogliendo l’opportunità di rafforzare nel mondo la competitività italiana?».
Charlie Kirk (Getty Images)