2020-10-01
Continua il ricatto di Haftar a Roma sui 18 italiani nelle prigioni del Rais
L'equipaggio dei due pescherecci è trattenuto a Bengasi. L'intelligence è ottimista, ma chiede altro tempo. L'armatore Marrone: «Conte ci ha chiesto di fidarci di lui, a noi interessa solo che li riportino a casa».Sono passate ormai quattro settimane da quando i 18 membri dell'equipaggio dei due pescherecci di Mazara del Vallo, Antartide e Medinea, sono stati sequestrati la sera del primo settembre dai militari del generale Khalifa Haftar. La diplomazia e l'intelligence italiane sono al lavoro per riportarli nel nostro Paese sani e salvi al più presto. Il centrodestra (Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia), intanto, preme assieme ad alcuni esponenti del gruppo Misto (tra cui il membro del Copasir Antonio Zennaro) affinché la questione sia prioritaria. Martedì il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno ricevuto a Palazzo Chigi una delegazione dei familiari dei pescatori che avevano passato la notte incatenati davanti Palazzo Montecitorio. All'incontro era presente anche Marco Marrone, armatore del Medinea e portavoce del gruppo. Raggiunto telefonicamente dalla Verità ieri, Marrone ha spiegato che «non ci sono aggiornamenti. Dopo quasi 30 giorni è tutto fermo». Dall'incontro con il premier e il ministro «ho ricevuto ottime impressioni», ha continuato sottolineando poi di non aver contatti con i pescatori «ormai da troppi giorni: abbiamo avuto soltanto quella famosa telefonata di due settimane fa». Conte «ci ha detto di fidarci di lui e del lavoro del governo. Capiamo la situazione difficile, che ci sono trattative complicate» in corso, ha raccontato al nostro giornale. «Ma a noi poco interessano le trattative. Ci interessa che accelerino e che le chiudano al più presto, è questo che abbiamo chiesto al governo», ha spiegato ancora Marrone. Per poi aggiungere, con tono mesto, che «non possiamo fare altre che aspettare».Nella conversazione Marrone ha rimarcato di non aver ancora ricevuto notizia degli eventuali capi d'accusa. Da Bengasi, però, alcuni giorni fa il generale Mohamed Al Wershafani dell'autoproclamato Esercito nazionale libico guidato da Khalifa Haftar ha spiegato all'Agenzia Nova che i pescatori verranno processati da un tribunale militare di Bengasi nel mese di ottobre. L'accusa, ha precisato, è di ingresso e pesca in acque libiche senza previa autorizzazione (in acque che sin dai tempi dell'ex rais Muammar Gheddafi la Libia considera in modo arbitrario territoriali). Ma non è tutto. Perché i media vicini all'uomo forte della Cirenaica sostengono di aver trovato panetti di droga sui due pescherecci. Circostanza definita inventata dagli armatori e dai familiari dei marittimi. E l'accusa di traffico di sostanze stupefacenti non è stata confermata neppure dagli uomini di Haftar. Sembra però evidente da questi elementi che l'Italia è sotto ricatto da parte di Bengasi, che chiede uno scambio. Basti leggere quanto fatto sapere pochi giorni fa da fonti libiche all'Adnkronos. L'unica «certezza è che il generale Khalifa Haftar non libererà nessuno fin quando non verranno consegnati i quattro» giovani libici partiti cinque anni fa da Bengasi e condannati in Italia come assassini e trafficanti di migranti. Secondo gli uomini di Haftar, invece, si tratta di calciatori che erano fuggiti per trovare fortuna in Germania.L'Aki (cioè l'Adnkronos International) ha riportato poi altre fonti che hanno ricordato come in passato «ci siano voluti mesi» per risolvere casi analoghi in Libia, dal momento che le autorità libiche «considerano quelle acque zone di interesse economico esclusivo libico» e non tollerano «violazioni dei propri diritti economici sulle proprie acque».La diplomazia italiana sta lavorando anche di sponda con i principali sponsor di Haftar. Il 10 settembre il ministro Di Maio ha avuto un colloquio telefonico con l'omologo degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah Bin Zayed Al Nahyan. Cinque giorni più tardi, invece, ha sentito il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov. A seguito di quei colloqui, fonti diplomatiche hanno sottolineato che «Emirati e Russia sono due attori molto influenti nei confronti di Bengasi».Non solo Abu Dhabi e Mosca, però. Roma sta cercando anche la sponda di Washington. Ieri il ministro Di Maio ha parlato di Libia con il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Che, dopo il faccia a faccia alla Farnesina, ha spiegato in conferenza stampa che gli Stati Uniti sono pronti a usare il loro intero «arsenale diplomatico» per arrivare a una soluzione al conflitto in Libia. Inoltre, si è detto «ottimista» rispetto agli sviluppi sul terreno nelle ultime settimane: «La situazione è migliorata e dobbiamo sfruttare questa finestra di opportunità», ha aggiunto, riconoscendo l'impatto dell'instabilità della Libia sulla sicurezza dell'Italia. Ma non è l'unico segnale di un nuovo slancio di Washington sul Mediterraneo, dopo un lungo disinteressamento da parte dell'amministrazione guidata da Donald Trump, che potrebbe aiutare l'Italia sul caso dei 18 pescatori. Ieri, infatti, è iniziato un tour di tre giorni in Nord Africa del segretario alla Difesa americano, Mark Esper: Tunisia, Algeria e Marocco le sue tappe; cooperazione militare e instabilità della Libia, del Sahel e del Mali i temi in cima alla sua agenda.I nostri 007 stanno lavorando, com'è ovvio, al riparo dai riflettori. La strada appare in salita. Fonti d'intelligence spiegano alla Verità che servirà tempo. Ma trapela cauto ottimismo.Il ricatto di Bengasi dimostra però come l'Italia abbia perso influenza in Libia. Per lungo tempo la politica italiana aveva considerato Haftar, cioè colui che ad aprile dell'anno scorso aveva lanciato un'offensiva militare (fallita) contro il governo di Tripoli che Roma riconosceva come illegittimo, un interlocutore. E ora tiene 18 pescatori italiani in ostaggio.