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2021-12-09
Conte si butta sul proporzionale per non scomparire alle elezioni
Ansa
Giuseppi si butta sul proporzionale: ospite di Atreju, la kermesse organizzata da Fratelli d’Italia, il leader del M5s, Giuseppe Conte, alla domanda su quale legge elettorale ritenga migliore, risponde così: «Sulla legge elettorale la mia opinione è che non esiste una legge ideale. La legge elettorale interpreta il momento storico che si vive, e va confezionata sulla sensibilità di questa fase. Mi permetto di dire che in questa fase storica ci sono tante differenti sensibilità, sia nel centrodestra che nell’area progressista». Aggiunge Conte: «Credo che il modo migliore per affrontare la nuova legislatura sia un proporzionale con una soglia di sbarramento seria, al 5%. Consentirebbe alle forze politiche di poter competere con una relativa autonomia rispetto agli alleati di schieramento. Si può pensare a un patto di legislatura, contro il cambio di alleanze. La formula attuale», ricorda Giuseppi, «non ha consentito ai cittadini di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. La formula attuale non garantirà ai cittadini di eleggere il presidente del Consiglio neanche nella prossima legislatura».
Conte non riesce proprio a tagliare il cordone ombelicale, in termini politici, con il guru del Pd, Goffredo Bettini: «Sulla legge elettorale», aveva detto in mattinata Bettini a Sky Tg24, «dico: proporzionale, proporzionale e ancora proporzionale. Le difficoltà di costituire una realtà dei cosiddetti riformisti per svolgere un ruolo positivo, mentre oggi svolgono soprattutto un ruolo di incursione negativa nei confronti del Pd e degli altri partiti, impone la scelta del proporzionale. Ognuno», aveva aggiunto Bettini, «deve riconquistare un suo profilo e le alleanze si faranno dopo la campagna elettorale, quando ognuno misurerà la sua forza e le sue proposte programmatiche per l’Italia».
Il tuffo di Giuseppi sul proporzionale dimostra il sacro terrore del centrosinistra di perdere le prossime elezioni. In ogni caso, Conte dice la sua anche sulle riforme dicendo no alla proposta del presidenzialismo: «Mi permetto di dire», sottolinea Conte, «che ho avanzato delle proposte: non credo che ora ci sia la prospettiva di dare vita a una fase costituente. Ora serve qualcosa di concreto: firmiamo la sfiducia costruttiva, senza cambiare l’impostazione generale, facciamo come in Germania. Poi potremmo introdurre che si prende la fiducia a Camere congiunte, terzo possiamo ragionare sul premier che abbia la possibilità di revocare il mandato dei ministri. Serve stabilità», aggiunge il leader del M5s, «non possiamo avere un governo che duri un anno».
Conte torna anche, con un certo fastidio, sul rifiuto alla proposta di Enrico Letta (che oggi alle 19 sarà intervistato, sempre ad Atreju, da Maurizio Belpietro e Bruno Vespa) di candidarsi alle suppletive del 16 gennaio, per il seggio alla Camera lasciato vacante da Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma: «Siamo al terzo giorno di polemiche», evidenzia Conte, «e stiamo ancora parlando di questo seggio. Credo che ai cittadini interessino ben altri problemi. Enrico Letta mi ha fatto in modo molto cortese questa proposta, ne abbiamo parlato, gli ho espresso le mie perplessità e ho declinato. Gli ho spiegato le mie ragioni. Lo stipendio da deputato per vivere? Io da vari mesi non prendo una lira, sono in aspettativa all’università e non esercito la professione. Quando sono stato chiamato a questa grande responsabilità di fare il presidente del Consiglio ho tracciato una linea», argomenta l’ex premier, «ho mandato le fatture ai clienti, ho incassato un po’ e camperò di quello».
In molti hanno interpretato il rifiuto di Conte a candidarsi alla Camera con la sua voglia matta di andare alle elezioni anticipate subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica, in modo tale da poter compilare le liste e far eleggere suoi fedelissimi. Una chance che potrebbe sfuggirgli di mano se si votasse tra un anno, considerato che la sua leadership nel M5s è sempre più appannata. Ma quando si andrà al voto? «Gli elettori», risponde sibillino Conte, «devono votare ma una volta usciti da un contesto di emergenza. Le primarie per scegliere il leader del campo progressista? A tempo debito valuteremo il modo e il criterio migliore ma non mi spaventa questa possibilità».
A proposito di presidente della Repubblica, a chi pensa Conte? «Non è che possiamo qui a metterci a discutere», risponde Giuseppi, «chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. Vogliamo personalità di alto profilo morale? Se vogliamo questo, più la discussione sarà ampia, aperta a tutte le forze politiche, più avremo la garanzia che sarà rappresentante di tutti e che la rappresentanza sarà più elevata a livello morale. Non è scritto da nessuna parte», sottolinea Conte, «che la sua provenienza debba essere solo da una parte politica». Conte si lascia (di nuovo) andare a parole di apprezzamento nei confronti di Silvio Berlusconi: «Berlusconi», sottolinea Conte, «ha avuto un grande consenso, ha interpretato il sentire del Paese, ha interpretato il desiderio del bipolarismo e ha contribuito a spingere i partiti di destra verso una destra moderna e di governo».
Cartabia-Fdi, feeling in vista Colle
Qualche irriducibile del retroscena, ieri pomeriggio ad Atreju, si è illuminato quando il Guardasigilli Marta Cartabia ha usato parole irritualmente benevole nei confronti di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, poi immortalate assieme sorridenti sul palco dai fotografi. Quando il ministro della Giustizia - di solito estremamente avara di pubbliche esternazioni - ha motivato la sua presenza alla festa più famosa della destra italiana con il dovere di confrontarsi con l’unico partito di opposizione, i più maliziosi tra i cronisti hanno buttato lì uno scenario in cui, magari tramontata o affossata in aula la candidatura di Silvio Berlusconi per il Quirinale, Fdi possa non ostacolare l’ipotesi Cartabia. Passando dal gioco del toto-Colle ai problemi urgenti del nostro Paese, c’è da dire che il confronto sulla giustizia ha messo molta carne al fuoco, anche per merito del deputato e responsabile Giustizia del partito, Andrea Delmastro, che ha introdotto il dibattito (cui ha partecipato anche l’ex pm Carlo Nordio) incalzando il ministro su questioni cruciali come la riforma del Csm, resa imprescindibile dall’esplosione del caso Palamara, lo stop alle porte girevoli tra magistratura e politica e la certezza della pena, messa in grave difficoltà dal sovraffollamento carcerario, dovuto a sua volta dall’altissima percentuale di detenuti stranieri e dalla tendenza all’indulto delle sinistre.
E il ministro, le cui parole sono state più volte accompagnate dagli applausi dei presenti, non si è sottratto. Anzi, è partito forte annunciando un giro di consultazioni a partire da stamani coi partiti della maggioranza per arrivare finalmente a boccino con la riforma del sistema elettorale e della composizione del Consiglio superiore della magistratura, che i continui scandali non sono riusciti ancora a sottrarre dalla dittatura delle correnti spesso egemonizzate dalla sinistra. Una riforma che la Cartabia - lo ha fatto capire tra le righe - vorrebbe molto più incisiva di quel che verosimilmente sarà, ma per la quale occorrerà una convergenza che vada da M5s a Italia viva, e quindi il concreto rischio di un compromesso fortemente al ribasso.
Nonostante ciò, il mood del ministro sulle storture del sistema si è capito quando si è lasciata andare ad un’anticipazione, citando il caso di Catello Maresca, magistrato ex candidato a sindaco di Napoli e ora contemporaneamente togato e consigliere comunale: «La proposta che farò alle forze di maggioranza», ha detto, «è come un caso come quello non possa mai più ripetersi. Che un giudice possa svolgere contemporaneamente funzioni giudiziarie e politiche non deve accadere».
Quanto alle questioni che riguardano più strettamente la vita quotidiana dei cittadini, come i tempi della giustizia, sia essa penale, civile o tributaria, il Guardasigilli si è mostrata ottimista affermando che «i tempi per la riforma sono propizi» grazie alle risorse previste dal Pnrr per la digitalizzazione e l’assunzione di nuove risorse. Applausi anche quando il ministro ha riconosciuto che il problema del sovraffollamento delle carceri è da attribuire anche alla forte presenza di detenuti stranieri, per i quali via Arenula sta cercando di «potenziare gli accordi per farli tornare nella loro patria a scontare la pena». Inevitabile, a questo punto, un riferimento alla triste vicenda di Chico Forti, che ha inviato lunedì scorso dal suo luogo di detenzione in Usa un messaggio di ringraziamento a Fdi: «Siamo impegnati», ha detto il ministro Cartabia, «per farlo tornare in Italia e fargli scontare la pena restante nel nostro Paese».
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Riduci
Il leader del M5s ad Atreju si accoda al pensiero del guru del Pd, Goffredo Bettini: «L’attuale formula non consente di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. Gli esecutivi non possono durare un anno»Il ministro della Giustizia ha usato parole benevole nei confronti di Giorgia Meloni. Poi ha perorato la riforma del Csm. «Carceri sovraffollate per la presenza di stranieri»Lo speciale contiene due articoliGiuseppi si butta sul proporzionale: ospite di Atreju, la kermesse organizzata da Fratelli d’Italia, il leader del M5s, Giuseppe Conte, alla domanda su quale legge elettorale ritenga migliore, risponde così: «Sulla legge elettorale la mia opinione è che non esiste una legge ideale. La legge elettorale interpreta il momento storico che si vive, e va confezionata sulla sensibilità di questa fase. Mi permetto di dire che in questa fase storica ci sono tante differenti sensibilità, sia nel centrodestra che nell’area progressista». Aggiunge Conte: «Credo che il modo migliore per affrontare la nuova legislatura sia un proporzionale con una soglia di sbarramento seria, al 5%. Consentirebbe alle forze politiche di poter competere con una relativa autonomia rispetto agli alleati di schieramento. Si può pensare a un patto di legislatura, contro il cambio di alleanze. La formula attuale», ricorda Giuseppi, «non ha consentito ai cittadini di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. La formula attuale non garantirà ai cittadini di eleggere il presidente del Consiglio neanche nella prossima legislatura».Conte non riesce proprio a tagliare il cordone ombelicale, in termini politici, con il guru del Pd, Goffredo Bettini: «Sulla legge elettorale», aveva detto in mattinata Bettini a Sky Tg24, «dico: proporzionale, proporzionale e ancora proporzionale. Le difficoltà di costituire una realtà dei cosiddetti riformisti per svolgere un ruolo positivo, mentre oggi svolgono soprattutto un ruolo di incursione negativa nei confronti del Pd e degli altri partiti, impone la scelta del proporzionale. Ognuno», aveva aggiunto Bettini, «deve riconquistare un suo profilo e le alleanze si faranno dopo la campagna elettorale, quando ognuno misurerà la sua forza e le sue proposte programmatiche per l’Italia».Il tuffo di Giuseppi sul proporzionale dimostra il sacro terrore del centrosinistra di perdere le prossime elezioni. In ogni caso, Conte dice la sua anche sulle riforme dicendo no alla proposta del presidenzialismo: «Mi permetto di dire», sottolinea Conte, «che ho avanzato delle proposte: non credo che ora ci sia la prospettiva di dare vita a una fase costituente. Ora serve qualcosa di concreto: firmiamo la sfiducia costruttiva, senza cambiare l’impostazione generale, facciamo come in Germania. Poi potremmo introdurre che si prende la fiducia a Camere congiunte, terzo possiamo ragionare sul premier che abbia la possibilità di revocare il mandato dei ministri. Serve stabilità», aggiunge il leader del M5s, «non possiamo avere un governo che duri un anno».Conte torna anche, con un certo fastidio, sul rifiuto alla proposta di Enrico Letta (che oggi alle 19 sarà intervistato, sempre ad Atreju, da Maurizio Belpietro e Bruno Vespa) di candidarsi alle suppletive del 16 gennaio, per il seggio alla Camera lasciato vacante da Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma: «Siamo al terzo giorno di polemiche», evidenzia Conte, «e stiamo ancora parlando di questo seggio. Credo che ai cittadini interessino ben altri problemi. Enrico Letta mi ha fatto in modo molto cortese questa proposta, ne abbiamo parlato, gli ho espresso le mie perplessità e ho declinato. Gli ho spiegato le mie ragioni. Lo stipendio da deputato per vivere? Io da vari mesi non prendo una lira, sono in aspettativa all’università e non esercito la professione. Quando sono stato chiamato a questa grande responsabilità di fare il presidente del Consiglio ho tracciato una linea», argomenta l’ex premier, «ho mandato le fatture ai clienti, ho incassato un po’ e camperò di quello».In molti hanno interpretato il rifiuto di Conte a candidarsi alla Camera con la sua voglia matta di andare alle elezioni anticipate subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica, in modo tale da poter compilare le liste e far eleggere suoi fedelissimi. Una chance che potrebbe sfuggirgli di mano se si votasse tra un anno, considerato che la sua leadership nel M5s è sempre più appannata. Ma quando si andrà al voto? «Gli elettori», risponde sibillino Conte, «devono votare ma una volta usciti da un contesto di emergenza. Le primarie per scegliere il leader del campo progressista? A tempo debito valuteremo il modo e il criterio migliore ma non mi spaventa questa possibilità».A proposito di presidente della Repubblica, a chi pensa Conte? «Non è che possiamo qui a metterci a discutere», risponde Giuseppi, «chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. Vogliamo personalità di alto profilo morale? Se vogliamo questo, più la discussione sarà ampia, aperta a tutte le forze politiche, più avremo la garanzia che sarà rappresentante di tutti e che la rappresentanza sarà più elevata a livello morale. Non è scritto da nessuna parte», sottolinea Conte, «che la sua provenienza debba essere solo da una parte politica». Conte si lascia (di nuovo) andare a parole di apprezzamento nei confronti di Silvio Berlusconi: «Berlusconi», sottolinea Conte, «ha avuto un grande consenso, ha interpretato il sentire del Paese, ha interpretato il desiderio del bipolarismo e ha contribuito a spingere i partiti di destra verso una destra moderna e di governo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-si-butta-sul-proporzionale-per-non-scomparire-alle-elezioni-2655952075.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cartabia-fdi-feeling-in-vista-colle" data-post-id="2655952075" data-published-at="1639003343" data-use-pagination="False"> Cartabia-Fdi, feeling in vista Colle Qualche irriducibile del retroscena, ieri pomeriggio ad Atreju, si è illuminato quando il Guardasigilli Marta Cartabia ha usato parole irritualmente benevole nei confronti di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, poi immortalate assieme sorridenti sul palco dai fotografi. Quando il ministro della Giustizia - di solito estremamente avara di pubbliche esternazioni - ha motivato la sua presenza alla festa più famosa della destra italiana con il dovere di confrontarsi con l’unico partito di opposizione, i più maliziosi tra i cronisti hanno buttato lì uno scenario in cui, magari tramontata o affossata in aula la candidatura di Silvio Berlusconi per il Quirinale, Fdi possa non ostacolare l’ipotesi Cartabia. Passando dal gioco del toto-Colle ai problemi urgenti del nostro Paese, c’è da dire che il confronto sulla giustizia ha messo molta carne al fuoco, anche per merito del deputato e responsabile Giustizia del partito, Andrea Delmastro, che ha introdotto il dibattito (cui ha partecipato anche l’ex pm Carlo Nordio) incalzando il ministro su questioni cruciali come la riforma del Csm, resa imprescindibile dall’esplosione del caso Palamara, lo stop alle porte girevoli tra magistratura e politica e la certezza della pena, messa in grave difficoltà dal sovraffollamento carcerario, dovuto a sua volta dall’altissima percentuale di detenuti stranieri e dalla tendenza all’indulto delle sinistre. E il ministro, le cui parole sono state più volte accompagnate dagli applausi dei presenti, non si è sottratto. Anzi, è partito forte annunciando un giro di consultazioni a partire da stamani coi partiti della maggioranza per arrivare finalmente a boccino con la riforma del sistema elettorale e della composizione del Consiglio superiore della magistratura, che i continui scandali non sono riusciti ancora a sottrarre dalla dittatura delle correnti spesso egemonizzate dalla sinistra. Una riforma che la Cartabia - lo ha fatto capire tra le righe - vorrebbe molto più incisiva di quel che verosimilmente sarà, ma per la quale occorrerà una convergenza che vada da M5s a Italia viva, e quindi il concreto rischio di un compromesso fortemente al ribasso. Nonostante ciò, il mood del ministro sulle storture del sistema si è capito quando si è lasciata andare ad un’anticipazione, citando il caso di Catello Maresca, magistrato ex candidato a sindaco di Napoli e ora contemporaneamente togato e consigliere comunale: «La proposta che farò alle forze di maggioranza», ha detto, «è come un caso come quello non possa mai più ripetersi. Che un giudice possa svolgere contemporaneamente funzioni giudiziarie e politiche non deve accadere». Quanto alle questioni che riguardano più strettamente la vita quotidiana dei cittadini, come i tempi della giustizia, sia essa penale, civile o tributaria, il Guardasigilli si è mostrata ottimista affermando che «i tempi per la riforma sono propizi» grazie alle risorse previste dal Pnrr per la digitalizzazione e l’assunzione di nuove risorse. Applausi anche quando il ministro ha riconosciuto che il problema del sovraffollamento delle carceri è da attribuire anche alla forte presenza di detenuti stranieri, per i quali via Arenula sta cercando di «potenziare gli accordi per farli tornare nella loro patria a scontare la pena». Inevitabile, a questo punto, un riferimento alla triste vicenda di Chico Forti, che ha inviato lunedì scorso dal suo luogo di detenzione in Usa un messaggio di ringraziamento a Fdi: «Siamo impegnati», ha detto il ministro Cartabia, «per farlo tornare in Italia e fargli scontare la pena restante nel nostro Paese».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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