2019-10-03
Continua il gioco sporco sull’Iva. Vogliono alzarla ma non l’ammettono
Il sottosegretario Laura Castelli apre con La Stampa: «Ci pensi il Parlamento». Poi, bacchettata dal M5s, ritratta. L'intento però è chiaro: rimodulare l'imposta. E se Giuseppe Conte rinvia il rincaro dei ticket, arriva la stretta sulle colf.Il sito Dagospia rivela un piano per una nuova aliquota Irpef al 50% sui redditi sopra i 300.000 euro. A suggerirla a Roberto Gualtieri sarebbero «Dracula» Vincenzo Visco, l'esperto di gabelle Vieri Ceriani e l'ex capo del fisco renziano Ernesto Maria Ruffini. Nessuna smentita da Pd e ministero.La riforma dei valori degli immobili scompare dalla versione della Nadef pubblicata sul sito del Mef. Il sottosegretario Antonio Misiani: «Non c'è nella manovra, ma va fatta...».Lo speciale contiene tre articoli.L'Iva manda ai pazzi il governo. «Lo stiamo dicendo da settimane, basta con titoli fuorvianti e false ricostruzioni. L'Iva non si aumenta», ha scandito in una nota Laura Castelli, sottosegretario dell'Economia e delle Finanze. Smentendo il titolo della Stampa che recitava «Su Iva nessun tabù, liberi di discutere». Non ha però eccepito nulla sul contenuto dell'articolo nel quale si spiegava che la ridiscussione delle percentuale spetta al Parlamento. Infatti l'aumento Iva uscito dalla porta ritorna quotidianamente dalla finestra. E impone ai pr dei due partiti di maggioranza continui interventi tampone. «Ancora oggi sui giornali sentiamo parlare di rimodulazione dell'Iva. Lo ribadiamo per l'ennesima volta: no a giochini e giri di parole, l'Iva non deve aumentare», fanno sapere dal quartier generale dei 5 stelle. «Questo governo nasce su due principi fondanti: il blocco dell'Iva e il taglio dei Parlamentari. Se uno dei due viene meno, allora si perde il senso di questo governo». Peccato che sempre ieri in una chiacchierata con Avvenire il ministro agli Affari Regionali, Francesco Boccia, ha detto che le rimodulazioni Iva «si faranno perché oggi in questa imposta ci sono situazioni ingiuste». Fraintendimento dei giornalisti? Assolutamente no perché, sempre ieri, alla Camera dei deputati, a margine dell'audizione in commissione per le questioni regionali, ha ribadito: «Siamo nella condizione in cui assorbenti e pannolini sono tassati con Iva ordinaria al 22% e alcuni beni anche di lusso vivono di evidenti agevolazioni. Rimodulare le aliquote Iva rivedendo i panieri entro la legislatura è dovere di un governo che è nato con le intenzioni di ridurre le ingiustizie presenti nella società».Se non fosse stato sufficientemente chiaro, Boccia rincara la dose. «Dire con chiarezza che ci sono ingiustizie che vanno corrette è nostro dovere. Questo significa rimodulare l'Iva non altro e non certamente le ricostruzioni macchiettistiche dei giorni scorsi secondo le quali c'era chi voleva aumentare l'Iva e chi non voleva. Nessuno vuole aumentarla ma eliminare le ingiustizie è un dovere», ha aggiunto il ministro. Tutte le frasi che fanno appello alla giustizia sociale si possono comprendere tramite un semplice esercizio. Basta tornare indietro al 13 ottobre del 2011 leggere l'audizione di Vieri Ceriani e di Daniele Franco a Bankitalia sul progetto di riforma fiscale e rimodulazione dell'Iva. Il secondo firmatario dopo essere stato alla Ragioneria è ritornato a Bankitalia, mentre il primo - inventore delle principali tasse italiane - dal ruolo un po' secondario al Sose in questi giorni è rispuntato dalle parti del Mef. Non è un advisor ma un consulente rinomato per la sinistra. Ed è il maggiore esperto di bilanciamento tra le rimodulazioni Iva e il taglio delle cosiddette tax expenditures, le detrazioni e le deduzioni. «Gli interventi andrebbero selezionati anche sulla base del loro impatto redistributivo. La riduzione di tutte le detrazioni e le deduzioni ai fini Irpef inciderebbe maggiormente sulle classi di reddito più basse, soprattutto per effetto della struttura delle detrazioni (decrescenti rispetto al reddito complessivo). La valutazione degli effetti redistributivi di eventuali inasprimenti dell'Iva è più complessa», spiegava Ceriani otto anni fa, «l'impatto è differente a seconda dell'aliquota: l'aumento dell'aliquota ordinaria incide maggiormente sulle famiglie con redditi più elevati; quello delle aliquote ridotte incide significativamente sulle famiglie in condizioni economiche meno favorevoli». La posizione di riforma è chiara e spiega perfettamente il concetto di rimodulazione. All'epoca lo storico consulente dei governi di sinistra spiegava che per bilanciare l'effetto Iva sarebbe stato necessario intervenire sulle aliquote Irpef, ridurle e portare la percentuale massima di prelievo dal 43 al 40%. Invece adesso il Mef sembra volersi muovere nella direzione opposta. Rimodulare l'Iva lasciando le aliquote Irpef invariate o peggio alzandole significa alzare le tasse. È un fatto scientifico. La sfilza di dichiarazione dei politici di maggioranza non cambierà mai i fatti, perché la realtà dimostra che a coprire la manovra finanziaria mancano tra i 4 e gli 11 miliardi di euro. A questo servirà rimodulare l'Iva così come servirà mettere in cantiere la revisione dei costi di accesso alla sanità. Tant'è che la mezza smentita di Giuseppe Conte, arrivata dopo l'ennesimo intervento per negare l'aumento Iva, si è dimostrata una conferma. «Gli interventi su super ticket e ticket sanitari sono programmati non domani mattina: il nostro è un progetto riformatore che non scade a dicembre, abbiamo un patto da attuare in questa legislatura. Anche i tempi degli interventi li dobbiamo dosare nel corso dei mesi e degli anni, non possiamo pensare che tutto si esaurisca a dicembre». Nessuno ha mai immaginato che la botta di tasse potesse arrivare di colpo dal primo gennaio, c'è un intero anno lungo il quale spalmare l'aumento della pressione fiscale e purtroppo anche degli adempimenti burocratici. Per contrastare il nero si stanno studiando diversi meccanismi, uno dei quali potrebbe essere quello di rendere i datori di lavoro dei sostituti di imposta e pagare, così, oltre ai contributi, anche l'Irpef a colf e badanti. Tradotto servirà pure il commercialista con tanto di parcella.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/continua-il-gioco-sporco-sulliva-vogliono-alzarla-ma-non-lammettono-2640821317.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-il-mef-targato-ex-pci-da-la-caccia-ai-ricchi" data-post-id="2640821317" data-published-at="1758063156" data-use-pagination="False"> E il Mef targato ex Pci dà la caccia ai ricchi Doppia bomba sganciata da Dagospia; gran silenzio del Mef e del Pd; e renziani mobilitati, ma - attenzione - per disinnescarne solo una: quella che riguarda direttamente il loro capo. Mentre sull'ipotetico ordigno a orologeria in via di concepimento contro gli italiani «colpevoli» di avere un reddito elevato, nessuno fiata. Dunque, chi tace acconsente? «Anche i ricchi piangano», recitava un orrido manifesto di Rifondazione comunista nel 2007. Sono passati molti anni, ma la sensazione è che, con il rosso antico che torna in grande stile nelle stanze del Mef, l'aria sia di nuovo quella. Vediamo perché. Ieri mattina, il sito di Roberto D'Agostino ha pubblicato una succosa Dagonews, sotto il titolo «La lotta di classe arriva al ministero dell'Economia». E come mai? Perché il sottosegretario Antonio Misiani avrebbe allertato gli uffici del ministero, chiedendo di studiare una nuova aliquota Irpef letteralmente da esproprio proletario: 50% di tassazione per gli imponibili superiori ai 300.000 euro all'anno. Ciascuno può immaginarne gli eventuali effetti: fuga all'estero degli interessati, in alternativa gran corsa al nero, e comunque sforzi titanici per rimanere sotto il tetto. Tutte cose negative dal punto di vista economico, e perfino dal punto di vista del gettito fiscale. Missione impossibile spiegare ai comunisti (di andata e di ritorno) il senso della «curva di Laffer», dal nome del grande economista Arthur Laffer, l'uomo che ispirò la riforma fiscale del grande Ronald Reagan. C'è una soglia al di là della quale aumentare le tasse scoraggia la creazione di nuovo reddito: se l'aliquota fiscale è troppo alta oltre un certo limite, perché una persona dovrebbe affannarsi a creare altra ricchezza che sarebbe borseggiata dall'erario? Morale: a quel punto, no a ulteriori profitti, niente nuovo imponibile, e giù pure il gettito. Ma tant'è, ai comunisti non entra in testa. Secondo Dagospia, i suggeritori all'orecchio di Misiani e del ministro Roberto Gualtieri sarebbero un terzetto culturalmente composito: il gran tassatore e indimenticabile «Dracula» Vincenzo Visco, l'esperto Vieri Ceriani (vicino alle posizioni di Visco), e il renziano doc Ernesto Maria Ruffini, che il Giglio magico collocò al vertice dell'Agenzia delle Entrate (per paradosso: in nome del «fisco amico»). E già questa era una bomba enorme, a cui Dago ne ha aggiunta una seconda. Secondo i sussurri degli «ortodossi» del Pd, quest'aliquota da rapina sarebbe stata ribattezzata come l'«aliquota Renzi». Frasetta perfida interpretabile in due modi. Prima ipotesi: «aliquota Renzi» nel senso che, con le sue prestazioni extrapolitiche (conferenze, ecc), Renzi guadagnerebbe molto più di quel tetto. Oppure, seconda ipotesi riferita da Dago: «l'ex premier, proprio per mettere in salvo i proventi che gli derivano dalle conferenze in giro nel mondo, ha creato una società ad hoc. Ne consegue che gli utili che ricava come conferenziere hanno il regime fiscale delle società. E gli utili dell'amministratore non finiscono nell'imponibile Irpef». Questa affermazione di Dagospia, che ci siamo limitati a riportare tra virgolette, è stata oggetto di una reazione furiosa del capo di Italia viva: «Matteo Renzi ha denunciato il sito Dagospia chiedendo un risarcimento danni di 100.000 euro per aver sostenuto che gli utili che Renzi ricava come conferenziere hanno il regime fiscale delle società. La notizia è falsa, destituita di ogni fondamento e gravemente lesiva della reputazione del senatore Renzi». Così recitava una nota fiammeggiante dell'ufficio stampa renziano, pubblicata da Dagospia, che (a nostro avviso correttamente) si è domandata come mai, anziché chiedere una normale e ultralegittima rettifica, Renzi sia direttamente passato alle più pesanti azioni legali. Resta però una questione, che non sarà sfuggita ai lettori più attenti. Renzi ha fatto smentire con forza la parte che lo riguarda, cioè le ipotesi o le insinuazioni sul regime fiscale a cui è personalmente sottoposto. Ma nessuna smentita è giunta né da lui né da altri - a meno di nostri errori e omissioni, dei quali eventualmente ci scusiamo - sulla notizia che riguarda i contribuenti italiani, e cioè l'eventualità della nuova aliquota-rapina. Su questa notizia, cioè sulla seconda bomba sganciata da Dago, silenzio totale. Silenzio dal Mef, che - desumiamo - sta vagliando davvero anche questo tipo di arma finale contro la creazione di reddito e ricchezza. Silenzio del Pd, a cui appartengono sia il sottosegretario Misiani sia il ministro Gualtieri. E gran silenzio pure dei renziani, che dovrebbero rappresentare l'ala modernizzatrice della sinistra, e invece non hanno dedicato nemmeno un piccolo tweet a smentire l'ipotesi di bastonare con il loro consenso una quota di contribuenti che avrebbe solo la «colpa» di produrre reddito elevato in modo legale, regolare e dichiarato. Badate bene. È evidente che un imponibile di quel genere sia irraggiungibile per la stragrande maggioranza di noi comuni mortali. Ma punire e massacrare chi arriva a quei livelli di ricchezza non ha senso: questi cittadini dovrebbero anzi essere incoraggiati a spendere, a consumare, a far muovere l'economia, a beneficio di imprese e fornitori di beni e servizi. Così ragiona chi non è posseduto da quell'invidia sociale che - invece - era e resta il marchio di fabbrica culturale (e perfino psicopolitico) di una sinistra che non cambia mai. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/continua-il-gioco-sporco-sulliva-vogliono-alzarla-ma-non-lammettono-2640821317.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="catasto-il-dietrofront-e-una-burla" data-post-id="2640821317" data-published-at="1758063156" data-use-pagination="False"> Catasto, il dietrofront è una burla Ci hanno provato, pensavano che nel bailamme delle misure nessuno se ne sarebbe accorto. Invece è scoppiata la polemica e sono stati costretti a un repentino dietro front. Stiamo parlando della riforma del catasto, inserita dal ministro dem dell'Economia, Roberto Gualtieri, nella prima versione della Nota di aggiornamento al Def (il Documento di economia e finanza) e scomparsa nel giro di 48 ore. Il primo a suonare la ritirata è stato il viceministro dell'Economia, Antonio Misiani pure lui dem, mentre esplodeva la polemica dell'opposizione sull'ennesimo rincaro delle imposte e la Confedilizia accusava il governo di infliggere il colpo di grazia a un mercato immobiliare già depresso. Dalla platea popolare di Porta a Porta, Misiani è corso ai ripari a tranquillizzare la proprietà immobiliare già tartassata e terrorizzata dell'ennesima batosta: «Non ci sarà una revisione del catasto, lo escludo». A stretto giro, «una manina» ha provveduto a rimuovere la riforma dalla versione della Nadef pubblicata sul sito del Tesoro. Uno sbianchettamento che dovrebbe servire a rasserenare quel 90% di italiani proprietari di casa ma visto che l'intenzione c'era, è difficile pensare che non possa essere ripescata, magari nel corso di una delle maratone notturne nelle quali si inseriscono gli emendamenti più scomodi. Peraltro Misiani dopo la smentita ha ammesso che, una riforma seria dei valori catastali, deve essere fatta. Ci sono tre fattori per la sinistra che remano a favore di una revisione dei parametri sui quali si calcola Imu e Tasi. Innanzitutto la necessità di far quadrare i conti. Al momento, come è tradizione per ogni manovra economica, i fondi mancanti si caricano sulla voce della lotta all'evasione fiscale, pur sapendo che difficilmente con le operazioni di contrasto all'illegalità si riesce a centrare l'obiettivo. Nella Nota di aggiornamento si legge che colpendo i furbetti del fisco, il governo conta di incassare ben 7 miliardi. È una illusione. Le operazioni di contrasto all'evasione riescono, ogni anno, a recuperare meno del 10% degli oltre 200 miliardi nascosti. Il fattore numero due che fa diffidare della reale volontà del governo di rinunciare alla riforma è il pressing costante della Ue che da sempre chiede di allineare i valori catastali a quelli di mercato. La richiesta è stata ripresentata in occasione dell'Ecofin del 9 luglio scorso. Bruxelles vorrebbe anche l'aumento dell'Iva. La Commissione europea ha concesso all'Italia un margine di flessibilità e magari ora si aspetta che il governo «faccia i compiti», seguendo alcuni «consigli». Infine c'è il legame stretto tra il gettito di Imu e Tasi e i fabbisogni standard dei Comuni. La revisione del catasto rimpalla sul tavolo di Palazzo Chigi dal 2014 quando, dopo svariati annunci, ha preso corpo in un decreto legislativo. Nessun governo però se l'è sentita finora di esercitare la delega, temendo l'impatto elettorale, anche se il testo è pronto nel dettaglio. Nel 2017 ci fu un'iniziativa parlamentare di Pd e Fi che resuscitarono la norma ma anche allora non se ne fece nulla. Il problema era sempre quello dell'invariata del gettito, impossibile da realizzare. Le simulazioni indicano rincari doppi o addirittura tripli. Senza contare poi gli effetti collaterali come l'influenza sull'Isee e quindi sulle prestazioni assistenziali e le detrazioni. Un anziano, solo, residente in una casa semicentrale, ora considerata economica, subirebbe una batosta senza precedenti. Più tasse e meno agevolazioni sociali. La diffidenza della Confedilizia di fronte alla marcia indietro del governo suggerisce di non abbassare la guardia. Nella cautela della proprietà immobiliare si legge il timore che le maggiori imposte sulla casa possano servire ancora una volta a soddisfare il fabbisogno dei Comuni. Non a caso nei giorni scorsi era emersa l'ipotesi di un taglio ai trasferimenti statali. La compensazione potrebbe venire proprio da un nuovo catasto.