2020-05-11
Conte e Di Maio fanno uno spot
e un dono ai terroristi islamici
Silvia Romano si è convertita e, ancora prima di capire le circostanze in cui sia accaduto, il governo spiattella le foto con lei. Esattamente la propaganda che Al Shabaab voleva. La convertita Silvia Romano è tornata in patria indossando velo e abito tradizionale verde (il colore dell'islam) con un nuovo nome: Aisha. Oltre alla nuova fede portava con sé anche mascherina e guanti e al polso sfoggiava un piccolo orologio. Niente quarantena per lei, ma foto, video e interrogatorio (durato oltre quattro ore) con il pm romano Sergio Colaiocco presso la sede dei carabinieri del Ros. L'arrivo all'aeroporto di Ciampino della cooperante rapita 18 mesi fa è stato un incredibile spot per il gruppo terroristico che l'ha sequestrata, Al Shabaab, che puntava proprio a un risultato politico, come avevamo anticipato sei mesi fa su questo giornale. La nostra diplomazia e la nostra intelligence non sono riuscite a evitare che ciò avvenisse. «Sì, atterrerà indossando il velo. Non se lo vuole togliere e non si può forzare» ci aveva riferito una fonte prima del suo arrivo. Sulla Treccani online la sindrome di Stoccolma viene così descritta: «Particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro o di un abuso ripetuto, i quali, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all'innamoramento». Adesso qualcuno inizierà a parlare di sindrome di Mogadiscio. Nel novembre del 2019 La Verità aveva raccontato i retroscena del rapimento grazie alle carte dell'Alta corte dello Stato del Sud Ovest di cui fa parte anche Mario Scaramella in veste di esperto di diritto italiano, in vigore in Somalia. Scaramella per questa sua conoscenza delle questioni del Corno d'Africa aveva evidenziato la funzione politica del sequestro realizzato dalla struttura di intelligence di Al Shabaab, detta Amnyat Team. E noi avevamo potuto scrivere: «Nella documentazione (dell'Alta corte, ndr) si fa esplicito riferimento anche al movente: si tratterebbe di un sequestro politico. La ragazza è accusata dagli jihadisti di fare proselitismo cristiano nella comunità dove si trovava come volontaria e ha portato i pirati a gestirla “con lo stesso protocollo adottato per le spie"». Pochi giorni prima avevamo scritto: «Altre fonti ci spiegano che Al Shabaab (che incassa milioni di euro solo con il racket a Mogadiscio) non sarebbe (unicamente) alla ricerca di denaro, ma sarebbe interessata a incassare un risultato “politico". Per questo la ragazza verrebbe trattata con un certo riguardo». Un obiettivo che è stato raggiunto con grandissima abilità strategica. Infatti oltre alla passerella con velo dell'ex ostaggio, gli jihadisti avrebbero incassato pure un cospicuo riscatto: i servizi segreti somali parlano di circa 1,5 milioni di dollari, anche se ieri giravano pure altre cifre (da 2 a 4 milioni di dollari). Soldi che saranno impiegati in investimenti strutturali nella rete del terrore. Dai documenti in possesso del nostro giornale, come detto, risulta che l'Alta Corte con sede a Baidoa, proprio al centro della regione dove è stata effettivamente tenuta prigioniera la Romano, avesse già individuato località (poi confermate dalla operazione di venerdì notte), soggetti coinvolti e dinamiche alla base del sequestro. Per esempio già l'anno scorso era noto che l'unità di pirati addetti ai sequestri di persona nel territorio del Kenya era stata costituita su indicazione del capo finanziario di Al Shabaab, Mahad Karate, nello stato somalo dello Jubaland, dove la donna è stata tenuta prigioniera per un periodo (per esempio il 24 gennaio 2019 era segnalata a Buale Day). Ma la Romano è stata pure nel South West (per esempio a Janale e alle grotte di Bulo Fulay, la località indicata in fase di negoziazione come covo) e a nord di Mogadiscio, precisamente ad Harardhere nel Galmudug. I servizi somali, turchi e italiani avrebbero recuperato la ragazza venerdì scorso al chilometro 30 della strada Mogadiscio-Afgoye. Qui lo scambio sarebbe stato movimentato con tanto di arresti (un paio) di presunti fiancheggiatori e successivo rilascio. Le basi della «Kidnap unit pirates» erano Jilib (nel Jubaland) e Bulo Fulay. Della squadra avrebbero fatto parte anche un certo Tarabi, proveniente dal campo di addestramento di Salahudin e titolare di un passaporto europeo, e Abdishakur Nadnad del villaggio di Saleban, dove sarebbe stata portata l'ostaggio all'inizio dell'operazione. Una volta rapita la ventiquattrenne milanese avrebbe camminato un mese prima di arrivare in Somalia dal Kenya e nella prima fase della prigionia si sarebbe gravemente ammalata (colera o malaria) e sarebbe stata visitata più volte dal medico capo di Al Shabaab, Abu Hamza. Riguardo alla conversione fonti di intelligence riferiscono che i motivi sono vari. Per costrizione, per convenienza (per esempio per avere più cibo, come avrebbe fatto Luca Tacchetto dopo aver visto essere trattato meglio meglio Nicola Chiacchio) o al termine di un percorso legato alla prigionia: «È stata sempre da sola senza poter interagire se non con i carcerieri, non ha subito violenze ed è stata trattata relativamente bene (al momento del rilascio alcuni dei suoi secondini erano dispiaciuti)» ci racconta la fonte. «Le hanno dato un Pc per potere studiare l'arabo. Tale contesto potrebbe averla portata a una conversione volontaria, che però potrebbe essere debole». Lei ieri ha dichiarato: «Mi sono convertita all'Islam, è stata una mia libera scelta. Non sono stata costretta a sposarmi». Con la psicologa che l'ha visitata, la giovane ha negato di aver preso marito in Africa. Il nostro interlocutore conclude: «Dopo essersi convertita durante la prigionia pregava». Sia sabato che ieri sull'aereo la ragazza ha mangiato. Ma visto che siamo in periodo di Ramadan qualcuno le ha chiesto perché non digiunasse. La giovane ha risposto di essere «indisposta». In effetti durante il periodo di digiuno, uno dei cinque pilastri dell'Islam, le donne con il ciclo mestruale sono esentate dall'obbligo di non mangiare, come del resto quelle incinte e quelle malate. Alla fine del rapimento la Romano non ha saputo indicare la zona esatta in cui era tenuta prigioniera. Anche se pare si trovasse nello Jubaland. I carcerieri sono stati tra i quattro e gli otto. Dal posto della prigionia al luogo del rilascio è stata spostata in trattore e in macchina, trattandosi di zone dove non ci sono strade o sono in cattive condizioni anche a causa delle alluvioni. L'andatura è stata poco superiore al passo d'uomo. Per portarla a Mogadiscio ci sono voluti quattro giorni. Poi la liberazione e il ritorno in Italia. Con la nuova identità di Aisha la musulmana. Ha collaborato Giuseppe China
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli