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2019-05-09
Conte ha mandato a casa Siri. Lega e M5s passano ad altre liti
Ansa
Poco prima dell'inizio del Consiglio dei ministri il leader della Lega, Matteo Salvini, pubblica sui social network la foto della figlia con lo sfondo del Castello Sforzesco: «Vita, gioia, speranza e amore», è il commento al tweet. Quasi che il vicepremier inviti a guardare avanti con serenità, forse perché già sa come finirà il braccio di ferro su Armando Siri. Anche se è convinto della sua estraneità alle accuse.
Infatti alle 10.45 Giuseppe Conte, con un decreto presentato davanti a tutto il governo al gran completo, ufficializza la revoca dell'incarico al sottosegretario del Carroccio, indagato per corruzione e al quale il ministro Danilo Toninelli aveva ritirato la delega alle Infrastrutture subito la notizia dell'avviso di garanzia. Il documento del premier non è stato messo ai voti, lo ha semplicemente letto per informare l'assemblea. Nessuna conta quindi al tavolo di Palazzo Chigi. Del resto la legge che autorizza il presidente del Consiglio a nominare i sottosegretari dice che le proposte del capo del governo si fanno «sentito» il Consiglio dei ministri. E la stessa regola vale al contrario: anche per la revoca il governo può limitarsi ad ascoltare quello che eventualmente avranno da dire i colleghi di esecutivo, ma senza che si blocchi il procedimento.
Così la Lega ha continuato a fare muro contro la decisione del premier, senza però potersi opporre per stopparla. L'accorata difesa di Siri è stata affidata al ministro della Pubblica amministrazione, l'avvocato Giulia Bongiorno, che ha rivendicato «la linea garantista». Durante la discussione le due parti sono rimaste ferme sulle rispettive posizioni: da un lato il premier, sostenuto dagli esponenti del Movimento 5 stelle e dall'altro il Carroccio schierato con l'ex sottosegretario. Comunque i toni del confronto sarebbero stati, come testimoniato dai presenti, se non amichevoli almeno «civili e pacati». Conte, dopo aver esposto la proposta di revoca, ha chiesto: «Ho la piena fiducia di tutti? Questo è un passaggio di alta valenza politica e sia chiaro che ci deve essere la piena condivisione del metodo e anche della soluzione che oggi porto». E alla fine tutti i ministri, anche quelli leghisti pur ribadendo l'innocenza di Siri fino a prova contraria, hanno confermato la fiducia al presidente. Che, al termine della riunione, ha spiegato: «Al presidente della Repubblica arriverà lo schema di decreto per la revoca. Dopo una discussione franca e non banale, c'è stata piena fiducia sul mio operato e il governo ha preso la decisione più giusta. Andiamo avanti con la fiducia dei cittadini consapevoli che senza questo fattore non potremmo mai sentirci il governo del cambiamento».
Caso chiuso? Per Luigi Di Maio lo è, e conferma che non si prospetta nessuna crisi: «Mi fa piacere non si sia andati alla conta, il nostro obiettivo non era avere una superiorità numerica né morale. Non c'è principio di colpevolezza, valuteremo sempre caso per caso come forza politica, ma ci vuole precauzione come istituzione, perché teniamo alla credibilità di questo governo, non potevamo chiudere un occhio. Ci siamo detti che andiamo avanti e che ci sono tante cose da fare per gli italiani, le faremo insieme nei prossimi quattro anni». E anche la Lega sembra voler guardare al futuro, come annunciava con sottofondo poetico il tweet di Salvini: «Basta con i litigi e le polemiche», dicono fonti del Carroccio, «ci sono tante cose da fare: flat tax per le famiglie, autonomia, riforma della giustizia, cantieri, sviluppo e infrastrutture. Basta chiacchiere e rinvii». Quindi la Lega ora si prepara ad andare all'offensiva sui punti del programma a cui tiene di più: al primo posto flat tax e autonomie.
Ma proprio su quest'ultimo punto si apre un nuovo fronte di battaglia tra alleati. Ad aprire il fuoco è il grillino Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura della Camera: «C'è troppa corruzione nelle Regioni, è necessario sospendere le autonomie», attacca su Facebook, «la retata in Lombardia e l'arresto del consigliere regionale di maggioranza Pietro Tatarella di Forza Italia, la condanna a 3 anni e 3 mesi per peculato di Francesca Barracciu, consigliera sarda del Pd, l'indagine sul presidente di Regione calabrese del Pd Mario Oliviero per associazione a delinquere e corruzione, e ancora, l'inchiesta in Umbria, le condanne in Abruzzo e altro ci raccontano una politica regionale vulnerabile alla corruzione, più vicina agli interessi privati che a quelli dei cittadini, a quelle di tutto il popolo italiano». A replicare dalle fila leghiste è Paolo Grimoldi, deputato e segretario del partito in Lombardia che mette nel mirino Virginia Raggi: «Un autorevole esponente del Movimento 5 stelle chiede di sospendere l'iter dell'autonomia perché a livello locale c'è corruzione?», spiega, «intanto ricordo che le maggiori forme di autonomia per le Regioni sono nel contratto di governo, per cui fine della discussione. Ma all'onorevole Gallo rispondo che seguendo la sua logica allora dovremmo togliere subito le competenze al Comune di Roma che in questa legislatura ha avuto arresti eccellenti, come quello del presidente del consiglio comunale, senza contare la pessima gestione amministrativa della città».
Di Maio propone uno scambio. Il salario minimo per la flat tax
Potrebbe essere lo scalpo politico di Virginia Raggi l'offerta del M5s alla Lega per sancire la pace dopo la bufera del caso-Siri. Nel pomeriggio di ieri, dopo la revoca del sottosegretario, Matteo Salvini ha tirato in ballo il sindaco di Roma: «Prendo atto», attacca il leader del Carroccio, «che la Raggi è al suo posto nonostante sia indagata da anni, vuol dire che ci sono colpe di serie A e colpe di serie B». Passa qualche ora, e le «fonti» del M5s consegnano alle agenzie di stampa una considerazione di Luigi Di Maio, che ha accolto «con una certa irritazione l'iniziativa del sindaco di Roma, Virginia Raggi, di recarsi a Casal Bruciato per visitare la famiglia di nomadi assegnataria di un appartamento popolare. Prima si aiutano i romani, gli italiani, poi tutti gli altri», è il pensiero di Di Maio, «irritato anche per la tempistica con cui la Raggi, in un giorno particolarmente importante per il M5s al governo, ha scelto di mettere in campo la sua iniziativa». La formula delle «fonti che riferiscono» evita, ma solo dal punto di vista formale, di far pronunciare a Di Maio quella frase, «prima gli italiani», sulla quale Matteo Salvini può vantare il copyright. È lampante, però, che il leader del M5s, consapevole di aver ottenuto una vittoria politica con la revoca di Siri, non vuole infierire, ma anzi tende a minimizzare lo sconto con l'alleato.
Pacati i toni con i quali Di Maio, dopo il Consiglio dei ministri, commenta l'epilogo, dal punto di vista politico, dell'affare-Siri: «Mi fa piacere», dice il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «che non si sia andati alla conta, il nostro obiettivo non era avere una superiorità numerica né morale. Questa non è una vittoria del M5s ma degli italiani onesti, che ci chiedono atti forti rispetto ad un paese che ha una percezione della corruzione tra le più alte d'Europa e che vede la corruzione come emergenza nazionale, che va combattuta con le leggi ma anche con la responsabilità delle forze politiche. Non c'è principio di colpevolezza», precisa il capo politico del M5s, «valuteremo sempre caso per caso come forza politica, ma ci vuole precauzione come istituzione, perché teniamo alla credibilità di questo governo, non potevamo chiudere un occhio».
Di Maio sottolinea che i toni della discussione in Consiglio dei ministri «sono stati distesi», e che il caso Siri non avrà conseguenze sulla tenuta della maggioranza: «Ci siamo detti che andiamo avanti», rassicura il vicepremier, «e che ci sono tante cose da fare per gli italiani, le faremo insieme nei prossimi quattro anni. Mi fa piacere che tutti insieme abbiamo espresso nel Consiglio dei ministri piena fiducia a Conte e al governo. Potremo andare avanti con la stessa lealtà e lo stesso spirito di collaborazione che ci ha fatto andare avanti in questi 10 mesi e mezzo. Ho detto in Consiglio dei ministri che apriremo subito un tavolo di governo per portare avanti in parallelo due progetti: la flat tax e il salario minimo, e chi le propone porta anche le coperture. Il mio obiettivo è non aumentare Iva e abbassare le tasse agli italiani. Lotta all'evasione seria e spending review», aggiunge Di Maio, «sono i due obiettivi che ci dovremo dare. La revoca di Siri rappresenta un importante segnale di discontinuità rispetto al passato».
Tocca a Davide Casaleggio, presidente dell'Associazione Rousseau, difendere la Raggi commentando le parole di Salvini: «Quando la Raggi si è candidata era incensurata», argomenta Casaleggio, «e lo è tuttora. Dal punto di vista del M5s, il tema della questione morale è stato sviscerato con il codice etico, e il sindaco di Roma ha sempre rispettato questo codice etico».
Esprime attraverso Twitter la sua soddisfazione il ministro di Infrastrutture e trasporti, Danilo Toninelli, di cui Siri era sottosegretario: «Nessuna esultanza», scrive Toninelli, «ma l'auspicio che Siri possa dimostrare la sua estraneità ai fatti. Soddisfazione, però, per il segno di cambiamento che il governo ha dato anche oggi su temi come legalità e lotta alla corruzione. Sfide sulle quali il M5s non arretrerà mai di un millimetro!». All'insegna della sobrietà istituzionale la riflessione sulla revoca di Siri affidata ai social network da Paola Taverna, vicepresidente grillina del Senato: «Non staremo qui ad esultare, ma è di certo un sollievo. Non ci deve essere nessuna ombra su questo governo, nessuna. Ne vado fiera perché è proprio questo che ci distingue dalla vecchia politica. Adesso andiamo avanti a lavorare per gli italiani. Ogni minuto», conclude la Taverna, «è prezioso».
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Vittoria politica per i pentastellati, il Consiglio dei ministri silura il sottosegretario del Carroccio. L'alleanza per il momento regge, però è già chiaro quale sarà il prossimo terreno di scontro: le autonomie regionali.I grillini pianificano un compromesso: «Spending review e nessun aumento Iva».Lo speciale contiene due articoli. Poco prima dell'inizio del Consiglio dei ministri il leader della Lega, Matteo Salvini, pubblica sui social network la foto della figlia con lo sfondo del Castello Sforzesco: «Vita, gioia, speranza e amore», è il commento al tweet. Quasi che il vicepremier inviti a guardare avanti con serenità, forse perché già sa come finirà il braccio di ferro su Armando Siri. Anche se è convinto della sua estraneità alle accuse.Infatti alle 10.45 Giuseppe Conte, con un decreto presentato davanti a tutto il governo al gran completo, ufficializza la revoca dell'incarico al sottosegretario del Carroccio, indagato per corruzione e al quale il ministro Danilo Toninelli aveva ritirato la delega alle Infrastrutture subito la notizia dell'avviso di garanzia. Il documento del premier non è stato messo ai voti, lo ha semplicemente letto per informare l'assemblea. Nessuna conta quindi al tavolo di Palazzo Chigi. Del resto la legge che autorizza il presidente del Consiglio a nominare i sottosegretari dice che le proposte del capo del governo si fanno «sentito» il Consiglio dei ministri. E la stessa regola vale al contrario: anche per la revoca il governo può limitarsi ad ascoltare quello che eventualmente avranno da dire i colleghi di esecutivo, ma senza che si blocchi il procedimento.Così la Lega ha continuato a fare muro contro la decisione del premier, senza però potersi opporre per stopparla. L'accorata difesa di Siri è stata affidata al ministro della Pubblica amministrazione, l'avvocato Giulia Bongiorno, che ha rivendicato «la linea garantista». Durante la discussione le due parti sono rimaste ferme sulle rispettive posizioni: da un lato il premier, sostenuto dagli esponenti del Movimento 5 stelle e dall'altro il Carroccio schierato con l'ex sottosegretario. Comunque i toni del confronto sarebbero stati, come testimoniato dai presenti, se non amichevoli almeno «civili e pacati». Conte, dopo aver esposto la proposta di revoca, ha chiesto: «Ho la piena fiducia di tutti? Questo è un passaggio di alta valenza politica e sia chiaro che ci deve essere la piena condivisione del metodo e anche della soluzione che oggi porto». E alla fine tutti i ministri, anche quelli leghisti pur ribadendo l'innocenza di Siri fino a prova contraria, hanno confermato la fiducia al presidente. Che, al termine della riunione, ha spiegato: «Al presidente della Repubblica arriverà lo schema di decreto per la revoca. Dopo una discussione franca e non banale, c'è stata piena fiducia sul mio operato e il governo ha preso la decisione più giusta. Andiamo avanti con la fiducia dei cittadini consapevoli che senza questo fattore non potremmo mai sentirci il governo del cambiamento».Caso chiuso? Per Luigi Di Maio lo è, e conferma che non si prospetta nessuna crisi: «Mi fa piacere non si sia andati alla conta, il nostro obiettivo non era avere una superiorità numerica né morale. Non c'è principio di colpevolezza, valuteremo sempre caso per caso come forza politica, ma ci vuole precauzione come istituzione, perché teniamo alla credibilità di questo governo, non potevamo chiudere un occhio. Ci siamo detti che andiamo avanti e che ci sono tante cose da fare per gli italiani, le faremo insieme nei prossimi quattro anni». E anche la Lega sembra voler guardare al futuro, come annunciava con sottofondo poetico il tweet di Salvini: «Basta con i litigi e le polemiche», dicono fonti del Carroccio, «ci sono tante cose da fare: flat tax per le famiglie, autonomia, riforma della giustizia, cantieri, sviluppo e infrastrutture. Basta chiacchiere e rinvii». Quindi la Lega ora si prepara ad andare all'offensiva sui punti del programma a cui tiene di più: al primo posto flat tax e autonomie.Ma proprio su quest'ultimo punto si apre un nuovo fronte di battaglia tra alleati. Ad aprire il fuoco è il grillino Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura della Camera: «C'è troppa corruzione nelle Regioni, è necessario sospendere le autonomie», attacca su Facebook, «la retata in Lombardia e l'arresto del consigliere regionale di maggioranza Pietro Tatarella di Forza Italia, la condanna a 3 anni e 3 mesi per peculato di Francesca Barracciu, consigliera sarda del Pd, l'indagine sul presidente di Regione calabrese del Pd Mario Oliviero per associazione a delinquere e corruzione, e ancora, l'inchiesta in Umbria, le condanne in Abruzzo e altro ci raccontano una politica regionale vulnerabile alla corruzione, più vicina agli interessi privati che a quelli dei cittadini, a quelle di tutto il popolo italiano». A replicare dalle fila leghiste è Paolo Grimoldi, deputato e segretario del partito in Lombardia che mette nel mirino Virginia Raggi: «Un autorevole esponente del Movimento 5 stelle chiede di sospendere l'iter dell'autonomia perché a livello locale c'è corruzione?», spiega, «intanto ricordo che le maggiori forme di autonomia per le Regioni sono nel contratto di governo, per cui fine della discussione. Ma all'onorevole Gallo rispondo che seguendo la sua logica allora dovremmo togliere subito le competenze al Comune di Roma che in questa legislatura ha avuto arresti eccellenti, come quello del presidente del consiglio comunale, senza contare la pessima gestione amministrativa della città».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-ha-mandato-a-casa-siri-lega-e-m5s-passano-ad-altre-liti-2636637897.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="di-maio-propone-uno-scambio-il-salario-minimo-per-la-flat-tax" data-post-id="2636637897" data-published-at="1765518914" data-use-pagination="False"> Di Maio propone uno scambio. Il salario minimo per la flat tax Potrebbe essere lo scalpo politico di Virginia Raggi l'offerta del M5s alla Lega per sancire la pace dopo la bufera del caso-Siri. Nel pomeriggio di ieri, dopo la revoca del sottosegretario, Matteo Salvini ha tirato in ballo il sindaco di Roma: «Prendo atto», attacca il leader del Carroccio, «che la Raggi è al suo posto nonostante sia indagata da anni, vuol dire che ci sono colpe di serie A e colpe di serie B». Passa qualche ora, e le «fonti» del M5s consegnano alle agenzie di stampa una considerazione di Luigi Di Maio, che ha accolto «con una certa irritazione l'iniziativa del sindaco di Roma, Virginia Raggi, di recarsi a Casal Bruciato per visitare la famiglia di nomadi assegnataria di un appartamento popolare. Prima si aiutano i romani, gli italiani, poi tutti gli altri», è il pensiero di Di Maio, «irritato anche per la tempistica con cui la Raggi, in un giorno particolarmente importante per il M5s al governo, ha scelto di mettere in campo la sua iniziativa». La formula delle «fonti che riferiscono» evita, ma solo dal punto di vista formale, di far pronunciare a Di Maio quella frase, «prima gli italiani», sulla quale Matteo Salvini può vantare il copyright. È lampante, però, che il leader del M5s, consapevole di aver ottenuto una vittoria politica con la revoca di Siri, non vuole infierire, ma anzi tende a minimizzare lo sconto con l'alleato. Pacati i toni con i quali Di Maio, dopo il Consiglio dei ministri, commenta l'epilogo, dal punto di vista politico, dell'affare-Siri: «Mi fa piacere», dice il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, «che non si sia andati alla conta, il nostro obiettivo non era avere una superiorità numerica né morale. Questa non è una vittoria del M5s ma degli italiani onesti, che ci chiedono atti forti rispetto ad un paese che ha una percezione della corruzione tra le più alte d'Europa e che vede la corruzione come emergenza nazionale, che va combattuta con le leggi ma anche con la responsabilità delle forze politiche. Non c'è principio di colpevolezza», precisa il capo politico del M5s, «valuteremo sempre caso per caso come forza politica, ma ci vuole precauzione come istituzione, perché teniamo alla credibilità di questo governo, non potevamo chiudere un occhio». Di Maio sottolinea che i toni della discussione in Consiglio dei ministri «sono stati distesi», e che il caso Siri non avrà conseguenze sulla tenuta della maggioranza: «Ci siamo detti che andiamo avanti», rassicura il vicepremier, «e che ci sono tante cose da fare per gli italiani, le faremo insieme nei prossimi quattro anni. Mi fa piacere che tutti insieme abbiamo espresso nel Consiglio dei ministri piena fiducia a Conte e al governo. Potremo andare avanti con la stessa lealtà e lo stesso spirito di collaborazione che ci ha fatto andare avanti in questi 10 mesi e mezzo. Ho detto in Consiglio dei ministri che apriremo subito un tavolo di governo per portare avanti in parallelo due progetti: la flat tax e il salario minimo, e chi le propone porta anche le coperture. Il mio obiettivo è non aumentare Iva e abbassare le tasse agli italiani. Lotta all'evasione seria e spending review», aggiunge Di Maio, «sono i due obiettivi che ci dovremo dare. La revoca di Siri rappresenta un importante segnale di discontinuità rispetto al passato». Tocca a Davide Casaleggio, presidente dell'Associazione Rousseau, difendere la Raggi commentando le parole di Salvini: «Quando la Raggi si è candidata era incensurata», argomenta Casaleggio, «e lo è tuttora. Dal punto di vista del M5s, il tema della questione morale è stato sviscerato con il codice etico, e il sindaco di Roma ha sempre rispettato questo codice etico». Esprime attraverso Twitter la sua soddisfazione il ministro di Infrastrutture e trasporti, Danilo Toninelli, di cui Siri era sottosegretario: «Nessuna esultanza», scrive Toninelli, «ma l'auspicio che Siri possa dimostrare la sua estraneità ai fatti. Soddisfazione, però, per il segno di cambiamento che il governo ha dato anche oggi su temi come legalità e lotta alla corruzione. Sfide sulle quali il M5s non arretrerà mai di un millimetro!». All'insegna della sobrietà istituzionale la riflessione sulla revoca di Siri affidata ai social network da Paola Taverna, vicepresidente grillina del Senato: «Non staremo qui ad esultare, ma è di certo un sollievo. Non ci deve essere nessuna ombra su questo governo, nessuna. Ne vado fiera perché è proprio questo che ci distingue dalla vecchia politica. Adesso andiamo avanti a lavorare per gli italiani. Ogni minuto», conclude la Taverna, «è prezioso».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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