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2021-12-09
Conte si butta sul proporzionale per non scomparire alle elezioni
Ansa
Giuseppi si butta sul proporzionale: ospite di Atreju, la kermesse organizzata da Fratelli d’Italia, il leader del M5s, Giuseppe Conte, alla domanda su quale legge elettorale ritenga migliore, risponde così: «Sulla legge elettorale la mia opinione è che non esiste una legge ideale. La legge elettorale interpreta il momento storico che si vive, e va confezionata sulla sensibilità di questa fase. Mi permetto di dire che in questa fase storica ci sono tante differenti sensibilità, sia nel centrodestra che nell’area progressista». Aggiunge Conte: «Credo che il modo migliore per affrontare la nuova legislatura sia un proporzionale con una soglia di sbarramento seria, al 5%. Consentirebbe alle forze politiche di poter competere con una relativa autonomia rispetto agli alleati di schieramento. Si può pensare a un patto di legislatura, contro il cambio di alleanze. La formula attuale», ricorda Giuseppi, «non ha consentito ai cittadini di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. La formula attuale non garantirà ai cittadini di eleggere il presidente del Consiglio neanche nella prossima legislatura».
Conte non riesce proprio a tagliare il cordone ombelicale, in termini politici, con il guru del Pd, Goffredo Bettini: «Sulla legge elettorale», aveva detto in mattinata Bettini a Sky Tg24, «dico: proporzionale, proporzionale e ancora proporzionale. Le difficoltà di costituire una realtà dei cosiddetti riformisti per svolgere un ruolo positivo, mentre oggi svolgono soprattutto un ruolo di incursione negativa nei confronti del Pd e degli altri partiti, impone la scelta del proporzionale. Ognuno», aveva aggiunto Bettini, «deve riconquistare un suo profilo e le alleanze si faranno dopo la campagna elettorale, quando ognuno misurerà la sua forza e le sue proposte programmatiche per l’Italia».
Il tuffo di Giuseppi sul proporzionale dimostra il sacro terrore del centrosinistra di perdere le prossime elezioni. In ogni caso, Conte dice la sua anche sulle riforme dicendo no alla proposta del presidenzialismo: «Mi permetto di dire», sottolinea Conte, «che ho avanzato delle proposte: non credo che ora ci sia la prospettiva di dare vita a una fase costituente. Ora serve qualcosa di concreto: firmiamo la sfiducia costruttiva, senza cambiare l’impostazione generale, facciamo come in Germania. Poi potremmo introdurre che si prende la fiducia a Camere congiunte, terzo possiamo ragionare sul premier che abbia la possibilità di revocare il mandato dei ministri. Serve stabilità», aggiunge il leader del M5s, «non possiamo avere un governo che duri un anno».
Conte torna anche, con un certo fastidio, sul rifiuto alla proposta di Enrico Letta (che oggi alle 19 sarà intervistato, sempre ad Atreju, da Maurizio Belpietro e Bruno Vespa) di candidarsi alle suppletive del 16 gennaio, per il seggio alla Camera lasciato vacante da Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma: «Siamo al terzo giorno di polemiche», evidenzia Conte, «e stiamo ancora parlando di questo seggio. Credo che ai cittadini interessino ben altri problemi. Enrico Letta mi ha fatto in modo molto cortese questa proposta, ne abbiamo parlato, gli ho espresso le mie perplessità e ho declinato. Gli ho spiegato le mie ragioni. Lo stipendio da deputato per vivere? Io da vari mesi non prendo una lira, sono in aspettativa all’università e non esercito la professione. Quando sono stato chiamato a questa grande responsabilità di fare il presidente del Consiglio ho tracciato una linea», argomenta l’ex premier, «ho mandato le fatture ai clienti, ho incassato un po’ e camperò di quello».
In molti hanno interpretato il rifiuto di Conte a candidarsi alla Camera con la sua voglia matta di andare alle elezioni anticipate subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica, in modo tale da poter compilare le liste e far eleggere suoi fedelissimi. Una chance che potrebbe sfuggirgli di mano se si votasse tra un anno, considerato che la sua leadership nel M5s è sempre più appannata. Ma quando si andrà al voto? «Gli elettori», risponde sibillino Conte, «devono votare ma una volta usciti da un contesto di emergenza. Le primarie per scegliere il leader del campo progressista? A tempo debito valuteremo il modo e il criterio migliore ma non mi spaventa questa possibilità».
A proposito di presidente della Repubblica, a chi pensa Conte? «Non è che possiamo qui a metterci a discutere», risponde Giuseppi, «chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. Vogliamo personalità di alto profilo morale? Se vogliamo questo, più la discussione sarà ampia, aperta a tutte le forze politiche, più avremo la garanzia che sarà rappresentante di tutti e che la rappresentanza sarà più elevata a livello morale. Non è scritto da nessuna parte», sottolinea Conte, «che la sua provenienza debba essere solo da una parte politica». Conte si lascia (di nuovo) andare a parole di apprezzamento nei confronti di Silvio Berlusconi: «Berlusconi», sottolinea Conte, «ha avuto un grande consenso, ha interpretato il sentire del Paese, ha interpretato il desiderio del bipolarismo e ha contribuito a spingere i partiti di destra verso una destra moderna e di governo».
Cartabia-Fdi, feeling in vista Colle
Qualche irriducibile del retroscena, ieri pomeriggio ad Atreju, si è illuminato quando il Guardasigilli Marta Cartabia ha usato parole irritualmente benevole nei confronti di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, poi immortalate assieme sorridenti sul palco dai fotografi. Quando il ministro della Giustizia - di solito estremamente avara di pubbliche esternazioni - ha motivato la sua presenza alla festa più famosa della destra italiana con il dovere di confrontarsi con l’unico partito di opposizione, i più maliziosi tra i cronisti hanno buttato lì uno scenario in cui, magari tramontata o affossata in aula la candidatura di Silvio Berlusconi per il Quirinale, Fdi possa non ostacolare l’ipotesi Cartabia. Passando dal gioco del toto-Colle ai problemi urgenti del nostro Paese, c’è da dire che il confronto sulla giustizia ha messo molta carne al fuoco, anche per merito del deputato e responsabile Giustizia del partito, Andrea Delmastro, che ha introdotto il dibattito (cui ha partecipato anche l’ex pm Carlo Nordio) incalzando il ministro su questioni cruciali come la riforma del Csm, resa imprescindibile dall’esplosione del caso Palamara, lo stop alle porte girevoli tra magistratura e politica e la certezza della pena, messa in grave difficoltà dal sovraffollamento carcerario, dovuto a sua volta dall’altissima percentuale di detenuti stranieri e dalla tendenza all’indulto delle sinistre.
E il ministro, le cui parole sono state più volte accompagnate dagli applausi dei presenti, non si è sottratto. Anzi, è partito forte annunciando un giro di consultazioni a partire da stamani coi partiti della maggioranza per arrivare finalmente a boccino con la riforma del sistema elettorale e della composizione del Consiglio superiore della magistratura, che i continui scandali non sono riusciti ancora a sottrarre dalla dittatura delle correnti spesso egemonizzate dalla sinistra. Una riforma che la Cartabia - lo ha fatto capire tra le righe - vorrebbe molto più incisiva di quel che verosimilmente sarà, ma per la quale occorrerà una convergenza che vada da M5s a Italia viva, e quindi il concreto rischio di un compromesso fortemente al ribasso.
Nonostante ciò, il mood del ministro sulle storture del sistema si è capito quando si è lasciata andare ad un’anticipazione, citando il caso di Catello Maresca, magistrato ex candidato a sindaco di Napoli e ora contemporaneamente togato e consigliere comunale: «La proposta che farò alle forze di maggioranza», ha detto, «è come un caso come quello non possa mai più ripetersi. Che un giudice possa svolgere contemporaneamente funzioni giudiziarie e politiche non deve accadere».
Quanto alle questioni che riguardano più strettamente la vita quotidiana dei cittadini, come i tempi della giustizia, sia essa penale, civile o tributaria, il Guardasigilli si è mostrata ottimista affermando che «i tempi per la riforma sono propizi» grazie alle risorse previste dal Pnrr per la digitalizzazione e l’assunzione di nuove risorse. Applausi anche quando il ministro ha riconosciuto che il problema del sovraffollamento delle carceri è da attribuire anche alla forte presenza di detenuti stranieri, per i quali via Arenula sta cercando di «potenziare gli accordi per farli tornare nella loro patria a scontare la pena». Inevitabile, a questo punto, un riferimento alla triste vicenda di Chico Forti, che ha inviato lunedì scorso dal suo luogo di detenzione in Usa un messaggio di ringraziamento a Fdi: «Siamo impegnati», ha detto il ministro Cartabia, «per farlo tornare in Italia e fargli scontare la pena restante nel nostro Paese».
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Il leader del M5s ad Atreju si accoda al pensiero del guru del Pd, Goffredo Bettini: «L’attuale formula non consente di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. Gli esecutivi non possono durare un anno»Il ministro della Giustizia ha usato parole benevole nei confronti di Giorgia Meloni. Poi ha perorato la riforma del Csm. «Carceri sovraffollate per la presenza di stranieri»Lo speciale contiene due articoliGiuseppi si butta sul proporzionale: ospite di Atreju, la kermesse organizzata da Fratelli d’Italia, il leader del M5s, Giuseppe Conte, alla domanda su quale legge elettorale ritenga migliore, risponde così: «Sulla legge elettorale la mia opinione è che non esiste una legge ideale. La legge elettorale interpreta il momento storico che si vive, e va confezionata sulla sensibilità di questa fase. Mi permetto di dire che in questa fase storica ci sono tante differenti sensibilità, sia nel centrodestra che nell’area progressista». Aggiunge Conte: «Credo che il modo migliore per affrontare la nuova legislatura sia un proporzionale con una soglia di sbarramento seria, al 5%. Consentirebbe alle forze politiche di poter competere con una relativa autonomia rispetto agli alleati di schieramento. Si può pensare a un patto di legislatura, contro il cambio di alleanze. La formula attuale», ricorda Giuseppi, «non ha consentito ai cittadini di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. La formula attuale non garantirà ai cittadini di eleggere il presidente del Consiglio neanche nella prossima legislatura».Conte non riesce proprio a tagliare il cordone ombelicale, in termini politici, con il guru del Pd, Goffredo Bettini: «Sulla legge elettorale», aveva detto in mattinata Bettini a Sky Tg24, «dico: proporzionale, proporzionale e ancora proporzionale. Le difficoltà di costituire una realtà dei cosiddetti riformisti per svolgere un ruolo positivo, mentre oggi svolgono soprattutto un ruolo di incursione negativa nei confronti del Pd e degli altri partiti, impone la scelta del proporzionale. Ognuno», aveva aggiunto Bettini, «deve riconquistare un suo profilo e le alleanze si faranno dopo la campagna elettorale, quando ognuno misurerà la sua forza e le sue proposte programmatiche per l’Italia».Il tuffo di Giuseppi sul proporzionale dimostra il sacro terrore del centrosinistra di perdere le prossime elezioni. In ogni caso, Conte dice la sua anche sulle riforme dicendo no alla proposta del presidenzialismo: «Mi permetto di dire», sottolinea Conte, «che ho avanzato delle proposte: non credo che ora ci sia la prospettiva di dare vita a una fase costituente. Ora serve qualcosa di concreto: firmiamo la sfiducia costruttiva, senza cambiare l’impostazione generale, facciamo come in Germania. Poi potremmo introdurre che si prende la fiducia a Camere congiunte, terzo possiamo ragionare sul premier che abbia la possibilità di revocare il mandato dei ministri. Serve stabilità», aggiunge il leader del M5s, «non possiamo avere un governo che duri un anno».Conte torna anche, con un certo fastidio, sul rifiuto alla proposta di Enrico Letta (che oggi alle 19 sarà intervistato, sempre ad Atreju, da Maurizio Belpietro e Bruno Vespa) di candidarsi alle suppletive del 16 gennaio, per il seggio alla Camera lasciato vacante da Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma: «Siamo al terzo giorno di polemiche», evidenzia Conte, «e stiamo ancora parlando di questo seggio. Credo che ai cittadini interessino ben altri problemi. Enrico Letta mi ha fatto in modo molto cortese questa proposta, ne abbiamo parlato, gli ho espresso le mie perplessità e ho declinato. Gli ho spiegato le mie ragioni. Lo stipendio da deputato per vivere? Io da vari mesi non prendo una lira, sono in aspettativa all’università e non esercito la professione. Quando sono stato chiamato a questa grande responsabilità di fare il presidente del Consiglio ho tracciato una linea», argomenta l’ex premier, «ho mandato le fatture ai clienti, ho incassato un po’ e camperò di quello».In molti hanno interpretato il rifiuto di Conte a candidarsi alla Camera con la sua voglia matta di andare alle elezioni anticipate subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica, in modo tale da poter compilare le liste e far eleggere suoi fedelissimi. Una chance che potrebbe sfuggirgli di mano se si votasse tra un anno, considerato che la sua leadership nel M5s è sempre più appannata. Ma quando si andrà al voto? «Gli elettori», risponde sibillino Conte, «devono votare ma una volta usciti da un contesto di emergenza. Le primarie per scegliere il leader del campo progressista? A tempo debito valuteremo il modo e il criterio migliore ma non mi spaventa questa possibilità».A proposito di presidente della Repubblica, a chi pensa Conte? «Non è che possiamo qui a metterci a discutere», risponde Giuseppi, «chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. Vogliamo personalità di alto profilo morale? Se vogliamo questo, più la discussione sarà ampia, aperta a tutte le forze politiche, più avremo la garanzia che sarà rappresentante di tutti e che la rappresentanza sarà più elevata a livello morale. Non è scritto da nessuna parte», sottolinea Conte, «che la sua provenienza debba essere solo da una parte politica». Conte si lascia (di nuovo) andare a parole di apprezzamento nei confronti di Silvio Berlusconi: «Berlusconi», sottolinea Conte, «ha avuto un grande consenso, ha interpretato il sentire del Paese, ha interpretato il desiderio del bipolarismo e ha contribuito a spingere i partiti di destra verso una destra moderna e di governo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-si-butta-sul-proporzionale-per-non-scomparire-alle-elezioni-2655952075.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cartabia-fdi-feeling-in-vista-colle" data-post-id="2655952075" data-published-at="1639003343" data-use-pagination="False"> Cartabia-Fdi, feeling in vista Colle Qualche irriducibile del retroscena, ieri pomeriggio ad Atreju, si è illuminato quando il Guardasigilli Marta Cartabia ha usato parole irritualmente benevole nei confronti di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, poi immortalate assieme sorridenti sul palco dai fotografi. Quando il ministro della Giustizia - di solito estremamente avara di pubbliche esternazioni - ha motivato la sua presenza alla festa più famosa della destra italiana con il dovere di confrontarsi con l’unico partito di opposizione, i più maliziosi tra i cronisti hanno buttato lì uno scenario in cui, magari tramontata o affossata in aula la candidatura di Silvio Berlusconi per il Quirinale, Fdi possa non ostacolare l’ipotesi Cartabia. Passando dal gioco del toto-Colle ai problemi urgenti del nostro Paese, c’è da dire che il confronto sulla giustizia ha messo molta carne al fuoco, anche per merito del deputato e responsabile Giustizia del partito, Andrea Delmastro, che ha introdotto il dibattito (cui ha partecipato anche l’ex pm Carlo Nordio) incalzando il ministro su questioni cruciali come la riforma del Csm, resa imprescindibile dall’esplosione del caso Palamara, lo stop alle porte girevoli tra magistratura e politica e la certezza della pena, messa in grave difficoltà dal sovraffollamento carcerario, dovuto a sua volta dall’altissima percentuale di detenuti stranieri e dalla tendenza all’indulto delle sinistre. E il ministro, le cui parole sono state più volte accompagnate dagli applausi dei presenti, non si è sottratto. Anzi, è partito forte annunciando un giro di consultazioni a partire da stamani coi partiti della maggioranza per arrivare finalmente a boccino con la riforma del sistema elettorale e della composizione del Consiglio superiore della magistratura, che i continui scandali non sono riusciti ancora a sottrarre dalla dittatura delle correnti spesso egemonizzate dalla sinistra. Una riforma che la Cartabia - lo ha fatto capire tra le righe - vorrebbe molto più incisiva di quel che verosimilmente sarà, ma per la quale occorrerà una convergenza che vada da M5s a Italia viva, e quindi il concreto rischio di un compromesso fortemente al ribasso. Nonostante ciò, il mood del ministro sulle storture del sistema si è capito quando si è lasciata andare ad un’anticipazione, citando il caso di Catello Maresca, magistrato ex candidato a sindaco di Napoli e ora contemporaneamente togato e consigliere comunale: «La proposta che farò alle forze di maggioranza», ha detto, «è come un caso come quello non possa mai più ripetersi. Che un giudice possa svolgere contemporaneamente funzioni giudiziarie e politiche non deve accadere». Quanto alle questioni che riguardano più strettamente la vita quotidiana dei cittadini, come i tempi della giustizia, sia essa penale, civile o tributaria, il Guardasigilli si è mostrata ottimista affermando che «i tempi per la riforma sono propizi» grazie alle risorse previste dal Pnrr per la digitalizzazione e l’assunzione di nuove risorse. Applausi anche quando il ministro ha riconosciuto che il problema del sovraffollamento delle carceri è da attribuire anche alla forte presenza di detenuti stranieri, per i quali via Arenula sta cercando di «potenziare gli accordi per farli tornare nella loro patria a scontare la pena». Inevitabile, a questo punto, un riferimento alla triste vicenda di Chico Forti, che ha inviato lunedì scorso dal suo luogo di detenzione in Usa un messaggio di ringraziamento a Fdi: «Siamo impegnati», ha detto il ministro Cartabia, «per farlo tornare in Italia e fargli scontare la pena restante nel nostro Paese».
Ansa
Eppure, fino a pochi giorni fa, per la banca più antica del mondo l’aria era diventata irrespirabile. Le indagini della Procura di Milano avevano spinto il titolo giù dal cavallo, facendogli perdere miliardi di capitalizzazione. Le prime pagine dei giornali finanziari tremavano all’unisono: «aggiotaggio», «ostacolo alla vigilanza», «patto occulto». Parole che in Borsa funzionano come il fumo negli alveari: tutti scappano, nessuno chiede perché. Poi, lunedì, il colpo di scena. Spunta la parola magica che fa battere il cuore agli investitori: Consob. L’Autorità di vigilanza, finora poco loquace, aveva già detto a settembre che di «concerto» nella scalata a Mediobanca non ne vedeva traccia. E a Piazza Affari questo basta. Non è certezza, è una sfumatura, un mezzo sorriso, un sopracciglio alzato: ma per i mercati è come una benedizione papale. La Procura, però, non sembra aver preso bene la posizione dell’Autorità. Così ha inviato nuove carte, intercettazioni comprese, convinta che tra Luigi Lovaglio, Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri ci fosse più di una semplice comunione d’intenti. Per i magistrati milanesi il trio avrebbe pianificato la conquista di Mps e poi la scalata a Mediobanca con la meticolosità di un architetto che disegna una cattedrale gotica.
Il punto è che dimostrarlo non è affatto semplice. Lo ha ricordato più volte lo stesso Paolo Savona, presidente della Consob, che sulla materia ha mostrato la cautela di un chirurgo: «Il concerto occulto è complesso da provare». Tradotto: puoi avere intercettazioni, sospetti, ricostruzioni, ma per far quadrare la tesi serve molto di più. E forse è questo che ha fatto scattare l’effetto molla sul titolo Mps: l’idea che la montagna giudiziaria rischi di partorire un topolino burocratico. Da qui in avanti il racconto assume i contorni della tragicommedia finanziaria. Milano manda documenti a Roma; Roma annuncia di valutarli. Gli investitori, che hanno il fiuto dei cani da caccia, interpretano la mossa come: «Sì, le carte le leggiamo, ma intanto non cambia nulla rispetto a settembre». E la banca di Siena - che ha passato negli ultimi dieci anni disastri che avrebbero fatto chiudere qualunque altro istituto occidentale - stavolta fiuta l’aria buona. Intanto gli analisti, quelli che il mercato lo guardano dall’alto del loro grafico preferito, si mostrano quasi papali: buy confermato, target price a 11 euro, fiducia intatta. Per loro la tempesta giudiziaria è un rumore di fondo. Una di quelle pioggerelline che fanno frusciare le foglie ma non cambiano le previsioni della vendemmia. Il paradosso è che anche Mediobanca, la presunta vittima designata del «concerto» inesistente, brinda. Alle 17 è a 16,48 euro, in rialzo dell’1,35%. Sembra quasi che il mercato si sia rassegnato a un’idea semplice: questa storia finirà in un grande nulla di fatto, come tante vicende finanziarie italiane in cui i protagonisti si guardano negli occhi e dicono: «Abbiamo scherzato». È un Paese curioso, l’Italia. Le accuse volano come coriandoli, i titoli crollano, la politica si indigna, i pm lavorano a pieno ritmo. Poi basta una riga in una relazione Consob - nemmeno una conclusione, solo un orientamento - e tutto si ribalta.
Il caso Mps dimostra ancora una volta che nel nostro mercato finanziario non c’è nulla di più potente della percezione. Non la verità processuale, non gli atti, non i faldoni. La percezione. Se la Consob solleva un sopracciglio, Mps vola. Se la magistratura invia nuove carte, il titolo magari trema per qualche ora, ma poi risale. È il teatro della finanza italiana: un luogo dove le istituzioni recitano, il pubblico interpreta e il mercato decide chi applaudirà. Intanto, a Siena, si festeggia. Non apertamente, perché la prudenza è d’obbligo. Ma nei corridoi, tra una planata di grafici e una riunione lampo, dev’essere tornato a circolare un pensiero che la banca aveva sepolto da tempo: forse stavolta siamo davvero usciti dal tunnel. Non è detto, perché le carte giudiziarie hanno vita propria e la Procura non ama essere smentita. Ma di certo lunedì è successo qualcosa. La banca più antica del mondo ha mostrato di avere ancora schiena, gambe e fiato. E soprattutto una cosa che da anni le mancava: fiducia. Il resto lo farà il tempo. E, naturalmente, la Consob. Che con un cenno, anche involontario, riesce ancora a muovere montagne. O almeno a far correre Mps come non succedeva da un pezzo.
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Il 43,8 % degli italiani ha detto di non ritenerla utile. «È una riflessione importante», osservava Ghisleri nel programma Realpolitik di Tommaso Labate su Rete 4, «perché vorrebbe dire che la legge sul consenso verrebbe utilizzata come deterrente, ma non sarebbe utile perché manca l’educazione». Ricordiamo che la legge, che introduce nel Codice penale il concetto di «consenso libero e attuale», è stata approvata all’unanimità alla Camera e presentata come un accordo bipartisan tra il premier Giorgia Meloni e il segretario del Pd, Elly Schlein. In commissione Giustizia, la coalizione di governo ha chiesto un nuovo passaggio, scatenando la reazione dell’opposizione che ha parlato di un «voltafaccia», di patto politico tradito. Ancor più singolare è che, nel sondaggio, sia stato il 37,6% delle donne a non ritenere la norma sullo stupro utile a scoraggiare o impedire la violenza sessuale, rispetto a un 38,8% convinto che serva. Perciò, se il 51,6% degli italiani interpellati crede che sia necessaria una legge che inasprisca il reato, ridefinendone le modalità (il ddl torna questa settimana in commissione a Palazzo Madama), la maggior parte di questo campione non lo considera un deterrente effettivo.
Inevitabile chiedersi il senso, allora, di una legge che complica all’inverosimile l’onere della prova di un consenso non «libero e attuale» (e il non poterlo provare può diventare equivalente all’aver commesso il reato), mentre poco inciderebbe nella protezione delle donne. Non la crede utile non solo l’elettorato di centrodestra (47,9% delle risposte, rispetto al 38,2% di «sì»), ma anche una bella fetta di coloro che votano a sinistra (34,3% i «no», 43,3 % i «sì»). E se può non sorprendere che il 53,6% degli elettori di Fratelli d’Italia abbia detto di con credere alla legge come prevenzione di episodi di violenza, è significativo che la pensi allo stesso modo il 38,5% di quanti votano Pd e che appena il 36,5% dei dem la consideri, invece, utile.
Quindi nei due partiti rappresentati da Giorgia Meloni e da Elly Schlein sono più forti le perplessità, circa l’approvazione del ddl come misura deterrente. Quanto all’impatto del reato di violenza sessuale riformato sulla base di un accordo Meloni-Schlein, restano sempre forti le riserve degli italiani. Non tanto perché non serva una legge dura (oltre il 53% sia a sinistra sia a destra si dice a favore), ma in quanto non risulta ben formulata. Non definisce che cosa costituisce consenso, anche nelle forme non verbali e nemmeno chiarisce quali elementi probatori possono dimostrarlo o escluderlo. «Si pensa che questi requisiti di libertà e attualità siano puntualizzati a tutela della donna e a vincolo e controllo per l’uomo: anche qui siamo di fronte a un ribaltamento concettuale e fisico della prova, spesso sono le donne che prendono l’iniziativa e non si può “pregiudizialmente” pensare al maschio come attaccante-persecutore, attizzatore di incendi passionali che si trasformano in atti di coercizione nel “fare” e nell’insistere», osservava due giorni fa su Startmag Francesco Provinciali, già giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano.
Fanno pensare, inoltre, gli esiti di un altro sondaggio che è stato riportato sempre da Ghisleri. «Abbiamo chiesto quali sono le paure più grandi (degli italiani, ndr), al primo posto ci sono le aggressioni e le minacce (22,7%), seguite da rapine in casa (20,5%), furti e rapine (19,4%), truffe e frodi (16,6%)». La violenza sessuale risultava solo al quinto posto (9,4%) come preoccupazione. Eppure, dai primi dati emersi dall’indagine 2025 sulla violenza contro le donne condotta dal dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio e l’Istat denominata «Sicurezza delle donne», risultano aumentate «dal 30,1% al 36,3% le vittime che considerano un reato la violenza subita dal partner e raddoppia la percentuale delle richieste di aiuto ai Centri antiviolenza e gli altri servizi specializzati (dal 4,4 del 2014 all’8,7% del 2025)».
Evidentemente, la certezza della pena non è un deterrente. Rispetto al passato, c’è una diversa sensibilità verso la violenza sessuale e i diversi contenuti giuridici che il reato ha assunto nel tempo, però occorrono strategie volte all’educazione, alla sensibilizzazione, al riconoscimento della violenza, formando operatori (dalla scuola alla magistratura, passando per i servizi sociali). Serve rendere operativo ovunque il percorso di tutela per le donne che hanno subito violenza e perseguire chi l’ha provocata. Discutere di pertinenza e liceità all’interno della coppia, criminalizzando a priori, non argina la violenza sessuale.
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Quella al ladro, invece, è finita «grazie» all’intervento di quanti hanno braccato un albanese di 40 anni finito poi in ospedale con 30 giorni di prognosi. Il messaggio della questura è chiaro, «nessuna giustizia fai da te». Ma la corsa a identificare i residenti che hanno inseguito il ladro, alcuni forse armati di piccone tanto da provocargli una frattura al bacino, per la comunità è difficile da digerire. «In casa con me vivono mia moglie e i miei due bambini piccoli. Per fortuna, in quel momento non eravamo presenti. L’allarme è scattato ma le forze dell’ordine sono arrivate una decina di minuti dopo: il tempo sufficiente perché i ladri scappassero», scrive in una lettera al sito Aostasera.it un cittadino che vive in una delle case finite nel mirino dei ladri. «Non vuole essere un rimprovero ai carabinieri che sono intervenuti, ma il dato di fatto di un territorio in cui i tempi di reazione non sono adeguati alla pressione dei furti che subiamo da mesi». Addirittura cinque o sei i raid di furti verificatisi a partire dall’estate. Troppi per il paesino che ormai vive nell’angoscia.
Lo scorso venerdì erano passate da poco le 19 quando un massaggio da parte di un cittadino ha fatto scattare l’allarme: «Sono tornati i ladri». E di lì il tam tam da un telefonino all’altro: «Fate attenzione, chiudete le porte». Il rumore provocato dai ladri nel tentativo di aprire una cassaforte richiama l’attenzione dei cittadini che chiamano i carabinieri. In poco tempo, però, scatta il caos perché in molti si riversano in strada. Partono le urla, le segnalazioni, alcuni residenti sono armati di bastoni. Qualcuno parla di picconi ma i cittadini, oggi, negano. Uno dei malviventi scappa verso il bosco mentre l’altro viene individuato grazie all’utilizzo di una termocamera e fermato. Ha con sé la refurtiva, 5.000 euro, gli abitanti gli si scagliano contro e solo l’intervento dei carabinieri mette fine al linciaggio oggi duramente stigmatizzato dal questore Gian Maria Sertorio: «La deriva giustizialista è pericolosissima, le ronde non devono essere fatte in alcun modo, bisogna chiamare il 112 e aspettare le forze dell’ordine». Dello stesso avviso il comandante dei carabinieri della Valle d’Aosta, Livio Propato, che ribadisce un secco «no alle ronde e alla giustizia fai da te. Non bisogna lasciarsi prendere dalla violenza gratuita perché è un reato. E si passa dalla parte del torto. I controlli ci sono, i furti ci sono, ma noi tutti stiamo facendo ogni sforzo per uscire tutte le sere con più pattuglie e quella sera siamo subito intervenuti».
Già, peccato che, a quanto pare, tutto questo non basti. Negli ultimi mesi il Comune si era attrezzato di una cinquantina di telecamere per contrastare le incursioni dei ladri ma senza successo. «A livello psicologico è un periodo complicato», stempera il sindaco Alexandre Bertolin, «le forze dell’ordine fanno del loro meglio ma non si riesce a monitorare tutto. Abbiamo le telecamere ma al massimo riusciamo a vedere dopo il fatto come si sono mossi i ladri». E anche qualora si dovesse arrivare prima e si riuscisse a fermare il ladro, commentano i cittadini, tutto poi finisce in un nulla di fatto.
«Leggendo le cronache», si legge sempre nella lettera a Aostasera.it, «si apprende che il ladro fermato sarebbe incensurato. Temo che questo significhi pochi giorni di detenzione e una rapida scarcerazione. Tradotto: io resto l’unica vittima, con la casa a soqquadro, i ricordi rubati e la paura addosso; lui invece rischia di cavarsela con poco senza dover dire chi lo aiutava e dove sono finiti i nostri beni».
Un clima di esasperazione destinato ad aumentare ora che si scopre che nemmeno difendersi sarebbe legittimo. Intanto, per il ladro, accusato di furto e in carcere fino al processo che si terrà il 19 dicembre, la linea difensiva è già pronta . Quella di un cuoco con figli piccoli da mantenere e tanto bisogno di soldi. «Mi hanno mandato altri albanesi», dice. In attesa di vedere quale corso farà la giustizia, i cittadini ribadiscono che l’attesa inerme non funziona. «Quando la legge non riesce a proteggere chi subisce i reati, le persone, piaccia o no si organizzano da sole. Se vogliamo evitare che episodi come questo si ripetano non dovremmo essere stigmatizzati. Occorre dare alla comunità strumenti per sentirsi protette. Prima che la rabbia prenda il sopravvento». Non proprio la direzione in cui sembra andare ora l’Arma.
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«Little Disasters: L'errore di una madre» (Paramount+)
Sarah Vaughan è quella di Anatomia di uno scandalo, diventato poi miniserie Netflix. Ed è la stessa che pare averci preso gusto, con la narrazione televisiva. Giovedì 11 dicembre, tocca ad un altro romanzo della scrittrice debuttare come serie tv, non su Netflix, ma su Paramount+.
Little Disasters: L'errore di una madre non è un thriller e non ha granché delle vicissitudini, amorose e politiche, che hanno decretato il successo di Anatomia di uno scandalo. Il romanzo è riflessivo. Non pretende di spiegare, di inventare una storia che possa tenere chi legga con il fiato sospeso o indurlo a parteggiare per questa o quella parte, a indignarsi e commuoversi insieme ai suoi protagonisti. Little Disasters è la storia di un mestiere mai riconosciuto come tale, quello di madre. Non c'è retorica, però. Sarah Vaughan non sembra ambire a veder riconosciuto uno dei tanti sondaggi che alle madri del mondo assegnano uno stipendio, quantificando le ore spese nell'accudimento dei figli e della casa. Pare, piuttosto, intenzionata a sondare le profondità di un abisso che, spesso, rimane nascosto dietro sorrisi di facciata, dietro un contegno autoimposto, dietro una perfezione solo apparente.
Little Disastersè, dunque, la storia di Liz e di Jess, due amiche che sulla propria e personale concezione di maternità imbastiscono - loro malgrado - un conflitto insanabile. Jess, pediatra all'interno di un ospedale, è di turno al pronto soccorso, quando Liz si presenta con la sua bambina fra le braccia. Sembra non stare bene, per ragioni imperscrutabili ad occhio profano. Ma i primi esami rivelano altro: un'altra verità. La piccola ha una ferita alla testa, qualcosa che una madre non può non aver visto. Qualcosa che, forse, una madre può addirittura aver provocato. Così, sui referti di quella piccinina si apre la guerra, fatta di domande silenziose, di diffidenza, di dubbi. Jess comincia a pensare che, all'interno della famiglia di Liz, così bella a guardarla da fuori, possa nascondersi un mostro. Ipotizza che l'amica possa soffrire di depressione post partum, che la relazione tra lei e il marito possa essere violenta. Liz, da parte sua, non parla. Non dice. Non spiega come sia possibile non abbia visto quel bozzo sul crapino della bambina. E Little Disasters va avanti, con un finale piuttosto prevedibile, ma con la capacità altresì di raccontare la complessità della maternità, le difficoltà, i giudizi, la deprivazione del sonno, il peso di una solitudine che, a tratti, si rivela essere assordante.
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