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2021-12-09
Conte si butta sul proporzionale per non scomparire alle elezioni
Ansa
Giuseppi si butta sul proporzionale: ospite di Atreju, la kermesse organizzata da Fratelli d’Italia, il leader del M5s, Giuseppe Conte, alla domanda su quale legge elettorale ritenga migliore, risponde così: «Sulla legge elettorale la mia opinione è che non esiste una legge ideale. La legge elettorale interpreta il momento storico che si vive, e va confezionata sulla sensibilità di questa fase. Mi permetto di dire che in questa fase storica ci sono tante differenti sensibilità, sia nel centrodestra che nell’area progressista». Aggiunge Conte: «Credo che il modo migliore per affrontare la nuova legislatura sia un proporzionale con una soglia di sbarramento seria, al 5%. Consentirebbe alle forze politiche di poter competere con una relativa autonomia rispetto agli alleati di schieramento. Si può pensare a un patto di legislatura, contro il cambio di alleanze. La formula attuale», ricorda Giuseppi, «non ha consentito ai cittadini di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. La formula attuale non garantirà ai cittadini di eleggere il presidente del Consiglio neanche nella prossima legislatura».
Conte non riesce proprio a tagliare il cordone ombelicale, in termini politici, con il guru del Pd, Goffredo Bettini: «Sulla legge elettorale», aveva detto in mattinata Bettini a Sky Tg24, «dico: proporzionale, proporzionale e ancora proporzionale. Le difficoltà di costituire una realtà dei cosiddetti riformisti per svolgere un ruolo positivo, mentre oggi svolgono soprattutto un ruolo di incursione negativa nei confronti del Pd e degli altri partiti, impone la scelta del proporzionale. Ognuno», aveva aggiunto Bettini, «deve riconquistare un suo profilo e le alleanze si faranno dopo la campagna elettorale, quando ognuno misurerà la sua forza e le sue proposte programmatiche per l’Italia».
Il tuffo di Giuseppi sul proporzionale dimostra il sacro terrore del centrosinistra di perdere le prossime elezioni. In ogni caso, Conte dice la sua anche sulle riforme dicendo no alla proposta del presidenzialismo: «Mi permetto di dire», sottolinea Conte, «che ho avanzato delle proposte: non credo che ora ci sia la prospettiva di dare vita a una fase costituente. Ora serve qualcosa di concreto: firmiamo la sfiducia costruttiva, senza cambiare l’impostazione generale, facciamo come in Germania. Poi potremmo introdurre che si prende la fiducia a Camere congiunte, terzo possiamo ragionare sul premier che abbia la possibilità di revocare il mandato dei ministri. Serve stabilità», aggiunge il leader del M5s, «non possiamo avere un governo che duri un anno».
Conte torna anche, con un certo fastidio, sul rifiuto alla proposta di Enrico Letta (che oggi alle 19 sarà intervistato, sempre ad Atreju, da Maurizio Belpietro e Bruno Vespa) di candidarsi alle suppletive del 16 gennaio, per il seggio alla Camera lasciato vacante da Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma: «Siamo al terzo giorno di polemiche», evidenzia Conte, «e stiamo ancora parlando di questo seggio. Credo che ai cittadini interessino ben altri problemi. Enrico Letta mi ha fatto in modo molto cortese questa proposta, ne abbiamo parlato, gli ho espresso le mie perplessità e ho declinato. Gli ho spiegato le mie ragioni. Lo stipendio da deputato per vivere? Io da vari mesi non prendo una lira, sono in aspettativa all’università e non esercito la professione. Quando sono stato chiamato a questa grande responsabilità di fare il presidente del Consiglio ho tracciato una linea», argomenta l’ex premier, «ho mandato le fatture ai clienti, ho incassato un po’ e camperò di quello».
In molti hanno interpretato il rifiuto di Conte a candidarsi alla Camera con la sua voglia matta di andare alle elezioni anticipate subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica, in modo tale da poter compilare le liste e far eleggere suoi fedelissimi. Una chance che potrebbe sfuggirgli di mano se si votasse tra un anno, considerato che la sua leadership nel M5s è sempre più appannata. Ma quando si andrà al voto? «Gli elettori», risponde sibillino Conte, «devono votare ma una volta usciti da un contesto di emergenza. Le primarie per scegliere il leader del campo progressista? A tempo debito valuteremo il modo e il criterio migliore ma non mi spaventa questa possibilità».
A proposito di presidente della Repubblica, a chi pensa Conte? «Non è che possiamo qui a metterci a discutere», risponde Giuseppi, «chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. Vogliamo personalità di alto profilo morale? Se vogliamo questo, più la discussione sarà ampia, aperta a tutte le forze politiche, più avremo la garanzia che sarà rappresentante di tutti e che la rappresentanza sarà più elevata a livello morale. Non è scritto da nessuna parte», sottolinea Conte, «che la sua provenienza debba essere solo da una parte politica». Conte si lascia (di nuovo) andare a parole di apprezzamento nei confronti di Silvio Berlusconi: «Berlusconi», sottolinea Conte, «ha avuto un grande consenso, ha interpretato il sentire del Paese, ha interpretato il desiderio del bipolarismo e ha contribuito a spingere i partiti di destra verso una destra moderna e di governo».
Cartabia-Fdi, feeling in vista Colle
Qualche irriducibile del retroscena, ieri pomeriggio ad Atreju, si è illuminato quando il Guardasigilli Marta Cartabia ha usato parole irritualmente benevole nei confronti di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, poi immortalate assieme sorridenti sul palco dai fotografi. Quando il ministro della Giustizia - di solito estremamente avara di pubbliche esternazioni - ha motivato la sua presenza alla festa più famosa della destra italiana con il dovere di confrontarsi con l’unico partito di opposizione, i più maliziosi tra i cronisti hanno buttato lì uno scenario in cui, magari tramontata o affossata in aula la candidatura di Silvio Berlusconi per il Quirinale, Fdi possa non ostacolare l’ipotesi Cartabia. Passando dal gioco del toto-Colle ai problemi urgenti del nostro Paese, c’è da dire che il confronto sulla giustizia ha messo molta carne al fuoco, anche per merito del deputato e responsabile Giustizia del partito, Andrea Delmastro, che ha introdotto il dibattito (cui ha partecipato anche l’ex pm Carlo Nordio) incalzando il ministro su questioni cruciali come la riforma del Csm, resa imprescindibile dall’esplosione del caso Palamara, lo stop alle porte girevoli tra magistratura e politica e la certezza della pena, messa in grave difficoltà dal sovraffollamento carcerario, dovuto a sua volta dall’altissima percentuale di detenuti stranieri e dalla tendenza all’indulto delle sinistre.
E il ministro, le cui parole sono state più volte accompagnate dagli applausi dei presenti, non si è sottratto. Anzi, è partito forte annunciando un giro di consultazioni a partire da stamani coi partiti della maggioranza per arrivare finalmente a boccino con la riforma del sistema elettorale e della composizione del Consiglio superiore della magistratura, che i continui scandali non sono riusciti ancora a sottrarre dalla dittatura delle correnti spesso egemonizzate dalla sinistra. Una riforma che la Cartabia - lo ha fatto capire tra le righe - vorrebbe molto più incisiva di quel che verosimilmente sarà, ma per la quale occorrerà una convergenza che vada da M5s a Italia viva, e quindi il concreto rischio di un compromesso fortemente al ribasso.
Nonostante ciò, il mood del ministro sulle storture del sistema si è capito quando si è lasciata andare ad un’anticipazione, citando il caso di Catello Maresca, magistrato ex candidato a sindaco di Napoli e ora contemporaneamente togato e consigliere comunale: «La proposta che farò alle forze di maggioranza», ha detto, «è come un caso come quello non possa mai più ripetersi. Che un giudice possa svolgere contemporaneamente funzioni giudiziarie e politiche non deve accadere».
Quanto alle questioni che riguardano più strettamente la vita quotidiana dei cittadini, come i tempi della giustizia, sia essa penale, civile o tributaria, il Guardasigilli si è mostrata ottimista affermando che «i tempi per la riforma sono propizi» grazie alle risorse previste dal Pnrr per la digitalizzazione e l’assunzione di nuove risorse. Applausi anche quando il ministro ha riconosciuto che il problema del sovraffollamento delle carceri è da attribuire anche alla forte presenza di detenuti stranieri, per i quali via Arenula sta cercando di «potenziare gli accordi per farli tornare nella loro patria a scontare la pena». Inevitabile, a questo punto, un riferimento alla triste vicenda di Chico Forti, che ha inviato lunedì scorso dal suo luogo di detenzione in Usa un messaggio di ringraziamento a Fdi: «Siamo impegnati», ha detto il ministro Cartabia, «per farlo tornare in Italia e fargli scontare la pena restante nel nostro Paese».
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Il leader del M5s ad Atreju si accoda al pensiero del guru del Pd, Goffredo Bettini: «L’attuale formula non consente di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. Gli esecutivi non possono durare un anno»Il ministro della Giustizia ha usato parole benevole nei confronti di Giorgia Meloni. Poi ha perorato la riforma del Csm. «Carceri sovraffollate per la presenza di stranieri»Lo speciale contiene due articoliGiuseppi si butta sul proporzionale: ospite di Atreju, la kermesse organizzata da Fratelli d’Italia, il leader del M5s, Giuseppe Conte, alla domanda su quale legge elettorale ritenga migliore, risponde così: «Sulla legge elettorale la mia opinione è che non esiste una legge ideale. La legge elettorale interpreta il momento storico che si vive, e va confezionata sulla sensibilità di questa fase. Mi permetto di dire che in questa fase storica ci sono tante differenti sensibilità, sia nel centrodestra che nell’area progressista». Aggiunge Conte: «Credo che il modo migliore per affrontare la nuova legislatura sia un proporzionale con una soglia di sbarramento seria, al 5%. Consentirebbe alle forze politiche di poter competere con una relativa autonomia rispetto agli alleati di schieramento. Si può pensare a un patto di legislatura, contro il cambio di alleanze. La formula attuale», ricorda Giuseppi, «non ha consentito ai cittadini di indicare un presidente del Consiglio, io ne sono la testimonianza. La formula attuale non garantirà ai cittadini di eleggere il presidente del Consiglio neanche nella prossima legislatura».Conte non riesce proprio a tagliare il cordone ombelicale, in termini politici, con il guru del Pd, Goffredo Bettini: «Sulla legge elettorale», aveva detto in mattinata Bettini a Sky Tg24, «dico: proporzionale, proporzionale e ancora proporzionale. Le difficoltà di costituire una realtà dei cosiddetti riformisti per svolgere un ruolo positivo, mentre oggi svolgono soprattutto un ruolo di incursione negativa nei confronti del Pd e degli altri partiti, impone la scelta del proporzionale. Ognuno», aveva aggiunto Bettini, «deve riconquistare un suo profilo e le alleanze si faranno dopo la campagna elettorale, quando ognuno misurerà la sua forza e le sue proposte programmatiche per l’Italia».Il tuffo di Giuseppi sul proporzionale dimostra il sacro terrore del centrosinistra di perdere le prossime elezioni. In ogni caso, Conte dice la sua anche sulle riforme dicendo no alla proposta del presidenzialismo: «Mi permetto di dire», sottolinea Conte, «che ho avanzato delle proposte: non credo che ora ci sia la prospettiva di dare vita a una fase costituente. Ora serve qualcosa di concreto: firmiamo la sfiducia costruttiva, senza cambiare l’impostazione generale, facciamo come in Germania. Poi potremmo introdurre che si prende la fiducia a Camere congiunte, terzo possiamo ragionare sul premier che abbia la possibilità di revocare il mandato dei ministri. Serve stabilità», aggiunge il leader del M5s, «non possiamo avere un governo che duri un anno».Conte torna anche, con un certo fastidio, sul rifiuto alla proposta di Enrico Letta (che oggi alle 19 sarà intervistato, sempre ad Atreju, da Maurizio Belpietro e Bruno Vespa) di candidarsi alle suppletive del 16 gennaio, per il seggio alla Camera lasciato vacante da Roberto Gualtieri, eletto sindaco di Roma: «Siamo al terzo giorno di polemiche», evidenzia Conte, «e stiamo ancora parlando di questo seggio. Credo che ai cittadini interessino ben altri problemi. Enrico Letta mi ha fatto in modo molto cortese questa proposta, ne abbiamo parlato, gli ho espresso le mie perplessità e ho declinato. Gli ho spiegato le mie ragioni. Lo stipendio da deputato per vivere? Io da vari mesi non prendo una lira, sono in aspettativa all’università e non esercito la professione. Quando sono stato chiamato a questa grande responsabilità di fare il presidente del Consiglio ho tracciato una linea», argomenta l’ex premier, «ho mandato le fatture ai clienti, ho incassato un po’ e camperò di quello».In molti hanno interpretato il rifiuto di Conte a candidarsi alla Camera con la sua voglia matta di andare alle elezioni anticipate subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica, in modo tale da poter compilare le liste e far eleggere suoi fedelissimi. Una chance che potrebbe sfuggirgli di mano se si votasse tra un anno, considerato che la sua leadership nel M5s è sempre più appannata. Ma quando si andrà al voto? «Gli elettori», risponde sibillino Conte, «devono votare ma una volta usciti da un contesto di emergenza. Le primarie per scegliere il leader del campo progressista? A tempo debito valuteremo il modo e il criterio migliore ma non mi spaventa questa possibilità».A proposito di presidente della Repubblica, a chi pensa Conte? «Non è che possiamo qui a metterci a discutere», risponde Giuseppi, «chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. Vogliamo personalità di alto profilo morale? Se vogliamo questo, più la discussione sarà ampia, aperta a tutte le forze politiche, più avremo la garanzia che sarà rappresentante di tutti e che la rappresentanza sarà più elevata a livello morale. Non è scritto da nessuna parte», sottolinea Conte, «che la sua provenienza debba essere solo da una parte politica». Conte si lascia (di nuovo) andare a parole di apprezzamento nei confronti di Silvio Berlusconi: «Berlusconi», sottolinea Conte, «ha avuto un grande consenso, ha interpretato il sentire del Paese, ha interpretato il desiderio del bipolarismo e ha contribuito a spingere i partiti di destra verso una destra moderna e di governo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-si-butta-sul-proporzionale-per-non-scomparire-alle-elezioni-2655952075.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cartabia-fdi-feeling-in-vista-colle" data-post-id="2655952075" data-published-at="1639003343" data-use-pagination="False"> Cartabia-Fdi, feeling in vista Colle Qualche irriducibile del retroscena, ieri pomeriggio ad Atreju, si è illuminato quando il Guardasigilli Marta Cartabia ha usato parole irritualmente benevole nei confronti di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, poi immortalate assieme sorridenti sul palco dai fotografi. Quando il ministro della Giustizia - di solito estremamente avara di pubbliche esternazioni - ha motivato la sua presenza alla festa più famosa della destra italiana con il dovere di confrontarsi con l’unico partito di opposizione, i più maliziosi tra i cronisti hanno buttato lì uno scenario in cui, magari tramontata o affossata in aula la candidatura di Silvio Berlusconi per il Quirinale, Fdi possa non ostacolare l’ipotesi Cartabia. Passando dal gioco del toto-Colle ai problemi urgenti del nostro Paese, c’è da dire che il confronto sulla giustizia ha messo molta carne al fuoco, anche per merito del deputato e responsabile Giustizia del partito, Andrea Delmastro, che ha introdotto il dibattito (cui ha partecipato anche l’ex pm Carlo Nordio) incalzando il ministro su questioni cruciali come la riforma del Csm, resa imprescindibile dall’esplosione del caso Palamara, lo stop alle porte girevoli tra magistratura e politica e la certezza della pena, messa in grave difficoltà dal sovraffollamento carcerario, dovuto a sua volta dall’altissima percentuale di detenuti stranieri e dalla tendenza all’indulto delle sinistre. E il ministro, le cui parole sono state più volte accompagnate dagli applausi dei presenti, non si è sottratto. Anzi, è partito forte annunciando un giro di consultazioni a partire da stamani coi partiti della maggioranza per arrivare finalmente a boccino con la riforma del sistema elettorale e della composizione del Consiglio superiore della magistratura, che i continui scandali non sono riusciti ancora a sottrarre dalla dittatura delle correnti spesso egemonizzate dalla sinistra. Una riforma che la Cartabia - lo ha fatto capire tra le righe - vorrebbe molto più incisiva di quel che verosimilmente sarà, ma per la quale occorrerà una convergenza che vada da M5s a Italia viva, e quindi il concreto rischio di un compromesso fortemente al ribasso. Nonostante ciò, il mood del ministro sulle storture del sistema si è capito quando si è lasciata andare ad un’anticipazione, citando il caso di Catello Maresca, magistrato ex candidato a sindaco di Napoli e ora contemporaneamente togato e consigliere comunale: «La proposta che farò alle forze di maggioranza», ha detto, «è come un caso come quello non possa mai più ripetersi. Che un giudice possa svolgere contemporaneamente funzioni giudiziarie e politiche non deve accadere». Quanto alle questioni che riguardano più strettamente la vita quotidiana dei cittadini, come i tempi della giustizia, sia essa penale, civile o tributaria, il Guardasigilli si è mostrata ottimista affermando che «i tempi per la riforma sono propizi» grazie alle risorse previste dal Pnrr per la digitalizzazione e l’assunzione di nuove risorse. Applausi anche quando il ministro ha riconosciuto che il problema del sovraffollamento delle carceri è da attribuire anche alla forte presenza di detenuti stranieri, per i quali via Arenula sta cercando di «potenziare gli accordi per farli tornare nella loro patria a scontare la pena». Inevitabile, a questo punto, un riferimento alla triste vicenda di Chico Forti, che ha inviato lunedì scorso dal suo luogo di detenzione in Usa un messaggio di ringraziamento a Fdi: «Siamo impegnati», ha detto il ministro Cartabia, «per farlo tornare in Italia e fargli scontare la pena restante nel nostro Paese».
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità